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Conseguenze pratiche e diversità di modelli di disciplina: alcuni snodi problematic

Nel documento (Ri?) pensare la maternità (pagine 193-196)

Di tutto questo si deve tenere conto, in particolare, quando si ragiona su un approccio giuridico alla surrogazione di maternità: avendo a mente i rischi - su tutti, la riduzione oggettuale (o reificazione) dei soggetti coinvolti ed in primo luogo della donna - che devono poter tradursi in specifiche previsioni di limiti o controlli (preventivi, continui e successivi).

Viene in rilievo, anzitutto, la problematica questione dell’idoneità del divieto penalmente sanzionato ad assicurare - come avviene in Italia - una cornice capace di riconoscere e tutelare con efficacia la posizione dei soggetti coinvolti nell’esperienza della surrogazione. Non è in questione, peraltro, l’esigenza di mettere al riparo la regolazione giuridica dell’esperienza della surrogazione dai rischi che essa porta con sé, su tutti il

39 In questa prospettiva, cfr. il contributo di Gattuso in questo Volume. Analogamente, Saraceno 2017, p. 6,

ha sostenuto che «entrare in un rapporto di gestazione per altri dovrebbe richiedere la disponibilità di tutte le parti a mantenere un rapporto con il bambino che viene al mondo per questo tramite. Il grado, l’intensità e i modi di questa relazione possono essere negoziati tra le parti ed evolversi col tempo, ma l’esistenza della relazione in sé deve essere visibile e disponibile, innanzi tutto al bambino, ma anche alla madre surrogata».

40 In termini analoghi a quelli chiariti, in Italia, da Corte cost., sentenza n. 278 del 18 novembre 2013, a

proposito del bilanciamento tra il diritto della donna a partorire in anonimato e il diritto del nato a conoscere le proprie origini.

quello della sua riduzione entro un paradigma esclusivamente contrattuale e quello, connesso al primo, di assenza di tutela per le situazioni di vulnerabilità da essa specificamente mobilitate41. D’altro canto, non è sufficiente sostenere che il divieto recato

dall’art. 12, comma 6 della legge n. 40/2004 abbia ad oggetto esclusivamente l’intermediazione commerciale, collocando nell’area del giuridicamente indifferente «i casi in cui la surrogazione di maternità non è frutto di un mercato, cioè quelli sorgenti da accordi spontanei tra le persone direttamente interessate»42: tale interpretazione, pure

astrattamente condivisibile, non supera del tutto il problema della mediazione del diritto penale in una dinamica di esperienza che chiama in causa, anzitutto, l’autodeterminazione della donna sul proprio corpo43.

Se dunque, come è stato affermato «commercio e profitto […] vanno sempre banditi» dall’orizzonte della surrogazione di maternità44, un inquadramento della surrogazione

medesima entro un paradigma che tenga assieme dignità, libertà e relazione non può che riservare alla mediazione penalistica un ruolo residuale, prevedendo e articolando piuttosto - prima, durante e dopo la surrogazione - strumenti di controllo che assicurino l’assenza di intermediazione commerciale, così come l’assenza di situazioni di concreta subordinazione della donna gestante rispetto ai genitori intenzionali o ancora che contrastino indebite ingerenze nella sua libertà di scelta anche durante la gravidanza: simili obiettivi possono essere ad esempio assicurati - e non mancano, nel diritto comparato, interessanti segnali in tal senso - negando l’autorizzazione del patto di

41 Come osserva Scalisi 2017, «il divieto di maternità surrogata ha bisogno di una necessaria rimeditazione

per uscire dal regno sovrano dell’incertezza e per scongiurare un duplice ordine di rischi che non si possono tacere né tanto meno si possono correre, il rischio della contrattualizzazione della filiazione e l’altro altrettanto grave dello sfruttamento dei soggetti deboli» (p. 1114).

42 Così, in particolare, Niccolai 2017b, p. 215: si tratterebbe in questo caso, secondo Niccolai, di accordi

«illeciti, ma non punibili né coercibili, la cui realizzazione passa attraverso il parto anonimo da parte della donna, il riconoscimento del nato da parte del padre naturale e la sua adozione in casi particolari da parte della moglie (oggi: dell’unito civilmente) di quest’ultimo». Tali accordi lascerebbero intatta, in particolare, la insindacabilità e non coercibilità della decisione femminile di rimanere incinta e partorire, invece inevitabilmente pregiudicata dall’eventuale introduzione della surrogazione nel nostro ordinamento.

43 Forti perplessità nei confronti del divieto penale esprime Brunelli 2017, 81, la quale ricorda che la

criminalizzazione dei comportamenti femminili nella sfera riproduttiva si è storicamente posta «come uno strumento fondamentale ed efficace di controllo della vita e del corpo delle donne»; d’altro canto, che la

ratio del divieto di surrogazione nell’ordinamento italiano consista nella «difesa della maternità libera e

responsabile dalla - innegabile e straripante - prepotenza della commercializzazione della vita e della riduzione delle donne a mere incubatrici» è affermato da Ronchetti, 2018, p. 205, la quale tuttavia precisa - in modo del tutto condivisibile - che «un divieto assoluto che coinvolga qualunque possibilità di scelta da parte della donna di segno diverso […] rispecchia […] l’incompiutezza di una costruzione giuridica dell’autodeterminazione sessuale e riproduttiva delle donne».

gravidanza da parte del giudice o dell’autorità pubblica a ciò preposta e predisponendo specifici strumenti di mediazione dei conflitti tra i soggetti coinvolti, ferma restando la libertà della donna di assumere tutte le decisioni relative alla gravidanza.

