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Dimensioni della dignità, corpo e autodeterminazione

Nel documento (Ri?) pensare la maternità (pagine 189-193)

Può farsi sintetico riferimento, per delineare la comprensione della dignità che si ritiene idonea ad articolare un paradigma ricostruttivo della gestazione per altri, a quelle posizioni che ritengono che il bene protetto dal concetto giuridico di dignità non sia tanto una essenza, quanto una esperienza incarnata di libertà, e che pertanto della dignità stessa debba essere superata una declinazione astratta, costruendola piuttosto «in modo da dover essere sempre misurata sulla concretezza delle situazioni»24. Non solo allora, in tale

prospettiva, la dignità «trova nella persona il luogo della sua determinazione»25; allo

stesso tempo, la consapevolezza che il processo di realizzazione della dignità personale si trova immerso in una rete di relazioni, consente «di andare oltre le contrapposizioni tra dignità soggettiva e oggettiva, tra dignità come potere o come limite, per la compresenza nel medesimo principio di queste diverse dimensioni»26.

In quest’ottica, il rapporto stesso tra dignità e autodeterminazione deve essere declinato non in astratto, ma in concreto: se il concetto giuridico di dignità, infatti, riconosce, protegge e promuove esperienze incarnate di libertà, nel caso della surrogazione di maternità è anche ai corpi - e primariamente alla loro differenza sessuata, al differente ruolo che essi assumono nel processo generativo, e al modo in cui condizionano

23 Sicché un eventuale modello regolatorio della surrogazione dovrebbe orientarsi a disciplinare «un sistema

di relazioni basato sul riconoscimento dell’origine»: così Pezzini 2017b, p. 111.

24 Rodotà 2010, pp. 190-191.

25 Ivi. p. 194: ciò avviene appunto, prosegue Rodotà, «non per custodire un’essenza, bensì per mettere

ciascuno nella condizione di determinare liberamente il proprio progetto di vita» (ibid.).

l’esercizio di libertà - che si deve guardare, includendo tale dimensione (accanto, e non in sostituzione delle altre) nella costruzione del paradigma.

In altri termini, per chiarire portata e limiti del rapporto tra dignità e autodeterminazione, è necessario riflettere sui caratteri del soggetto cui l’autodeterminazione è riferita27,

dipendendo da essi - ed in particolare dal grado di astrazione che si persegua nella identificazione del soggetto medesimo28 - l’esatta definizione del perimetro degli spazi di

esperienza aperti dall’esercizio di libertà e dei loro complessi rapporti con eguaglianza e non discriminazione29.

Esiste, dunque, una stretta correlazione tra comprensioni della dignità - e del suo rapporto con la libertà di autodeterminarsi - e immagine (o immagini) della persona umana con le

27 In questa prospettiva si muove ad esempio Ronchetti 2018, specie pp. 114 ss.

28 Proprio nella prospettiva di un inquadramento costituzionale della surrogazione di maternità Brunelli

2017, p. 80, segnala condivisibilmente il rischio di una «falsa neutralità del soggetto di diritto» la quale implica, in primo luogo, la neutralizzazione della differenza di genere e imposta in termini astratti l’universalismo dei diritti.

29 Non può essere questa la sede, come evidente, per esaurire la riflessione sui complessi rapporti tra dignità,

libertà, eguaglianza e differenza. Tuttavia, proprio il dibattito attorno alla surrogazione di maternità ha rappresentato l’occasione per un profondo ripensamento del paradigma antidiscriminatorio come strumento di comprensione a approccio alle questioni legate al riconoscimento delle diverse esperienze di genitorialità e vita familiare (la trattazione del tema in una prospettiva «non neutra» è, ad esempio, l’obiettivo dichiarato da Niccolai e Olivito, 2017): le diverse posizioni sul punto risentono, evidentemente, di precomprensioni più profonde relative allo stesso rapporto tra libertà, eguaglianza e riconoscimento delle differenze nella prospettiva della dignità, specie in relazione all’inquadramento costituzionale della differenza sessuale e di genere. Tuttavia, se da un lato ragionare in termini di eguaglianza - condivisibilmente - non può e non deve condurre ad una neutralizzazione delle differenze, quelle stesse differenze devono essere declinate, come mostra in parte proprio la complessità di un approccio giuridico-costituzionale alla surrogazione, a partire dall’interpretazione che delle stesse dia il soggetto coinvolto, nell’esercizio della propria autonoma costruzione di vita, con l’unico limite esterno rappresentato da un intervento normativo che resista, escludendole e contrastandole, a situazioni di concreta subordinazione (e umiliazione), così inverando - al tempo stesso - il principio di dignità. In altri termini può essere condivisa la prospettiva di chi parla, a tale riguardo e proprio con riferimento al contrasto alla subordinazione di genere, di «diritto diseguale non discriminatorio», declinando l’eguaglianza in prospettiva soggettiva e ancorando l’effettività del divieto di discriminazione alle concrete vicende della differenza (Pezzini, 2017a, specie pp. 184-185). Non si tratta dunque, come è stato affermato, di «passare dalla visione antidiscriminatoria a quella della valorizzazione delle differenze, quanto di cogliere in tutta la sua portata quella dignità sociale che è concetto - sia chiave

