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La conoscenza condivisa e i suoi prodott

Conoscenza in progress

3. La conoscenza condivisa e i suoi prodott

È attraverso la muticodicità linguistica che la collettività mediale si esprime e collabora per la costruzione di una direzionalità di senso. Resta inteso, ovviamente, che lo stato “ibrido” di questa nostra condi- zione “iper–” ci consente, contemporaneamente, di entrare e uscire dalla semiosfera collettiva, ossia di essere parte di un contesto colla- borativo e/o di fruirne in maniera individuale. Tuttavia, è indubbio che anche nella propria singolarità, l’utente possa godere di prodotti culturali derivanti del surplus cognitivo e mediale. Mi riferisco, ad esempio, agli infiniti spazi di condivisione e di scambio esperienziale o ai software open source, risultato dell’azione comune di persone che impegnano le proprie competenze e il proprio tempo libero21 per sviluppare sistemi e piattaforme “libere” di circolare per la rete e in grado di rispondere alle esigenze della massa mediale22. Una delle difficoltà, semmai, di questa potenziale forma online di costruzione della conoscenza risiede nel fatto che « se affrontare la realtà significa sapere cosa sia la cosa, nell’Età della Rete ci sono più che cosa — e più “che cosa?!” — che mai. Prendere una decisione significa trovare un proprio percorso in mezzo a una fitta selva di affermazioni, decidere a quali affermazioni credere e di quali fonti fidarsi » (Weinberger, 2012, 208). In una parola, il surplus cognitivo e mediale può diventare caos, con la conseguente perdita di una direzionalità di senso. Da questo punto di vista, espressioni esemplari di surplus cognitivi e mediali come l’enciclopedia Wikipedia dimostrano tuttavia che l’abbondanza può avere un risvolto positivo, soprattutto se partiamo dal presupposto che il numero massivo di contenuti può non essere motivo di caos co- gnitivo e significativo, se essi sono indirizzati verso un unico obiettivo.

20. Ancora Shirky: « I media sono il tessuto connettivo della società » (2010, cap. 2). 21. Così è l’abbondanza di cui parla Shirky.

Per questo, è ovvio che risulta necessaria un’intenzionalità collettiva come base di un’azione che mira, in ogni momento, a generare senso. La conoscenza collettiva è possibile in quanto rimediazione di una se- miosfera in cui l’essere e l’agire siano frutto di un lavoro collaborativo e dinamico entro dei confini semiologici evidenti.

Se considero gli ambienti digitali come una nuova semiosfera, noto anche che la produzione di senso sul web appare “in divenire”, ossia come risultato di un incessante flusso comunicativo e produttivo che crea, condivide, organizza e riorganizza continuamente il materiale pre- sente. La conoscenza mediale è dunque in progress, poiché è frutto di un ambiente in cui, per paradosso, l’atto performativo dell’enunciazione e il testo dell’enunciato coesistono e in cui, sempre, da una condizione si può passare all’altra e viceversa. Inoltre, a differenza di un sapere — seppure collettivo e condiviso come quello del libro — in cui domina un’unidirezionalità comunicativa, nel web la conoscenza è collaborativa ed è bidirezionale, ossia sempre passibile di uno scambio dialettico e di una modificazione, di un confronto e di una sua evoluzione. Da questo punto di vista, la direzionalità del sapere è piuttosto “orizzontale” (Wein- berger,2012), cioè destinata a un’estensione spaziale meno gerarchica ma più diffusa e distesa. Questo, ovviamente, non deve spingere ad abbandonare la cultura del libro; semmai, a favorire un’integrazione tra forme di saperi. L’intelligenza collettiva si serve della multicodicità lingui- stica per manifestare la conoscenza condivisa e per accrescerla in progress, attraverso un approccio che, in molti casi, ricorda quello dell’amatore