In altri termini, seguendo il paradigma qui proposto, una eventuale regolazione della surrogazione di maternità dovrebbe «adattarsi ad un contesto relazionale e non ad una tecnica medica» 45, né - tantomeno - al mero esercizio di autonomia contrattuale46.

Anche il tema del compenso, a ben vedere, si pone al crocevia tra riconoscimento della specifica posizione femminile nell’esperienza della surrogazione e rischi di contrattualizzazione della filiazione e concreta subordinazione della donna. A tale riguardo, un paradigma di comprensione della surrogazione quale quello qui proposto potrebbe forse consentire di superare la distinzione «fragile e ambigua»47 tra surrogazione

onerosa e gratuita, concretizzando piuttosto la tutela della libertà di scelta della donna, a partire dalla considerazione della sua esperienza di vita e relazione.

In tale prospettiva deve essere allontanato, in particolare, l’equivoco consistente nella sovrapposizione tra matrice solidaristica della surrogazione e suo carattere non oneroso48:

la valorizzazione della proiezione relazionale dell’autonoma scelta femminile problematizza la sua riduzione retorica al dono49, imponendo piuttosto di recuperare il

rapporto più profondo del dono stesso con reciprocità e (soprattutto) assunzione di responsabilità50.

45 Così Brunelli 2017, p. 85.

46 Tutto al contrario, in una prospettiva relazionale dovrebbe aversi riguardo al fatto che «la volontà della

madre biologica si forma entro una relazione di reciproco riconoscimento con i genitori intenzionali, cui è difficile attribuire un contenuto giuridicamente rilevante ben definito ed una forma coerente a tale (incerto) contenuto» (Pezzini 2017b, p. 96), sicché la relazione - diversamente da quanto avverrebbe in una fattispecie esclusivamente contrattuale - informa di sé la maturazione del consenso, secondo canoni di reciproca cura e mutua assistenza nell’esperienza della surrogazione, lungo tutto il suo svolgimento.

47 Come la definisce efficacemente, seppur in prospettiva diversa da quella qui accolta, Olivito 2017, p. 22. 48 Sovrapposizione assai diffusa, come dimostra la stessa richiamata decisione del Tribunale costituzionale

portoghese. Come avverte Saraceno 2017, p. 5, la motivazione altruistica non implica necessariamente assenza di compenso, giacché «l’altruismo è dimostrato dalla disponibilità ad ospitare un bambino che sta crescendo nel proprio corpo e nella mente, ad essere preparati a mediare e a partecipare ad una complessa rete di rapporti», con la significativa conseguenza che «il divieto totale in nome dell’altruismo è anch’esso una forma di sfruttamento delle donne».

49 Ad esempio, Scalisi 2017, p. 1100, parla a tale riguardo di «umana abnegazione», legando ad essa

l’interpretazione dell’intento solidaristico sotteso alla scelta di partorire per altri; per toni analoghi Ruggeri 2017.

50 Che l’interpretazione della dinamica del dono non possa prescindere - nell’esperienza della surrogazione

- dall’esistenza di una relazione che comprende anche l’assunzione di responsabilità verso il nascituro, cfr. Pezzini 2017b, p. 108; l’ambiguità del referente semantico del dono nell’articolazione delle esperienze di procreazione assistita con donazione di gamete e di surrogazione di maternità è discussa in modo convincente - mettendo in luce l’inevitabile proiezione relazionale del dono medesimo - da Carone 2016,

In secondo luogo, è necessario evitare di appiattire il paradigma contrattuale (generato a sua volta da una declinazione in astratto della libertà dei soggetti coinvolti, e della stessa donna gestante) sul paradigma commerciale, e liberare l’onerosità stessa da questo rischio, distinguendo il tema del compenso, o del rimborso delle spese sostenute dalla gestante, dal diverso tema della mediazione commerciale.

Se riportata alla dinamica della relazione che si instaura nell’esperienza della surrogazione, l’onerosità può essere piuttosto intesa come riconoscimento del valore specifico del tempo di vita e cura51 che la donna gestante mette a disposizione52, nel

quadro di specifici limiti e controlli giuridici che garantiscano la libertà di scelta in

concreto: se un tale controllo, come evidente, non può essere garantito a pieno dalla

mediazione di agenzie private - come nel modello californiano - che, per loro natura, non garantiscono la neutralizzazione rispetto alla torsione delle relazioni secondo una logica di profitto, possono piuttosto essere valorizzate le risorse di una mediazione pubblicistica, da tradurre nell’intervento del giudice (come nel modello greco) o di autorità indipendenti (come nel modello portoghese).

Nel documento (Ri?) pensare la maternità (pagine 193-196)

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