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La tutela giuridica della relazione di gravidanza

Nel documento (Ri?) pensare la maternità (pagine 36-48)

La protezione della relazione di gravidanza non risiede nel preteso principio codicistico per cui sarebbe sempre madre chi ha partorito. Tale soluzione finirebbe col sottrarre il minore ai suoi genitori, o privarlo del riconoscimento giuridico di uno di loro, la madre, senza assicurargli peraltro una effettiva relazione con la donna che lo ha messo al mondo, la quale ha dichiarato comunque, secondo la sua legge nazionale, la volontà di non essere nominata.

L’applicazione della regola codicistica dell’accertamento della maternità attraverso il parto, non avrebbe in buona sostanza il fine di rispondere al concreto interesse né del minore, né della donna che lo ha portato in grembo, ma sarebbe diretto a rendere meno appetibile il ricorso alla GPA all’estero. Si avrebbe, allora, una strumentalizzazione del

minore, di dubbia compatibilità col principio personalistico che informa la nostra

Costituzione, in ultima analisi ammettendo, com’è stato autorevolmente detto, una «misura di dissuasione e non di giustizia» (Zatti, 2000).

Come rammentato dal Tribunal Constitucional lusitano (citando Günter Dürig), «la dignità umana è ferita quando l’essere umano è degradato in concreto ad oggetto, a un semplice mezzo, a una realtà sostituibile»82. Tale definizione della dignità umana non si

attaglia alla donna che, in piena coscienza ed autonomia, libera da condizionamenti, operi la scelta di contribuire alla nascita di un bambino altrui anche dietro compenso, mentre tale degradazione si ritrova senz’altro ove lo status del minore sia determinato non in funzione del suo benessere, ma per pretesi scopi di prevenzione generale. Il preteso effetto general-preventivo, d’altra parte, è assai dubbio, posto che certamente il desiderio di genitorialità ha continuato e continuerebbe a muovere le coppie italiane verso i paesi dove è possibile generare con GPA, nonostante il rischio che uno solo dei due genitori sia poi legalmente riconosciuto in Italia (salvo, peraltro, il ricorso all’adozione ex art. 44 lettera

b o d).

Il rilievo che deve essere assicurato alla relazione di gravidanza e la tutela che ne dovrebbe conseguire, non impone di affermare uno stravolgimento dei principi in materia di maternità, iscrivendo più mamme (di pancia, genetica, di intenzione) nell’atto di nascita83.

Ciò nonostante, muovendo comunque sul piano dell’innovazione legislativa, non è da escludere del tutto che la relazione di gravidanza possa essere annotata nell’atto di nascita. Non come relazione materna, ma come traccia della storia personale del minore (che avrebbe forse l’effetto di costringere anche le coppie eterosessuali a disvelare sempre ai propri figli le modalità con cui sono venuti al mondo). L’annotazione nell’atto di nascita delle modalità con cui la persona è nata, magari anche con l’annotazione del nome della donna che ha partorito, certo non come madre, ma come gestante, o portatrice, o partoriente, assumerebbe invero un valore simbolico di riconoscimento della relazione di

gravidanza come atto fondante, insostituibile e centrale della procreazione. Ne

andrebbero tuttavia verificate le compatibilità e gli effetti sotto il profilo di un eccessivo stigma imposto sulla persona, delle modalità di tutela del suo diritto alla riservatezza (eventualmente con la possibilità per la persona in età adulta di richiederne la cancellazione), della compatibilità con l’esercizio da parte della partoriente del diritto, garantito all’estero, di non essere nominata, delle ricadute in caso di trasferimento in un paese con legislazione più severa (la Turchia e la Malesia, ad esempio, perseguono penalmente la donna o i genitori che abbiano eseguito una GPA all’estero).

83 È questa la proposta de iure condendo di Pezzini, 2017b, p. 94, per cui «l’esistenza del nome della madre

biologica nelle attestazioni della nascita garantisce, ai due soggetti che ne sono stati protagonisti, il riconoscimento essenziale della relazione di gravidanza che li ha uniti ed è stata indispensabile al compimento del progetto riproduttivo».

Scontato, comunque, che le varie proposte de iure condendo oggi sul campo hanno allo stato scarse possibilità di successo, resta il tema del riconoscimento, de iure condito, di tale relazione di gravidanza. Posto che tale pratica resiste al divieto, ed è anzi in espansione, in Italia e nel mondo, si pone il tema delle modalità più indicate per affermare la rilevanza del ruolo della donna gestante nella procreazione e della protezione assicurabile, qui e ora, alla relazione fra il bambino e la donna che ha contribuito in modo così essenziale a metterlo al mondo.

