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Formazione della piccola proprieta’ terriera in Puglia

2. LE POLITICHE AGRICOLE

2.6. La Puglia

2.6.1. Formazione della piccola proprieta’ terriera in Puglia

A metà XIX secolo cominciò a crescere, in Puglia, la domanda di prodotti agricoli generando un aumento dei prezzi che, a sua volta, stimolò la formazione di nuove aziende agricole, cerealicole, viticole e olivicole. L’aumento dell’offerta di lavoro favorì la crescita demografica. Con l’unificazione, nel 1861, l’agricoltura, che in Italia assorbiva la maggior parte della popolazione attiva e dei capitali, era, per produttività del suolo e del lavoro, largamente inferiore a quella di altri paesi europei. Il Sud in particolare mostrava una struttura fondiaria (nonché sociale) arcaica, basata sul latifondo e su rapporti di lavoro e dipendenza gravati da privilegi ed oneri. Il governo unitario non riuscì ad avviare quei lavori di bonifica e di riassetto idrogeologico necessari dopo secoli di incuria, e complessivamente gli interventi furono estremamente limitati. Di primaria importanza sarebbe stata la creazione di infrastrutture territoriali, il credito agricolo, la fornitura di assistenza tecnica e, naturalmente, le opere di bonifica. Il Sud rimase quasi del tutto escluso da queste opere, che direttamente o indirettamente avrebbero reso possibile lo sviluppo economico, così come accadde nell’Italia settentrionale in cui esse vennero parzialmente avviate. Come nel resto dell’Italia meridionale, in Puglia l’aumento demografico faceva aumentare la domanda interna, ma contribuiva anche a formare una massa sempre più cospicua di braccianti senza terra. Sono le lotte sociali di questi braccianti, le ricorrenti ondate di occupazione delle terre, che avvieranno la frantumazione del latifondo e la successiva polverizzazione fondiaria su quasi tutto il territorio regionale, tranne parte del Tavoliere e delle Murge. Anche l’investimento dei risparmi inviati dagli immigrati in America settentrionale, Argentina e Brasile fu un fattore importante per la creazione di una classe di piccoli e piccolissimi proprietari terrieri. La diffusione del contratto di enfiteusi, le quotizzazioni demaniali e i contratti di miglioria supportarono ulteriormente questo fenomeno di

polverizzazione. Nel Novecento la Puglia è stata l’epicentro, nel Meridione, delle lotte contadine e del vasto movimento per l’occupazione delle terre del primo dopoguerra. La tendenza alla formazione della piccola proprietà viene confermata anche dopo il 1945 dall’applicazione della cosiddetta “Legge stralcio” (1950) e dai contributi speciali statali, frutto anch’essi delle lotte contadine.

La politica agraria e demografica fascista aveva aggravato le condizioni di vita già precarie del Mezzogiorno, per questo sia il governo che la sinistra parlamentare prospettavano una vasta e risolutrice riforma agraria. Fin dal 1948 il ministro per l’agricoltura, il democristiano Antonio Segni, si era impegnato in questo senso. Ma quei provvedimenti che, con la Legge Sila, la Legge stralcio e la legge di riforma agraria emanata dalla regione Sicilia, diedero il via alla riforma, vennero meno all’idea di una riforma generale in cambio di parziali interventi di esproprio e di intervento pubblico, che si rivelarono presto insufficienti ma che valsero a riassorbire le lotte di braccianti e contadini. Fu una riforma “imposta dalla pressione delle masse più diseredate, ma concepita al di fuori delle istanze del mondo contadino e nel quadro di un logorante compromesso parlamentare inteso a salvaguardare esigenze più generali di stabilizzazione politica e sociale”80. Alla base della riforma non c’era una teoria di politica economica di lungo termine, ma l’obiettivo contingente di creare occupazione. La creazione di aziende familiari attendeva a tale scopo, eliminando il lavoro salariato e facendo assorbire dall’azienda familiare ogni prestazione lavorativa. In Puglia l’Ente Riforma, in pochi anni, procedette all’espropriazione di ca. 150.000 ettari, ridistribuendoli alle famiglie contadine suddivisi in poderi e quote. Ma contemporaneamente, lo sviluppo industriale, che in Puglia si concentra nei poli di Taranto e Brindisi, sommandosi alle condizioni di vita precarie della popolazione rurale, provocò una migrazione verso i centri industriali. Nelle zone più disagiate la migrazione assunse i caratteri di un esodo di massa verso i capoluoghi, a questo esodo

80 Valerio Castronovo, (1975), “La storia economica”, in Storia d’Italia, vol. 4*,1975,

corrisponde una notevole diminuzione del numero delle microaziende familiari. Dagli anni Settanta però alla crisi dei settori siderurgico e petrolchimico corrisponde un rinnovato fenomeno di polverizzazione fondiaria accompagnato da una ristrutturazione delle aziende superiori ai 20 ettari, già avviatasi, per altro, con la concentrazione della proprietà seguita all’esodo rurale degli anni Cinquanta.

La Puglia presenta oggi due diversi sistemi agricolo–territoriali: nella provincia di Foggia prevale la medio-grande azienda legata all’industria di trasformazione, nelle altre province prevale un sistema detto “tabulare” contraddistinto da una equilibrata ripartizione tra tutte le classi di ampiezza aziendale (Di Carlo, 1996). Queste differenze sono riscontrabili anche nella zonizzazione effettuata dalla Regione in base alle indicazioni del PSN, al fine di articolare in modo differenziato gli interventi delle politiche agricole e di sviluppo rurale. Nel PSR 2007-2013 il territorio regionale è suddiviso in 4 macro aree omogenee:

A) i Poli urbani;

B) le Aree rurali ad agricoltura intensiva specializzata; C) le Aree rurali intermedie;

D) le Aree rurali con problemi complessivi di sviluppo;

Sulla base di questa classificazione, le aree rurali in Puglia si estendono su di una superficie territoriale pari a circa il 93% di quella regionale e hanno una popolazione pari a circa il 79% di quella residente nella regione.

Classificazione delle aree rurali pugliesi, fonte Programma di Sviluppo Rurale della Puglia 2007-2013.

La percentuale degli occupati nel settore primario registra valori molto più alti rispetto alla media nazionale: i dati ISTAT 2003 registrano il 10% del totale della popolazione regionale, valore doppio rispetto a quello medio nazionale (5%), guardando indietro nel tempo, ad ogni censimento, la percentuale degli occupati è sempre il doppio di quella nazionale (17% nel 1990, 26% nel 1981, 36% nel 1971, 58% nel 1951) (Di Carlo, 1996).

Altro dato non trascurabile nel contesto pugliese è il tasso di disoccupazione Nel PSR si legge “Dalla lettura dei dati riferiti alle indagini trimestrali delle Forze Lavoro nel 2003, emerge innanzitutto come la Puglia abbia un tasso di disoccupazione più basso dell’intero Mezzogiorno, ma nello stesso tempo maggiore della media nazionale. [...] I disoccupati a lungo termine rappresentano una percentuale rilevante della popolazione attiva in Puglia,

tanto è vero che, secondo le statistiche ufficiali, nel 2005 essi rappresentano ben il 7,8%, valore superiore al dato registrato a livello nazionale e pari al 3,7% (indicatore comune di contesto n. 21). ”81.

Forze lavoro e occupati per settore di attività economica e per sesso-2003, elaborazione INEA su dati ISTAT, fonte PSR Puglia 2007-2013.

2.6.2. Agricoltua biologica e multifunzionalita' aziendale nel PSR Pugliese