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Alla ricerca di un paradigma

Nel documento (Ri?) pensare la maternità (pagine 186-189)

La sintetica esposizione delle ragioni delle due Corti - ferma restando la diversità dei contorni dei relativi giudizi - lascia emergere con sufficiente chiarezza i termini della

14 Che, nella Costituzione portoghese, opera anche quale limite interno alla disciplina della procreazione

medicalmente assistita, ai sensi dell’art. 67, comma 2, lett. e) a mente del quale è compito dello stato «regulamentar a procriação assistida, em termos que salvaguardem a dignidade da pessoa humana».

15 Per questo, dalla concezione esigente dell’autodeterminazione della donna (e delle altre parti coinvolte)

discendono alcune importanti dichiarazioni di incostituzionalità, relative in particolare: a) all’assenza del diritto al ripensamento, nel suo intreccio anche con il diritto ad interrompere la gravidanza; b) conseguentemente, all’automatica previsione dell’attribuzione al nato dello status di figlio dei genitori intenzionali (è censurato l’automatismo, proprio perché non contempla l’eventualità del ripensamento della donna); c) sempre conseguentemente, di una serie di previsioni che - a detta della Corte - non disciplinano con sufficiente dettaglio (e soprattutto, rinviando alla fonte regolamentare e non a quella legislativa) i contenuti dell’accordo tra la gestante e i genitori intenzionali.

polarizzazione, e rende evidente come alla base dei diversi posizionamenti in tema di surrogazione vi siano diverse comprensioni della dignità.

Laddove infatti la Corte costituzionale italiana sembra muoversi nell’orizzonte di una declinazione rigida del rapporto tra dignità e libertà - escludendo che nello spazio dell’autonomia femminile possa rientrare la scelta di portare avanti una gravidanza e partorire per altre o altri, a ciò ostando il bene della dignità della donna medesima e il valore di fondamentali relazioni umane che verrebbero da tale scelta irrimediabilmente pregiudicate - il Tribunale costituzionale portoghese declina il rapporto tra dignità e libertà riconoscendo nell’autodeterminazione solidale a partorire per altri (non priva, come si è visto, di limiti anche penetranti, e soprattutto declinata in concreto a partire da condizioni di effettiva libertà di scelta, con esclusione di ogni forma di subordinazione prima della scelta e durante l’esperienza che ne consegue) una forma di libero svolgimento della personalità del tutto coerente con il principio di dignità, ed anzi un percorso di costruzione della soggettività cui la donna può annettere valore, ottenendone entro certi limiti il riconoscimento giuridico.

La comparazione, dunque, anche in questo caso sovverte, esponendo il giurista alla necessità di confrontarsi criticamente con il proprio ordinamento «di partenza»16.

Esposto più di altri giuristi alla «alterité en droit»17, il comparatista è infatti chiamato a

riflettere sulla possibilità di elaborare strumenti epistemologici capaci di agevolare la conoscenza e la comprensione delle diverse esperienze giuridiche, perseguendo il delicato equilibrio tra coscienza delle differenze e ricerca di punti di contatto. Se dunque, come è stato affermato, il principale problema metodologico con cui il comparatista è chiamato a confrontarsi è quello della «sostenibilità della differenza»18, lo strumento più adeguato

a tal fine non è allora tanto l’elaborazione di modelli, quanto piuttosto la ricerca di

paradigmi. Al comparatista, infatti, il paradigma offre un orizzonte, entro il quale

osservare le diverse manifestazioni dell’esperienza giuridica19, senza inquadrarla entro

16 Sulla funzione sovversiva della comparazione, ormai classica la lettura di Muir Watt 2000 mentre, sul

metodo comparativo v. in generale Scarciglia 2018, Monateri (ed.) 2012, Cervati 2009 nonché, se si vuole, Schillaci 2018b, specie pp. 109 ss.

17 Questa, in particolare, la posizione di Legrand 1999; per ulteriori sviluppi cfr. Legrand e Munday 2003. 18 Come recita il sottotitolo della nota opera di Glenn 2010.

19 Nel senso che «nella storia costituzionale comparata, il “pensare per paradigmi” non si rivela funzionale

alla costruzione di generalizzazioni astratte, ma tende a far scaturire dalla complessità e dalla varietà delle esperienze criteri e orientamenti per la comprensione del reale […] che si dipana attraverso un itinerario storico-comparativo», cfr. Ridola 2016, p. 66.

modelli astratti: esso pare così funzionale ad una declinazione critica della comparazione, strettamente legata all’irriducibilità dell’altro a schemi fissi e prestabiliti20.

D’altra parte, come è stato affermato, nel caso della surrogazione di maternità diviene particolarmente necessario sfuggire «all’ingabbiamento entro griglie normative predefinite rispetto alle quali non si potrebbero che forzare inadeguate assimilazioni», riformulando piuttosto «le parole e gli istituti giuridici che definiscono i contesti relazionali in cui si realizza l’esperienza di una gravidanza che si viene saldando ad un progetto genitoriale altrui»21.

Nel caso che ci occupa, inoltre, l’articolazione dei paradigmi risente inevitabilmente delle diverse comprensioni della dignità (e del suo rapporto con la libertà) che sono alla base di essi: così, la riduzione della surrogazione di maternità ad un paradigma esclusivamente contrattuale rinvierà ad una comprensione della dignità che valorizza le risorse dell’autonomia (negoziale) in modo prevalente rispetto al contenuto di valore annesso alla dignità medesima, declinando la libertà in termini tendenzialmente formali e astratti, e delegando completamente all’autonomia delle parti il concreto assetto delle relazioni e degli interessi in gioco; parimenti, un paradigma esclusivamente solidaristico rischia di sfumare eccessivamente (romanticamente, verrebbe da dire) la concretezza delle situazioni di vita mobilitate dall’esperienza della surrogazione, neutralizzando e rimuovendo il conflitto, che invece deve essere riconosciuto.

Diviene allora necessario mettersi alla ricerca di un terzo paradigma che, integrando libertà, solidarietà e cura (e dunque, libertà e responsabilità), non eluda il conflitto e le concrete vicende di subordinazione; e che, soprattutto, riconoscendo la posizione di tutti i soggetti coinvolti nell’esperienza della surrogazione, viri decisamente verso una prospettiva relazionale.

A sua volta, detto paradigma non potrà che fondarsi su una declinazione del principio di dignità personale - e del suo rapporto con il principio-libertà22 - che sia idonea ad

inquadrare le complesse questioni che sorgono dall’esperienza della surrogazione di maternità, assicurando adeguato riconoscimento alle esperienze di tutti i soggetti coinvolti - ivi compresi i genitori intenzionali e il nascituro - senza cedere a

20 Per ulteriori approfondimenti sul punto, sia consentito rinviare nuovamente a Schillaci 2018b, pp. 125

ss.

21 Così Pezzini 2017b, p. 108.

semplificazioni e, soprattutto, evitando di eludere alcuni snodi centrali quali l’origine femminile della vita, la sua declinazione intimamente relazionale23, ma anche il

problematico intreccio tra riconoscimento della libertà di scelta femminile e concrete vicende di subordinazione (evitando al tempo stesso di declinare l’autodeterminazione in termini astratti e, viceversa, di impostare i modelli di regolazione in senso paternalistico, con il connesso rischio di muovere da una concezione della donna come vittima, piuttosto che come soggetto capace di autodeterminarsi).

Nel documento (Ri?) pensare la maternità (pagine 186-189)

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