• Non ci sono risultati.

7. STIMA DELLE CONSEGUENZE O DEGLI EFFETTI DELLE ESPLOSIONI

7.4. Conseguenze sull’ambiente esterno

Si farà riferimento essenzialmente alle dispersione in atmosfera. La letteratura specializzata rende oggi disponibili un gran numero di modelli matematici per la determinazione dei parametri essenziali allo studio delle dispersioni e cioè geometria della nube e mappa delle concentrazioni di infiammabilità, tossicità o detonabilità al suo interno. Rinviando alla letteratura specializzata per gli approfondimenti necessari, si ritiene opportuno ricordare che i parametri interni che hanno rilevanza sono i seguenti:

 Sorgente (geometria, velocità di scarico, temperatura e densità allo scarico);  Quantità di moto allo scarico e quota di emissione;

 Densità del gas rispetto all'aria.

I parametri esterni sono quelli metereologici, e quelli legati al sito, vale a dire rugosità del terreno, temperatura del terreno, presenza di ostacoli naturali o artificiali posti sulla traiettoria della nube.

Incendio

Pr = a + b*ln (t*Q 4/3)

Dove: a e b sono costanti sperimentali,

Pr è il valore della funzione Probit che esprime la probabilità di ustioni di grado diverso e letali per zone corporee non protette da indumenti (ogni livello di gravità sarà caratterizzato da appropriati valori di a e b);

t è la durata dell'esposizione in secondi, Q è l'intensità della radiazione in kW/m2.

Si ricorda che la radiazione termica incidente diminuisce con il quadrato della distanza del ricettore dalla superficie emittente; ne consegue che sono generalmente le persone che si trovano a brevi distanze dal fuoco che possono essere colpite seriamente. Esistono funzioni Probit che descrivono la vulnerabilità delle strutture al fuoco.

Esplosione

L'esplosione ha effetti diretti dovuti all'onda d'urto che causa una variazione di pressione di data intensità e durata sugli individui e sulle strutture (sull'uomo gli effetti diretti sono la compressione degli organi più sensibili come i polmoni e i timpani). Ha altresì effetti indiretti che possono essere l'urto di frammenti sul corpo umano, la traslazione del corpo umano verso una superficie rigida con conseguente danno per impatto; si comprende come agli effetti delle conseguenze dell'onda d'urto sia importante considerare la posizione del corpo umano rispetto al fronte di pressione. Sono disponibili funzioni Probit che valutano la probabilità di sopravvivenza in funzione del picco di pressione e della durata della fase positiva. Sono altresì disponibili funzioni Probit per il calcolo della probabilità di rottura dei timpani del tipo:

Pr = a + b*lnPS

Dove:

PS

= p/p0 è il picco di pressione adimensionale ossia il rapporto fra la pressione massima raggiunta p e la pressione atmosferica p0.

Si hanno inoltre funzioni Probit per gli effetti indiretti dei danni citati.

Rilasci tossici

In caso di rilascio accidentale di sostanze tossiche, le vie di assorbimento da parte dell'organismo umano sono essenzialmente per inalazione e per contatto diretto con la pelle o con gli occhi.

I metodi applicabili per la stima delle conseguenze sull'uomo sono classificabili in due categorie:

 Limiti di esposizione  Funzione Probit.

Il tema è di pertinenza della tossicologia e quindi a questa si rinvia. Per ragioni di comprensione della terminologia relativa si ricorda che i limiti di esposizione sono le soglie minime al disopra delle quali una certa percentuale di persone (es. 50%) subiscono un ben definito danno (es. morte). Esistono diversi criteri di tossicità per una grande varietà di sostanze.

Il metodo Probit consente invece di mettere in relazione la probabilità di morte con la dose assorbita. La funzione è del tipo:

Pr = a + b*ln(Cn*t)

n è un esponente che, come a e b, dipende dal tipo di sostanza, t è la durata di esposizione.

La zona a rischio viene rappresentata graficamente con forme diverse a seconda del tipo di incidente verificabile. Qualora si abbia un'esplosione la zona a rischio viene rappresentata da un cerchio che ha il centro nell'impianto, sorgente di rischio, ed un raggio uguale alla distanza massima di influenza degli effetti di un possibile incidente. Nel caso di rilascio tossico invece, l'area a rischio è rappresentata con un cono.