bricoleur, ossia di colui che, quasi sempre per puro diletto, si destreggia

nella produzione di oggetti e nel compimento di lavori normalmente manuali: « Gli amatori [. . . ] possono far avanzare la scienza con una facilità impensabile ai tempi in cui la ricerca era professionalizzata e istituzionalizzata » (Weinberger, 2012, 172)23. Il paragone pare reggere bene. Gli amatori sono oggi anche i makers, cioè gli appartenenti a un vero e proprio movimento culturale che ha semplicemente declinato il concetto di bricolage al digitale: i membri possono così, grazie alla Rete e ai media, non solo realizzare più facilmente i propri progetti, ma avere accesso a conoscenze (come i tutorial e i forum di approfondimento) che solo vent’anni fa erano impensabili. Inoltre, sono essi stessi produttori di un bagaglio di saperi e di esperienze che rientra nel flusso di condivisione

collettivo e che può anche, in alcuni casi, contribuire all’accrescimento del sapere “istituzionale”, poiché « laddove un tempo c’era un divario tra lo scienziato professionista e l’amatore dilettante — un divario definito e mantenuto dal processo di accreditamento — la rete allunga i suoi viticci per trovare ogni modo possibile di colmare la distanza » (173). Il

bricoleur mediale è anche colui che, nell’ambiente ibrido della VsG, crea

e compartecipa alla creazione di contenuti, partendo da concetti e da materiali già presenti online, spesso modificandone il senso originario. Il bricoleur, infatti, è colui che sfrutta ciò che è già esistente, che ridà vita a oggetti o parti di essi altrimenti non più utilizzabili, poiché « la regola del gioco consiste nell’adattarsi sempre all’equipaggiamento di cui dispone » (Lévi–Strauss,2010, 30); questo suo lavorare “in divenire” si basa quasi sempre su una riorganizzazione semiologica di elementi che è traducibile, di fatto, in una continua sintagmatica di frammenti di testi (le immagini, i video, i post) presenti online, a cui, di volta in volta, l’autore dà senso. Potremmo dire, azzardando forse un po’ il ragionamento, che la ridondanza informativa e cognitiva24 (che oggi si manifesta soprat- tutto con una certa ridondanza di contenuti) può diventare il materiale pre–organizzato di cui può servirsi il bricoleur mediale per costruire, con- cretamente, il proprio oggetto, poiché « il surplus cognitivo, formatosi di recente da isole di tempo e talento prima scollegate, è un materiale grezzo: per trarne un qualsiasi valore, dobbiamo fare in modo che si- gnifichi o faccia delle cose » (Shirky,2010, cap. 1). Da questo punto di vista, il bricolage mediale appare come interessante metodo per dare una riorganizzazione significativa alla semiosfera della conoscenza online o, perlomeno, per contribuire ad accrescerla. Essendo un sapere collettivo e in continua modificazione e rielaborazione, esso si manifesta non tan- to come un’unica direzionalità, quanto piuttosto come un prodotto in parte frammentario e tipico di una tecnologia che fa dell’abbondanza una delle sue caratteristiche. La concretezza e la tattilità del bricolage si manifestano in un sapere a sua volta declinato in un “saper fare”:

Eravamo abituati a considerare la conoscenza come ciò che è vero a prescinde- re da noi. Oggi dobbiamo prendere atto del fatto che essa non è uno specchio

24. Nonostante siano due concetti diversi, credo che surplus informativo e surplus cogniti- vo siano, di fatto, consequenziali e tangenti tra loro, al punto da poter affermare che, spesso, si tratti di un miscuglio esperienziale e produttivo che porta a una ridondanza di informazione e di materiale per via delle possibilità di tempo e di tecnologia di cui disponiamo oggi.

della natura, ma una ragnatela di connessioni la cui immagine varia a seconda del punto di partenza, del punto di osservazione dell’idea intrinsecamente umana di cosa ci interessa. Speravamo che la conoscenza fosse indipendente da noi. Oggi sappiamo che non è così. (Weinberger,2012, 234)

È attraverso l’azione — e l’azione in rete, spesso collettiva — che la conoscenza in progress si radicalizza, diviene lentamente una lan-

gue saussuriana, per sua natura pronta a tornare parole e a mutare di

significato nella tastiera di un bricoleur mediale che si affaccia a questo mondo di connessioni, che fa sì che « la conoscenza stia diventando una proprietà della rete » (236).