Muovendo dalla ricostruzione del patto di gravidanza per altre come istituto di diritto di famiglia volto a creare un insieme, complesso, di relazioni familiari, alla relazione fra gestante e nato, a ben vedere, non può non riconoscersi natura lato sensu familiare. Non si tratta, invero, di dare efficacia ad un accordo negoziale illecito per il nostro ordinamento, ma di riconoscere che la relazione di gravidanza, in quanto relazione di fatto, incontra e verosimilmente merita, anche dopo il parto, la protezione assicurata dall’art. 8 della Convenzione europea dei diritti umani alla vita familiare de facto. Come si é autorevolmente sostenuto, dato atto della straordinarietà della relazione sottesa alla gravidanza per altre e altri, occorre muoversi infatti nella prospettiva di «una nuova

concezione della parentela» (Saraceno, 2017). La relazione di gravidanza che lega la

gestante al nato non perde di significato e di rilevanza giuridica dopo il parto, ma permane nella realtà del minore come relazione di natura familiare. Tale relazione familiare di fatto, tale parentela (in termine giuridicamente atecnico, ma assai significativo), merita dunque di adeguata protezione già de iure condito, non come relazione genitoriale (la quale sarebbe imposta contro la volontà della donna e contro l’interesse superiore del minore), ma come diritto di visita (Laufer-Ukeles, 2013, 1254), il quale va assicurato,

anche contro la volontà dei genitori84, nell’interesse del minore. Tale diritto di visita e di contatto implicherebbe, inoltre, il diritto del nato di conoscere l'identità della donna che

ha contribuito a metterlo al mondo (come già accade nella prassi californiana), così da poterla contattare, e il diritto della donna ad avere conoscenza del luogo ove vive il minore e di mantenere, se lo vuole, una relazione di visita, secondo le modalità concordemente

84 Da questo punto di vista la soluzione esegetica qui proposta va oltre l’idea per cui «l'intensità e i modi di

questa relazione possono essere negoziati tra le parti ed evolversi col tempo» (C. Saraceno, 2017, p. 6) e la gestante potrebbe solo «concordare con i genitori intenzionali le modalità per essere tenuta presente nella vita del bambino» (Pezzini, 2017b, p. 111).

determinate con i genitori, o, in mancanza di accordo, secondo le determinazioni che saranno date dal giudice, nell’esclusivo interesse del minore.

Tale soluzione esegetica non avrebbe soltanto il vantaggio di una verosimile praticabilità già in via interpretativa, senza necessità di intervento legislativo, ma avrebbe l’indubbio pregio di muoversi non solo nella sfera del simbolico, ma anche del concreto dipanarsi delle relazioni (fra la donna che ha generato il bambino e questi; fra la stessa e i suoi genitori; fra questi e il minore), ponendo finalmente al centro la donna che ha generato e assicurando, peraltro, il pieno rispetto della sua autodeterminazione, posto che il concreto esercizio del diritto di visita dipenderebbe comunque dalla donna (e non le sarebbe imposto, come accadrebbe, invece, se l’annotazione del suo nome nell’atto di nascita potesse essere ordinato anche contro la sua volontà, legittimamente espressa con la richiesta di non essere nominata, secondo le proprie leggi nazionali).

Tale prospettiva ermeneutica, inoltre, avrebbe il non trascurabile effetto di spingere le parti, sin dall'inizio e dunque già al momento della ricerca dei partners con cui intraprendere un percorso di GPA (gestante/genitori), a tenere conto che ha così inizio

una relazione che continuerà per tutto il corso della vita del nascituro e dunque della loro stessa famiglia, con l'auspicabile rinuncia alla gravidanza per altre o altri da parte di

chi non sia disponibile a consentire la continuatività del rapporto fra il nato e la gestante e ad includere tale relazione nella propria rete di relazioni familiari85.

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A

CCORDI DI GESTAZIONE PER ALTRI

,

PRINCIPIO DI AUTODETERMINAZIONE E RESPONSABILITÀ GENITORIALE

Giuseppa Palmeri

Abstract

The contribute develops in three parts: the first one is dedicated to the individuation of those principles and rules that are the base of family law and filiation, with particular attention to what concerns the mechanism of parenthood imputation; the second part is directed to track the reference framework about criteria that has to preside over the fulfillment of the acts about body disposition; the third and last considers the gestation for others in a perspective that relegates the prohibition (actually in force in our set of rules) at the bottom, waiting for the examination of his theoric admissibility.

The paper, in view of an overall evaluation of the Italian set of rules and of the principles based on the internal and supranational law, reaches the conclusion that would be desirable a re-thinking of the domestic legislator concerning the absolute prohibition of the gestation for others and an opening of the system towards an eventual enlargement of the parental figures, beyond the traditional paradigm, in the view of a declination of maternity, even in a legal level, in a plural way.

The chosen perspective takes account of the complexity of the relationships that establish in the reproductive and the parental paths as well as the asymmetry of gender in the procreative field. Keywords

Feminine subjectivity; Self-determination; Procreation; Maternity; Child’s interest.

Nel documento (Ri?) pensare la maternità (pagine 36-48)

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