I soggetti a rischio sono rappresentati dal territorio, dalle strutture e dalla popolazione situata nell'area di impatto (la vicinanza degli impianti a grossi centri urbani aggrava la situazione per il notevole numero di persone che ipoteticamente possono venire coinvolte).

Un'analisi incentrata solamente sull'impianto è infatti limitante per ciò che sta attorno che, nell'eventualità di un incidente rimane il fattore determinante nella quantificazione dei danni.

L'analisi del rischio tecnologico di un'area è allora la sintesi di due momenti: analisi dell'impianto ed analisi del territorio circostante.

Nella fase di analisi dell'impianto ad ogni evento sorgente è associata una frequenza di accadimento sulla base di dati storici e di database di affidabilità.

Gli eventi sorgenti così identificati vengono poi combinati (ad esempio tramite una tecnica Event Tree) con le possibili risposte dei sistemi di emergenza dell'impianto al fine di poter descrivere le possibili evoluzioni che generano l'evento calamitoso (scenari di riferimento).

Infine la dinamica di questi rilasci viene studiata applicando modelli di dispersione, incendio ed esplosione.

Proprio questo ultimo passaggio costituisce il legame tra la fase di analisi sull'impianto e la fase di analisi sul territorio. Conoscendo l'area eventualmente coinvolta, indipendentemente dalla probabilità di accadimento, si conosce la porzione di territorio in cui gli effetti saranno letali o irreversibili per l'uomo (risultato ottenuto integrando i modelli di dispersione con le citate equazioni di Probit).

Nella pratica vengono utilizzati diversi metodi (TNO, IAEA, Metodo Speditivo) per visualizzare l'area di danno a seguito del verificarsi di un incidente industriale nella forma di rilascio, incendio o esplosione.

Le informazioni da introdurre come input per tali metodi, riguardano solamente la descrizione delle sostanze utilizzate e le modalità di stoccaggio.

Le aree determinate dall'implementazione dì una di queste tecniche costituiscono il punto di partenza dell'applicazione della metodologia di analisi della vulnerabilità L’analisi di rischio

Se si deve effettuare l’analisi di rischio, come prima fase si individuano degli eventi iniziatori che possono avere un ruolo nell'innesco e nello sviluppo dell'incidente. Come seconda fase è l’individuazione e descrizione delle possibili sequenze incidentali. Per ciascuna sequenza si stima poi la probabilità di accadimento della stessa e se ne determinano le conseguenze in termini di impatto sull'ambiente e sulla popolazione (quantità e qualità delle sostanze nocive rilasciate in atmosfera, onde di pressione prodotte, campo termico prodotto da fenomeni di incendio, distanza di lancio di missili e loro dimensione).

Per ogni possibile sequenza incidentale si determinano:  La probabilità di accadimento;

Nella terza fase s’individua il danno alla popolazione e all'ambiente e si effettua la valutazione del rischio globale. Si valutano quindi le modalità di diffusione degli inquinanti nella biosfera e il loro impatto sulla popolazione e sull'ambiente.

Gli obiettivi di questa fase dell'analisi sono la valutazione del danno D alla popolazione (decessi, malattie) e all'ambiente; pertanto è chiamato in causa il sito dell'impianto con le sue caratteristiche fisiche e demografiche. I metodi di analisi fanno ricorso ai modelli di diffusione degli inquinanti e ai modelli dose-danno.

Le variabili che entrano in gioco nei modelli sono: le condizioni atmosferiche, le caratteristiche geofisiche del sito che concorrono a determinare i meccanismi di contaminazione, la distribuzione della popolazione, le eventuali disposizioni per l'evacuazione previste dai piani di emergenza esterna.

Ai fini della determinazione delle conseguenze in termini sanitari occorre fare ricorso alle correlazioni dose-danno, distinguendo altresì tra danni deterministici e danni stocastici (Modelli di Vulnerabilità).