che ponte - tra il principio di uguaglianza formale e quello sostanziale» (così Ronchetti 2018, p. 217, corsivi

aggiunti). In altri termini, la prospettiva più adeguata per affrontare il tema della surrogazione di maternità tenendo assieme, a un tempo, riconoscimento dell’autonomia femminile e delle diverse esperienze di costruzione della vita familiare, consapevolezza dell’insopprimibile asimmetria procreativa tra i sessi e contrasto di ogni ipotesi di subordinazione sembra essere quella che fa premio su interpretazioni del principio di eguaglianza che nel legame con il principio-dignità trovino non tanto uno strumento di neutralizzazione delle differenze (o universalizzazione della condizione umana), quanto piuttosto il veicolo per una loro valorizzazione dinamica, a partire dalle relazioni e dalla comparazione concreta tra situazioni: in questo senso, la pari dignità sociale - come illuminata dalla più ampia comprensione dell’umano resa possibile da dinamiche di riconoscimento solidale - diviene termine medio tra libertà, eguaglianza e solidarietà: per ulteriori approfondimenti sul punto, sia consentito il rinvio a Schillaci 2018b, specie pp. 160 ss. e 210 ss.

quali il costituzionalismo è chiamato a confrontarsi (e che esso contribuisce, per altro verso, a costruire): quanto più il soggetto sarà disincarnato, tanto più il rapporto tra dignità e autodeterminazione finirà per essere inquadrato entro paradigmi astratti, e più sfumati si faranno i limiti dell’autodeterminazione medesima. Viceversa, quanto più il soggetto apparirà incarnato in concrete esperienze di vita e relazione, tanto più l’autodeterminazione potrà essere fin dal principio messa a sistema con le istanze di solidarietà e (cor-)responsabilità30, e dunque con i complessi equilibri derivanti dal

rapporto tra dignità, autodeterminazione e libero svolgimento della personalità in

formazioni sociali31, ma anche con lo specifico rilievo che assume, nell’esperienza della

surrogazione, la dimensione della corporeità32.

A tale riguardo, si osservi tuttavia, in primo luogo, che la stessa dimensione corporea non deve essere declinata, paradossalmente, in termini astratti ma che, tutto al contrario, la corporeità non è scissa dalla trama di relazioni in cui essa è immersa: come suggestivamente affermato da Butler, infatti, il corpo - nonostante il limite dato dai suoi confini (dunque dalla sua vulnerabilità), ed anzi proprio in virtù di essi - è definito attraverso le relazioni, che rendono possibili vita e azione e che, dunque, possono incidere sulla concreta conformazione dei principi di solidarietà e corresponsabilità33.

In secondo luogo, e con specifico riferimento all’esperienza della surrogazione, deve essere allontanato il rischio di ridurre una simile scelta ad un mero atto dispositivo del proprio corpo, dovendosi piuttosto considerare che l’esperienza della gravidanza mobilita la dignità femminile ben al di là della sola dimensione corporea, rinviando alla più complessiva esperienza di vita della donna e includendo dunque aspetti etici, morali e di relazione34. In questo senso, il corpo è limite nella misura in cui impone di considerare -

e includere in un eventuale schema di regolazione - non solo beni e posizioni

30 Per suggestioni in questo senso, fondamentale Ridola 1997, pp. 39 ss.

31 In altri termini, l’autonomia - come afferma efficacemente Ronchetti 2018, pp. 104 ss. - non è infatti una

«invariante» ma «un concetto multidimensionale e variabile secondo il contesto di riferimento» (così p. 119; v. anche ivi, pp. 191 ss.); analogamente Pezzini 2017b, p. 106, invita - assai suggestivamente - a «guardare alla relazione non come un dopo rispetto all’autonomia individuale […] bensì come alla vita

stessa dell’autonomia individuale, che si costruisce nella relazione interpersonale».

