Mi pare che i relatori intervenuti nel convegno torinese del 25 maggio, così come la grande maggioranza dei giuristi che si esprimono oggi su questo tema complesso, concordino sul fatto che la maternità per surrogazione non possa di per sé e a priori considerarsi in contrasto con i principi fondamentali di diritto interno e sovranazionale1 e
che occorra in concreto valutare caso per caso le singole fattispecie di surrogacy.
Le opinioni divergono tuttavia poi sull’individuazione dei pertinent elements for
distinguishing: da un lato per la selezione delle fattispecie ammissibili de jure condendo,
1 Esemplare l’affermazione di P. Palmeri in questo fascicolo, secondo cui «dai principi fondamentali
attualmente vigenti nel nostro ordinamento giuridico non può trarsi un divieto assoluto all’ammissibilità della gestazione per altri». Le voci sono in gran parte di giuriste seppur di diversa formazione: cfr. S. Niccolai e E. Olivito, 2017; D. Danna, 2017; E. Lamarque, 2017. Decisamente favorevole mi pare invece S. Stefanelli, 2016, la quale valorizza la riflessione «a valle», sulle conseguenze della surrogazione di maternità e quindi considera prevalente l'interesse del minore al riconoscimento giuridico di un rapporto di filiazione che esiste nei fatti.
dall’altro per individuare il regime giuridico applicabile de jure condito alle situazioni che si presentano in concreto all’attenzione dei giudici. Un’opinione diffusa in particolare tra i civilisti in quanto espressione dell’attenzione alla relazione negoziale tra la gestante e i genitori d’intenzione individua la gratuità come tratto caratterizzante di ogni surrogacy ammissibile2. A mio avviso non si tratta tuttavia di una distinzione decisiva3: anzitutto
perché non mi pare che l’esclusione della dimensione economico-mercantile garantisca di per sé l’autodeterminazione e la dignità della donna (individuate come interesse tutelato); la categoria appare poi assai fumosa se la si guarda in concreto (può per esempio parlarsi di gratuità nel caso in cui sia previsto un rimborso spese che garantisca una compensazione pecuniaria per la mancata produttività lavorativa durante il periodo della gravidanza? Come non considerare poi che la somma versata dai genitori di intenzione può non avere per gli stessi la valenza retributiva che però può rivestire in un diverso ambiente di vita?)4. Altri autori propongono di distinguere secondo l’ordinamento del
Paese di origine, concentrando le concettualizzazioni sul «modello forte» californiano così come frutto della sistematizzazione del diritto vivente dopo la pronuncia della Corte Suprema Johnson c. Calvert del 19935. Altri ancora pongono attenzione sulla necessità
di tenere separato il piano delle considerazioni in astratto sulla legittimità della surrogacy e quello sulle conseguenze «a valle» della stessa quando già realizzata e dunque qualora si sia in presenza del minore il cui interesse al riconoscimento dello status familiare esistente de facto assume un peso spesso determinante6.
Personalmente concordo con quella parte della dottrina che individua in modo trasversale l’elemento decisivo della riflessione sulla surrogacy nella relazione tra la gestante e
2 Cfr. P. Palmeri in questo fascicolo. In giurisprudenza in questo senso già Trib. Roma 17 luglio 2000, Fam.
e dir., 2000, 151 la quale fonda la validità del contratto sull’assenza di motivi di lucro. Condanna senza
appello la surrogacy commerciale sospendendo invece il giudizio su quella altruistica il Comitato Nazionale di Bioetica (18 marzo 2016).
3 Ritengo a priori che il contratto non sia strumento idoneo a disciplinare i rapporti che nascono dalla
surrogacy. Utili elementi di riflessione mi pare emergano mutatis mutandis dall’evoluzione dell’istituto
dell’adozione, anch’esso originariamente fondato su un accordo tra le parti ma oggi pacificamente strumento di politica sociale presidiato anche penalmente da divieti di compravendita e intermediazione.
4 Nell’impossibilità in questo breve intervento di analizzare a fondo la questione mi limito a ricordare che
in un sistema quale quello inglese in cui l’assenza di onerosità dell’accordo è requisito legale le Corti sono poi in concreto assai flessibili nel vaglio dell’importo delle spese rimborsabili («reasonable expenses»), ben potendo per esempio le stesse consistere in una liquidazione anticipata e forfettaria e inclusiva dei mancati o ridotti guadagni da lavoro durante il periodo della gravidanza.
5 Cfr. P. Palmeri in questo fascicolo.
l’infante7. E si tratta di una relazione che non esito a definire «materna» poiché: a) ha una
specificità legata al sesso (e non al genere); b) dà conto dell’elemento caratterizzante della tecnica di procreazione, cioè la presenza di una donna che accetta la fecondazione/ l’impianto di materiale genetico altrui, porta avanti la gravidanza, partorisce e poi consegna il figlio al/ai genitori d’intenzione; c) recepisce le indicazioni del legislatore che nella legge 19 febbraio 2004, n. 40 che parla di «surrogazione di maternità» e altrove qualifica «madre» anche la donna che rifiuta la genitorialità sociale (art. 30 D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396). Da qui peraltro la mia contrarietà alle spinte linguistiche a espungere il riferimento alla «maternità» dalla locuzione identificativa del fenomeno (penso per tutti alla locuzione «gestazione per altri» in auge anche grazie all’influenza della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo)8. Mi pare peraltro che
proprio la prospettiva fondata sulla relazione materno-filiale, rispetto alla quale cercherò di portare un piccolo contributo nelle pagine che seguono, abbia il pregio di consentire una riflessione trasversale sulla surrogacy: ex ante perché contribuisce a costruire de jure
condendo un modello ammissibile; ex post perché i principi individuati possono,
attraverso il limite dell’ordine pubblico, impedire il riconoscimento in Italia di specifiche fattispecie di maternità per surrogazione che violino principi fondamentalissimi del diritto familiare e minore9. In questo senso mi pare peraltro deponga – e il dato quantitativo non
è di scarsa importanza visto anche il rilievo del consensus nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo – il fatto che quasi tutti i Paesi che ammettono la surrogacy garantiscono, con modalità diverse, il ripensamento della donna ed il diritto del figlio alla conoscenza delle proprie origini.10
7 Il riferimento è a B. Pezzini, in questo fascicolo e Eadem, 2017, 91. 8 In questo senso anche E. Olivito, in E. Olivito e S. Niccolai, cit., 3 ss.
9 Al contrario, oggi la tendenza della giurisprudenza sembra l’assolutizzazione dell’interesse del minore
come un feticcio per escludere ogni valutazione della conformità ai principi fondamentalissimi in materia di famiglia e minori degli atti stranieri relativi all’esistenza di rapporti di filiazione tra persone residenti in Italia e bambini nati all’estero con surrogazione di maternità. Declinati solo come diritto relazionale del bambino (e dei genitori d’intenzione) alla «continuità degli affetti» e al riconoscimento dello status di filiazione validamente acquisito in un altro Paese, i best interests del minore estromettono dunque ogni esame di compatibilità degli effetti della fattispecie con altri «valori», per esempio l’interesse del figlio alla «conservazione del nome della madre. Per un approfondimento di tale riflessione si consenta il rinvio a Di
madre non ce n’è una sola, ma di utero sì. Alcune riflessioni sul ruolo dell’ordine pubblico internazionale nelle fattispecie di surrogazione di maternità, in E. Olivito e S. Niccolai, Maternità, filiazione, genitorialità,
cit., 145 ss.