Modelli di vulnerabilità

I modelli di vulnerabilità permettono di determinare il danno all'ambiente, alla popolazione ed alle strutture, conseguente alla sequenza incidentale verificatasi. Ossia, definite le conseguenze derivanti dall'incidente in termini di irraggiamento termico, di sovrappressione massima o concentrazione di agenti tossici, essi permettono di determinare il danno alle persone o alle strutture coinvolte.

Criteri e modelli di vulnerabilità per la valutazione delle conseguenze:

La stima del danno che un incidente può provocare richiede la conoscenza della vulnerabilità dei potenziali bersagli agli effetti fisici provocati.

I bersagli di interesse sono ovviamente gli addetti agli impianti e la popolazione, ma anche gli impianti stessi, gli edifici residenziali e i manufatti in genere potenzialmente interessati dalle conseguenze dell'evento incidentale.

La conoscenza della vulnerabilità dei bersagli è fondamentale per definire le distanze di sicurezza e le misure di mitigazione più appropriate.

Le conseguenze di interesse sono relative agli:

 Incendi (descritte in termini di irraggiamento termico espresso in kW/m2);  Esplosioni (espresse in termini di sovrappressione misurata in Pascal (Pa)

ovvero Nw/m2: 1 atm @ 1 bar = 105 Pa);

 Rilasci tossici (descritti in termini di concentrazione mg/m3).

E' importante conoscere per ciascuno degli eventi citati, l'andamento spazio-temporale dei parametri che li caratterizzano. Per la stima del danno è inoltre necessario definire il tempo di esecuzione agli effetti dell'evento per poter determinare la "dose assorbita".

Nella procedura di stima probabilistica del rischio è importante disporre di modelli in grado di esprimere il danno in termini probabilistici. A questo scopo è utilizzato il modello PROBIT (da Probability Unit) applicabile per stimare la probabilità di danno su un soggetto o struttura esposta ad una determinata "dose".

Senza entrare nel merito della genesi e delle proprietà della funzione Probit, si ricorda come essa viene definita, nei diversi casi di interesse dell'analisi del rischio.

Metodo TNO

Questo metodo è stato sviluppato nel 1988 presso il TNO (Istituto Olandese per la Ricerca Applicata) per conto del Ministero dell'Interno e del Ministero dei Trasporti e dei Lavori Pubblici olandesi.

L'obiettivo era lo sviluppo di una metodologia per la classificazione delle attività industriali che, per la tipologia dei processi produttivi e ubicazione nel tessuto urbano, potevano causare, in caso di incidente, danni alla popolazione.

La metodologia è basata sulla valutazione delle conseguenze di scenari incidentali, caratteristici delle diverse attività produttive e di trasporto, per ciascuno delle quali viene fornito un grafico che consente il calcolo rapido delle due aree di danno in funzione dell'entità degli effetti (irraggiamento per incendio, sovrappressione per l'esplosione, concentrazione per le nubi tossiche).

Nota la distribuzione della popolazione all'interno delle due aree, si ottiene rispettivamente una stima del numero di vittime e di persone che possono subire danni irreversibili.

I criteri di danno sono i seguenti:

f) Tipo di incidente “Prima area” e “Seconda area”

g) Incendio entro perimetro incendio ³ 7 kW/m2 per 30 sec. h) Esplosione entro perimetro nube ³ 0.1 bar

i) Rilascio LC-50 per 30 min. LC-50 per 40 min.

In base a questi valori di soglia vengono calcolate le aree di danno. L' applicazione della metodologia si articola nelle seguenti fasi principali.

 Selezione dell'area di interesse dove sono presenti le attività industriali;

 Censimento delle attività a rischio all'interno di ciascuna area, (il metodo fornisce una checklist contenente una classificazione delle attività industriali con associate le sostanze pericolose utilizzate);

 Per ciascuna attività produttiva individuata, si procede come segue: o Calcolo delle aree di danno a seguito dei possibili incidenti; o Calcolo dei danni (numero di persone: vittime o feriti);

o Calcolo della frequenza di accadimento degli incidenti considerati. Metodo IAEA

Questo metodo è stato derivato da quello della TNO allo scopo di individuare rapidamente i livelli di rischio dei diversi impianti (fissi e trasporti) localizzati in aree residenziali per stabilire le necessarie priorità nell'analisi di rischio d'area.