32 La quale indubbiamente resiste, in dialogo con il principio di dignità, «anche quando ad animare la

volontà di disporre del proprio corpo o di parti di esso è lo spirito di solidarietà» (Angelini 2017, p. 36).

33 Cfr. Butler 2016, p. 16.

34 Sul rapporto tra autonomia femminile e scelte procreative, ed in particolare sulle difficoltà di

inquadramento (diritto alla salute vs. libertà personale), cfr. Ronchetti 2018, pp. 199 ss., nonché Ead., in questo Volume.

immediatamente implicate dalla dimensione corporea (su tutti, ad esempio, la tutela della salute), ma anche il concreto articolarsi della libertà femminile, il suo rapporto con l’esperienza di vita della donna e la trama di relazioni in cui essa è immersa o cui intende dare vita.

D’altro canto, la declinazione relazionale della surrogazione di maternità35 e della sua

dimensione di esperienza deriva immediatamente dall’intima e originaria apertura alla relazione dello stesso corpo della donna in gravidanza36. Allo stesso tempo, tuttavia, si

tratta di una relazionalità che - se interpretata in modo esigente, e soprattutto coerente con un paradigma di comprensione della dignità ancorato nella concretezza delle esperienze che alla surrogazione danno luogo (e che da essa si dipanano) - si proietta inevitabilmente

al di fuori del corpo femminile (e della stessa relazione tra gestante e nascituro) e oltre il

tempo della gravidanza.

Per comprendere un così complesso universo di relazioni, non è possibile - allora - fare affidamento su modelli ma, appunto, articolare paradigmi che riconoscano la complessità e la mantengano in tensione senza eluderla, allontanando posizioni rigide o principi assoluti e muovendosi piuttosto entro l’orizzonte di concrete realizzazioni di giustizia, in prospettiva comparativa37.

In questa prospettiva, nel momento in cui decidono di intraprendere una esperienza di surrogazione di maternità, i genitori intenzionali e la donna gestante dovrebbero essere consapevoli di dare inizio ad un percorso che non sempre e non necessariamente si riduce alla mera applicazione di una tecnica medica, né ad una fattispecie contrattuale, ma può instaurare relazioni che investono l’assunzione di una responsabilità verso il nascituro e possono proiettarsi anche al di là della gravidanza e della nascita: così declinata - e con l’avvertenza che si sta ragionando, de iure condendo, nell’orizzonte di un ben preciso paradigma di comprensione del fenomeno, e nella consapevolezza che la realtà è molto spesso assai distante da esso - l’esperienza della surrogazione può condurre ad un allargamento della costellazione familiare38, se così desideri anzitutto la donna (alla

35 Di «contesto situazionale» parla, in particolare, Scalisi 2017, p. 1097.

36 Molto efficacemente, Pezzini 2017a, sottolinea che - in tale prospettiva - la gravidanza deve essere

riguardata come «quell’esperienza relazionale specifica […] caratterizzata dalla peculiare condizione di un corpo di donna che è due e uno contemporaneamente, che diventa unità duale», (pp. 190 ss., 198; cfr. anche Ead. 2017b, p. 109); Olivito 2017, p. 19 parla di una «origine che è già relazione».

37 In questi termini, cfr. ad esempio Saraceno 2017, p. 6.

quale, ad esempio, dovrebbe essere garantito un diritto di visita, nell’inevitabile bilanciamento con i desideri e con l’interesse del nato)39. Allo stesso tempo, la

surrogazione è parte della storia personale del nascituro, al quale deve essere garantito il diritto - da bilanciarsi con quello della donna a non far parte, se non lo desidera, della vita di quel bambino40 - di conoscere la propria origine, con la conseguenza significativa che,

di fronte a tali posizioni, la posizione dei genitori intenzionali dovrebbe cedere. In quest’ottica, se ben vediamo, il riconoscimento dell’origine femminile della vita potrebbe essere messo a sistema - attraverso il rilievo decisivo di una prospettiva relazionale - con il riconoscimento del progetto di vita familiare dei genitori intenzionali e, soprattutto, con la tutela della posizione del nascituro e della donna stessa rispetto a situazioni di concreta subordinazione.

5. Conseguenze pratiche e diversità di modelli di disciplina: alcuni snodi

Nel documento (Ri?) pensare la maternità (pagine 189-193)

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