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La conservazione della biodiversità.

La situazione normativa del comparto delle officinali.

3.4. La conservazione della biodiversità.

La perdita di biodiversità è considerata una delle minacce più grandi per l’ambiente e per l’uomo. L’estinzione di specie animali e vegetali è stata a lungo un fatto quasi normale nel corso della storia dell’umanità. Molte delle specie animali esistenti si sono già estinte da secoli per via della presenza sempre più invasiva dell’uomo, tuttavia allo stato attuale, questo costituisce un fattore di enorme preoccupazione. Oggi la situazione è radicalmente diversa, i fattori di pericolo e di rischio infatti sono in continuo aumento: i cambiamenti climatici, l’impoverimento del sottosuolo, la sovrappopolazione, l’esaurimento delle fonti energetiche costituiscono tematiche sempre più pressanti a cui si aggiunge la perdita di biodiversità, una perdita che si traduce in una consistente perdita di patrimonio genetico. La biodiversità attuale è frutto di 3.5 miliardi di anni di evoluzioni e mutamenti genetici. Noi ne siamo un prodotto e allo stesso tempo da essa ne dipende anche la nostra sopravvivenza, ci cibiamo e utilizziamo componenti provenienti da specie animali e vegetali, dalla natura dipende il nostro sostentamento, la nostra vita. Ogni specie esistente copre un ruolo ben preciso nell’ecosistema, dunque la scomparsa anche di una sola specie costituisce una grossa perdita e comportare alterazioni irreversibili.

Secondo i dati che arrivano dalla IUCN (International Union for Conservation of Nature) sono 19.817 le specie considerate minacciate su oltre 63.000 valutate. Tra queste sono

inclusi il 41% degli anfibi, il 33% delle barriere coralline, il 25% dei mammiferi, il 13% degli uccelli e il 30% di conifere.

Per quanto riguarda il nostro Paese, secondo le recenti Liste Rosse nazionali, le popolazioni dei vertebrati italiani sono in declino, così come le piante vascolari, la cui analisi delle specie di flora italiana valutata ha mostrato uno stato di conservazione non soddisfacente. Numeri preoccupanti se pensiamo che il nostro Paese detiene il primato della biodiversità europea, “ospitando” oltre 67.000 specie di piante e animali (circa il 43% di quelle presenti in Europa).

Una situazione quindi che ha mobilitato e ha suscitato l’interesse di tutta la comunità internazionale. L’Italia a partire dalla Conferenza di Rio del 1992 ha assunto l’impegno in ambito internazionale di lottare contro la perdita di biodiversità, un impegno istituzionalizzato con la ratifica della Convenzione sulla Diversità Biologica (CBD, Rio de Janeiro 1992) avvenuta con la Legge n. 124 del 14 febbraio 1994. A partire dalla Conferenza di Rio il tema della crescente perdita di biodiversità con la conseguente enorme perdita a livello di patrimonio genetico, è divenuto sempre più frequente in ambito internazionale121 ed è divenuto un importante tema di intervento anche delle politiche

comunitarie122. Il principale strumento della tutela della biodiversità messo in atto

dall’Unione Europea è il sistema costituito della Rete Natura 2000, istituita dalla Direttiva Habitat 92/43/CEE. Questo è un sistema con cui sono stati individuati dei criteri in base ai quali individuare e proteggere particolari aree di interesse per prevenire la perdita di biodiversità. L’obiettivo finale era quello di arrestare la perdita di biodiversità entro il 2010

121 Summit mondiale per lo Sviluppo Sostenibile (Johannesburg, 2002) con l’adozione di un Piano contenente azioni mirate ad una significativa riduzione della perdita di biodiversità entro l’anno 2010. 122 Istituzione di Rete Natura 2000, una mappatura dei luoghi di interesse maggiore per la

conservazione di specie a rischio, istituita ai sensi della Direttiva 92/43/CEE "Habitat" per garantire il mantenimento a lungo termine degli habitat naturali e delle specie di flora e fauna minacciati o rari a livello comunitario.

attraverso l’istituzione di questa rete, un sistema in grado di preservare luoghi di particolare interesse per le specie minacciate o a rischio minaccia.

La rete è costituita dai Siti di Interesse Comunitario (SIC), identificati su iniziativa e a discrezione degli Stati Membri, tra le quali vengono poi successivamente designate le Zone Speciali di Conservazione (ZSC) e le Zone di Protezione Speciale (ZPS) istituite ai sensi della Direttiva 2009/147/CE "Uccelli" concernente la conservazione degli uccelli selvatici. Le aree che compongono la rete Natura 2000 non sono riserve rigidamente protette dove le attività umane sono escluse; la Direttiva Habitat intende infatti garantire la protezione della natura tenendo anche "conto delle esigenze economiche, sociali e culturali, nonché delle particolarità regionali e locali" (Art. 2). Soggetti privati possono essere proprietari dei siti Natura 2000, assicurandone una gestione sostenibile sia dal punto di vista ecologico che economico. Quanto alle modalità di gestione e di protezione delle specie a rischio la direttiva lasciava gli stati liberi di scegliere la strategia migliore per sé123.