Come sottolineato dall'IAEA (International Atomic Energy Authority), non è utilizzabile per prendere decisioni circa l'accettabilità del rischio e per la definizione dei piani di emergenza, poiché si considerano volutamente le condizioni in cui si sviluppa l'incidente più grave.

La procedura consente di calcolare rapidamente il rischio attraverso la stima della frequenza F di accadimento degli incidenti e dell'entità delle conseguenze C espresse in termini di numero di vittime. F è rappresentata per decadi nella scala delle frequenze (da Fmin a Fmax), mentre C è rappresentata nella seguente scala (numero di vittime): 0-25; 26-50; 51-100; 101-250; 251-500; >500.

Diversamente dal metodo TNO, questo non fornisce due aree di danno, ma una sola relativa al decesso. Questi sono i criteri di danno adottati:

 Tipo di incidente  Soglie di danno (morte)

 Incendio entro perimetro incendio³ 7 kW/m2 per 30 sec.  Esplosione entro perimetro nube³ 0.1 bar

 Rilascio LC-50 per 30 min.

Tracciando poi delle linee a diversi valori F-C nel rispettivo diagramma si creano diverse zone di rischio, consentendo quindi di classificare le attività per categorie di rischio. Il metodo IAEA si articola nelle seguenti fasi:

 Censimento di ogni singola attività a rischio presente nell' area di interesse;  Per ciascuna di queste attività individuate:

o Descrizione delle sostanze presenti e delle relative quantità; o Calcolo della frequenza per i diversi incidenti;

o Calcolo delle conseguenze;

o Rappresentazione dei risultati nel diagramma F-C. Metodo speditivo

Il Metodo Speditivo è il più conosciuto e diffuso in Italia. Tale metodo è stato inoltre utilizzato nelle linee guida per la pianificazione esterna di impianti industriali a rischio di incidente rilevante (Dip. Protez. Civ., Ministero degli Interni, Roma Gennaio 1984): esso è stato utilizzato anche nella compilazione di molti Piani Provvisori di Emergenza Esterna per Impianto a Rischio.

Questo metodo è basato esclusivamente sul calcolo delle aree di danno. È stato proposto dal Dipartimento della la Protezione Civile, con lo scopo di ottenere uno strumento di rapida applicazione per la stima delle conseguenze di incidenti da utilizzarsi per la predisposizione dei piani provvisori di emergenza esterna. Questo metodo è stato derivato da quelli della TNO e della IAEA.

Il calcolo delle aree di danno viene eseguito in base alla tipologia, alla quantità (presumibilmente coinvolta nell'incidente) e alle modalità di stoccaggio della sostanza. Per ciascuna tipologia di incidente (incendio, rilascio, esplosione) il metodo fornisce due zone:

 Di sicuro impatto, nella quale tutte le persone esposte hanno elevata probabilità di letalità;

 Di danno, nella quale tutte le persone esposte subiscono danni permanenti o irreversibili.

Una terza zona, di attenzione, è lasciata alla discrezionalità dell'analista. Le soglie che delimitano le due aree sono le seguenti:

 Tipo di incidente “Prima area” e “Seconda area”  Esplosioni 0.6 bar 0.07 bar.

 BLEVE/Sfera di fuoco Raggio Fireball 200 kJ/m2  Incendio 12kW/m2 7 kW/m2

 Nubi vapori infiammabili Limite Inf. Infiammabilità 50% Lim. Inf. Infiam.  Rilascio LC50 IDLH

La forma dell'area di danno dipende dal tipo di incidente e viene ricavata

automaticamente dal metodo in funzione delle caratteristiche della sostanza. Può essere:

 Circolare (per esplosioni o incendi);  Semicircolare (rilascio di gas pesanti);

 Settore circolare di 360° (dispersione passiva).

8. L’IMPLEMENTAZIONE DI UN SISTEMA DI GESTIONE DEL RISCHIO DI ESPLOSIONE

POLVERI COMBUSTIBILI: ASPETTI TEORICI E IMPOSTAZIONE DEL LAVORO