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Congiura contro gli Ottoni: alla forca

“Il 27 marzo 1439 a Matelica, nel Palazzo del Podestà sito in piazza del Comune, nell’aula dove ha sede il Tribunale, davanti al Consiglio generale appositamente convocato e radunato, alla presenza dei priori ser Nicolò di Angelo e ser Gregorio di ser Santuccio, e dei testimo-ni Bastiano di Giusto, Adriano di Coluccio, Genesio di Giovantestimo-nino, Antonello del Bastaro e Bastiano di Francesco, il Podestà di Matelica dottor Gregorio de Pantanis da San Ginesio, assistito da me Paolo di Nicola da Ripe Sanginesio notaio in veste di cancelliere penale, ha pronunciato la seguente sentenza:

Giovanni di Petruccio detto de Magnone di Matelica, uomo se-dizioso, iniquo e astutissimo traditore, nel corso di questi ultimi tre anni unitamente a Giovanni di Corradino ed altri soci di Matelica, su istigazione di ser Arcangelo di Fiordimonte e ser Matteo di m° Marano

(notaio di Camerino e zio paterno del pittore Girolamo di Giovanni), ideò, organizzò, commise e perpetrò il seguente tradimento: avvelena-re il Magnifico Signoavvelena-re Federico e gli altri di casa Ottona, per turbaavvelena-re il buono e pacifico stato di Matelica. Contattò a tal fine ser Paolo Boc-canera affinché un corpo militare camerinese venisse presso Matelica, mentre lui ed i soci avrebbero indotto il popolo alla ribellione dicendo di essere in possesso di carte compromettenti per gli Ottoni. Scoperta la congiura, Giovanni di Corradino finì sulla forca a Pergola e Giovan-ni di Petruccio fu confinato a San Lorenzo in Campo. Saputo che frate Cristoforo di Andrea da Matelica si trovava nella vicina Pergola andò da lui e gli disse: frate Cristofano, tu sai che quilli Segnuri de Matelica ce vogliono male e non ce poi usare; se tu voi esser con mico e colli altri mei compagni, nui cercaremo de fare quello che non ce venne fatto questo anno passato e ammazzeremo Federico et li altri suoi de casa et faremo saltare Matelica.

Gli rispose il frate: Io voglio esser con vui alla vita et alla morte. Al-lora Giovanni, sentite queste parole ed avuta fiducia in lui, rispose: Va’

al tale Segnore che qui non è il caso di nominare (dato che si tratta di un Ottoni: omissis dovuto al segreto di Stato) et dilli per parte mia che se illo vole actendere alla faccenda, nui li daremo Matelica et diglie che se guarde dal tal homo d’arme - el quale homo d’arme al presente per lo migliore se tace (altro omissis) - el quale è molto amico de Federico perché, savendone covelle (qualcosa) lo facerà notificare a Federico e dalli ad in-tendere che io sò quello che all’altra volta li feci parlar de questa simil fac-cenda. Fra Cristofano risponde: Io non vorria andare con ciance e frasche a tale Segnore a dire che mò tu avrai a voltare Matelica. E Giovanni: Va’

secretamene e fa la ’mbasciada. Io ho lu modo aver la forma de le chiave de una porta, farò fare una chiave contrafacta et averimo uno drento che sarà con nui a la morte et a la vita, et se questo non venisse facto, avendo 500 fanti forasteri, romperemo lu muro in qualche orto; et se questo Se-gnore non ce volesse actendere, nu’ cercaremo con altri che ce actenderà.

Et non dubitare che ce basta troppu, perché, como simo drento, la prima

cosa che faremo correremo alle case de li Segnuri et ammazzaremo quanti li trovaremo drento e tra li amici nostri et nuialtri saremo suffizienti assai contra li amici de quilli Segnuri; se pure lu diaulu volesse che fossemo cacciati fora, che non lo credo pozza essere, avremo fatto assai aver morti quilli Segnuri et alcuno traditore che c’è et caso che Dio..., se guaste quella terra poi che non la potemo godere nui. Fra Cristofano: Giuvagni, io non credo che li fanti foresteri volesse ammazzare quilli Segnuri, perché non sòle essere loro usanza. Giovanni: Io sarò lu primo che li metterò le mani adosso e mi laverò le mani drento lo sangue loro e, da l’altro lato, se io fossi tagliato a pezzi morerò contento.

I fatti riportati sono stati provati con testimonianze per cui, a norma dello Statuto di Matelica, ordino che Giovanni di Petruccio, quando sarà preso e verrà in mano mia, o della mia Curia, o dei miei successori, o del Comune di Matelica, sia condotto pubblicamente al luogo solito per le esecuzioni capitali ed ivi sia impiccato alla forca con la corda al collo, in modo che subito muoia e l’anima sia separata dal corpo. Tutti i suoi beni e diritti sono confiscati. Ed io, Paolo di Nicola, notaio, ecc.” (in Archivio Storico Comunale, Matelica, Processi e con-danne, vol. 53, c. 93r/95v).

Il processo-verbale in latino è stato opportunamente tradotto e sin-tetizzato, lasciate però integre le testimonianze in volgare ricche di spunti notevoli, come quel se guaste la terra, poi che non la potemo godere nui (dove terra sta per Matelica) e l’altro scespiriano, terribile, sul sangue e le mani.

Questo fu l’ultimo atto della congiura ordita da Giovanni di Cor-radino negli anni 1437 e 1438, ricordata da Camillo Acquacotta (cfr.

Memorie di Matelica, Ancona, 1838, pag. 143). Giovanni di Petruc-cio insistette, malgrado il suo complice fosse già finito sulla forca, ma andò ad incappare in un frate birbone. Non c’è ragione di pensare che la sentenza non sia stata esemplarmente eseguita.

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