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La transizione postfordista delle campagne

1. DINAMICHE EVOLUTIVE DEL MONDO RURALE E

1.3. La transizione postfordista delle campagne

Questa società multiforme va ad inserirsi nello spazio rurale, rimodellandolo e conferendogli nuovi significati materiali e simbolici, all'interno di quell'ampia e generale trasformazione degli spazi legata al passaggio all' era postfordista.

“Il termine post-fordismo può essere usato come riferimento generico per indicare l'insieme delle trasformazioni sociali ed economiche del periodo attuale, la transizone da forme organizzative della produzione (e della società) di stampo fordista a forme organizzative della produzione (e della società) di stampo post- fordista.”49

L’economia mondiale è stata dominata, per buona parte del XX secolo, dal sistema di produzione fordista. Un sistema di produzione, oltre ad essere caratterizzato da un particolare regime di accumulazione50, crea dei modelli sociali, stili di vita e consumi che ne assicurano la riproduzione nel tempo e che entrano in crisi nel momento in cui entra in crisi il sistema produttivo stesso. Ora, al modello fordista, entrato in crisi alla fine degli anni sessanta, subentra un nuovo sistema di produzione, distribuzione e scambio, detto post-fordismo.

Nel fordismo i settori trainanti dell’economia basano il processo produttivo sulla catena di montaggio, su una rigida divisione del lavoro e sull'impiego di manodopera semi-specializzata. La produzione di beni standardizzati è concentrata in grandi impianti centralizzati e sfrutta le economie di scala. Le politiche macroeconomiche sono regolate dallo stato, i livelli salariali sono concordati con i sindacati e, insieme al progresso tecnologico, definiscono il ritmo di accumulazione. Per quanto riguarda la società, gli stili di vita sono orientati a consumi standardizzati e di massa, anche le forme di aggregazione sono di massa, come il sindacato, e le decisioni sono normalmente delegate al potere centrale dello stato (Basile, 2000).

49 Francesca Governa (1997), Il milieu urbano, Franco Angeli, Milano, p. 26.

50 La paternità del concetto è normalmente attribuita ad Aglietta; è comunque un termine proprio

della “scuola della regolamentazione” (Brunori, Harvey), per la quale deve esistere “una

materializzazione del regime di accumulazione sotto forma di norme, consuetudini, leggi, reti di regolazione, ecc., che garantisca l’unità del processo, cioè la coerenza dei comportamenti individuali con lo schema di produzione. Questo insieme di norme e processi sociali interiorizzati viene definito modo di regolazione” (Lipietz, 1986).

La deflazione del periodo 1973-1975 apre una fase, durata fino alla fine degli anni '80, di ristrutturazione economica e di riassetto sociale e politico. In questa temperie di incertezze muovono i primi passi esperimenti sia nel campo industriale che nell'organizzazione politica e sociale. Sono i primi segni, secondo Harvey (2002), del passaggio a un regime di accumulazione assolutamente nuovo, associato ad un sistema completamente diverso di regolazione politica e sociale (Harvey, 2002).

Nel post-fordismo il processo produttivo diventa flessibile, impiega risorse umane e tecnologie utilizzabili in più linee produttive e si avvale degli elevati tassi di innovazione tecnologica, commerciale e organizzativa. La regolamentazione è decentrata, organizzata intorno agli interessi locali, le istituzioni e i soggetti locali contrattano fra loro e con il potere centrale dello stato per la difesa degli interessi di gruppo. Le imprese hanno dimensioni piccole e medie per favorire la flessibilità. L’organizzazione sociale è molto più variegata rispetto a quella fordista, non esiste più un solo modello ma la società si struttura localmente in virtù degli interessi in essa rappresentati (Basile, 2000).

La differente concezione di sviluppo è un principio importante da cogliere per comprendere il diverso impatto che i due modelli di accumulazione hanno, a livello spaziale, sui territori. “Mentre il modello di sviluppo fordista è fondato sulla identificazione tra sviluppo e crescita quantitativa, identificazione cui fanno da corollario una visione illimitata del mercato, la ricerca delle economie di scala attraverso l'organizzazione della produzioni in grandi stabilimenti e la territorializzazione del capitale in ambito nazionale, lo sviluppo post-fordista si modella sulle differenze, sul riconoscimento dei limiti e della netta separazione fra sviluppo e crescita (Revelli, 1995). La transizione fra fordismo e post- fordismo può così essere vista come cambiamento da una visione dello sviluppo di stampo sostanzialmente quantitativo ad una di tipo eminentemente qualitativo (Bagnasco, 1994). […] emerge, con forza, il ruolo delle esternalità. Il capitale si de-territorializza, pronto a competere su uno scenario che i nuovi mezzi di

comunicazione ed il passaggio da un'economia di produzione ad un'economia di informazione hanno reso sempre più globale.”51