I risultati effettivamente conseguiti in relazione all’obiettivo europeo di fermare la perdita di biodiversità entro il 2010, hanno mostrato come molto rimanga ancora da fare nonostante gli sforzi messi in campo e i successi ottenuti in molti ambiti; in particolare l’analisi del lavoro svolto negli ultimi anni ha evidenziato che la sfida principale rimane quella di integrare efficacemente la conservazione e l’uso sostenibile della biodiversità nelle politiche di settore.

Nell’aprile 2009, l’Italia ha ospitato a Siracusa il G8 Ambiente con una sessione dedicata alla Biodiversità post 2010, nel corso della quale è stata condivisa dai Ministri dell’ambiente la Carta di Siracusa sulla Biodiversità124, interamente imperniata sul tema

123 La Danimarca e i Paesi Bassi hanno per esempio puntato sull’acquisto di terreni privati da sottoporre ad amministrazione statale. Il Belgio è ricorso invece a piani di gestione territoriale che regolarizzano il traffico in determinate ore del giorno o che obbligano il proprietario di un immobile situato in una zona di interesse a svolgere lavori di restauro e ammodernamento.

della conservazione della biodiversità nell’ambito delle future politiche nazionali. In questa occasione l’Italia è diventata promotrice di una visione della biodiversità consapevolmente inserita nell’ambito delle future decisioni e attività governative.

Un impegno rinnovato dagli stati dell’Unione Europea nel maggio del 2011125 che si sono

posti l’obiettivo di continuare sulla via tracciata dalla direttiva Habitat, adottando “la strategia europea per la biodiversità verso il 2020”, ponendosi un obiettivo ambizioso da completare entro il 2020 che consiste nel “arrestare la perdita di biodiversità e il degrado dei servizi ecosistemici126 nell’UE nel 2020, ripristinarli, per quanto possibile, rafforzando

il contributo dell’UE alla prevenzione della perdita di biodiversità a livello mondiale”, prevedendo diverse linee di strategia. Il testo, oltre all’obiettivo da raggiungere, contiene una “visione” per il 2050. Visione è un termine utilizzato in ambito aziendale per indicare lo scopo, la finalità di un progetto. Questa infatti costituisce la visione su come dovrebbe tradursi in termini pratici la protezione della biodiversità nel futuro: “Our biodiversity and the ecosystem services it provides – its natural capital – are protected, valued and appropriately restored for their intrinsic value and essential contribution to human wellbeing and economic prosperity, and so that catastrophic changes caused by the loss of biodiversity are avoided.” Una società dove le risorse naturali non solo sono protette, ma valorizzate e appropriatamente reimpiegate per il loro intrinseco valore al benessere e alla prosperità economica dell’uomo. Una visione dunque che incentra la protezione e la valorizzazione delle risorse naturali in una declinazione più economica che ambientale.

125 http://ec.europa.eu/environment/nature/biodiversity/policy/

126 Si intende per servizi ecosistemici: "i benefici multipli forniti dagli ecosistemi al genere umano". Il Millenium Ecosystem Assessment descrive quattro categorie di servizi ecosistemici, a iniziare dai più importanti: si possono distinguere in quattro grandi categorie: supporto alla vita (come ciclo dei nutrienti, formazione del suolo e produzione primaria), approvvigionamento (come la produzione di cibo, acqua potabile, materiali o combustibile), regolazione (come regolazione del clima e delle maree, depurazione dell'acqua, impollinazione e controlli delle infestazioni), valori culturali (fra cui quelli estetici, spirituali, educativi e ricreativi).

Il decreto legislativo 75/2018 sulle officinali è un intervento che si pone in linea con il Programma nazionale per la conservazione della biodiversità, come anche affermato nell’articolo3, e presenta numerosi punti di interesse e opportunità per il raggiungimento degli obiettivi strategici individuati in più di una delle tredici Aree di lavoro presenti nella Strategia Nazionale per la Biodiversità127. Il prelievo di piante spontanee e la messa a

coltivazione costituiscono sicuramente un valore aggiunto a questo intervento legislativo, considerando che molte specie officinali si trovano in natura e in alcune zone d’Italia si pratica una raccolta di piante spontanee, la messa a coltivazione di queste specie, oltre a provvedere ad una più sicura conservazione del genoma, ne permette una selezione, un miglioramento della varietà e sottrae le specie a rischio dal pericolo di estinzione. Inoltre le officinali possono dare un contributo significativo anche al mantenimento e potenziamento dei servizi eco sistemici, contribuendo per esempio ad un arricchimento del territorio e ad un recupero delle tradizioni legate alle realtà territoriali.