E' la “compressione spazio-temporale”, di cui parla Harvey dove “gli orizzonti temporali del processo decisionale privato e pubblico si sono avvicinati, mentre le comunicazioni via satellite e i minori costi dei trasporti hanno reso possibile e sempre più agevole la diffusione immediata delle decisioni in uno spazio sempre più grande e variegato.” 52. Grazie ad un sistema finanziario coordinato a scala mondiale e autonomo rispetto alla produzione, è stata conseguita gran parte della flessibilità geografica e temporale dell'accumulazione di capitale (Harvey, 2002). Lo spazio dei flussi si affianca ora allo spazio dei luoghi, nel nuovo ordine postfordista la localizzazione non è più determinata dal vincolo della distanza, e, mentre il capitale si muove a livello globale, emerge con forza l'importanza delle specificità territoriali locali. Specificità che vengono ora considerate matrice di organizzazione sociale e principio di interazione con il livello sovralocale (Governa, 1997).

Laddove il regime fordista sanciva la supremazia sociale ed economica della città sulla campagna ed era in grado di generare consenso intorno a questo ordine gerarchico, la nuova divisione internazionale del lavoro, la differenziazione dei consumi e una complessiva, sebbene talvolta meramente strumentale, rivalutazione del concetto di qualità della vita disegnano un nuovo ordine e nuove relazioni città-campagna, mandando in crisi i vecchi principi localizzativi delle attività.

1.3.1. L'agricoltura omologata fordista e le vie alla “non-omologazione”

Con l’avvio della transizione post-fordista, cambiano, da una parte, i meccanismi che regolano l’aumento di produttività e di redditività, dall'altra, cominciano a svolgere un nuovo ruolo, anche produttivo, i concetti di benessere e qualità della vita. Se da una parte la grande industria perde la sua capacità attrattiva e l’esodo dalle campagne verso le città diminuisce molto, dall’altra l’industria stessa si

51 Francesca Governa (1997), op. cit., p. 27.

espande sul territorio raggiungendo luoghi prima molto lontani dai centri di produzione.

Fino a quel momento il processo di industrializzazione e l'esodo, avviatosi con la prima rivoluzione industriale, avevano provocato il notevole ridimensionamento del peso dell’agricoltura in termini occupazionali e di valore aggiunto53. Durante tutta l'era fordista, molte aziende agricole, in conformità con gli indirizzi politici ed economici pubblici, per produrre redditi, ristrutturarono l'attività agricola sul modello di produzione industriale al fine di produrre “beni di consumo di massa” (Cecchi, 2000). Per adeguarsi a ritmi e comportamenti tipici dell'industria vennero ignorate le specificità dell’agricoltura, vennero cioè ignorati quei vincoli derivanti dalla non riproducibilità della risorsa terra e dalla struttura della gestione familiare dell'azienda agricola. La crisi del modello fordista, che ha provocato il rilascio di risorse dalle città industriali e la riorganizzazione delle campagne, da una parte continua ad incentivare un modello di agricoltura omologato a quello industriale, allo stesso tempo premia quei comportamenti che sanno sganciarsi da tale modello, dando vita ad un nuovo uso, differenziato, delle risorse rurali. “Non omologati” sono detti, dunque, quei comportamenti che sanno valorizzare le diverse componenti dell’agricoltura e sanno mettere l’accento sulle specificità locali. Vengono individuate principalmente tre vie alla “non-omologazione”:

• Valorizzazione del patrimonio aziendale ad uso della famiglia stessa, uso dell’abitazione, godimento del paesaggio, produzione per l’autoconsumo; • Uso delle risorse aziendali per produzioni artigianali e servizi di ospitalità

turistica;

• Produzione di beni che consentono al consumatore di individuare il produttore.54

53 All'inizio del Novecento l'agricoltura costituiva il 50% della produzione nazionale,

mentre alla fine del secolo non supera il 3% (Merlo, 2006).