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La situazione normativa del comparto delle officinali.

3.5. I frutti spontane

Quello della raccolta di frutti spontanei è un punto delicato dal punto di vista del diritto privato, ciò in ragione del contesto in cui si inserisce e dei punti di contatto che sottende, l’attività privata e il godimento di un bene pubblico dall’altro. Sebbene possa sembrare un’attività marginale, la CIA (Confederazione Italiana Agricoltori), stima che i raccoglitori di erbe e frutti spontanei in tutta Italia siano più di 100mila. È un’attività che può essere remunerativa e se fatta in maniera scriteriata può essere anche decisamente dannosa per gli ecosistemi locali.

Come detto sopra, la maggior parte dei componenti officinali importati in Italia proviene da una raccolta di piante spontanee praticata all’estero. Anche in Italia si pratica la raccolta di frutti spontanei su tutto il territorio, non solo officinali, ma soprattutto tanti prodotti alimentari come i funghi, gli asparagi e anche prodotti di lusso come i tartufi sono raccolti nei boschi e in campagna. Da questa lista di prodotti si capisce come la pratica di raccogliere i frutti trovati in natura non sia un’attività marginale e anzi per molte zone, sia divenuta una pratica tradizionale, tanto da dare forma a pratiche di “territorialismo”.

Dal punto di vista del diritto privato, la raccolta di frutti spontanei è considerata dal codice civile come agricola se risulta essere un’attività connessa o preparatoria ad un’attività agricola o commerciale (art 2135 cc) e pertanto sottoponibile alla relativa disciplina. I frutti spontanei sono quei frutti che nascono indipendentemente dall’azione dell’uomo, per frutto, si intende non solo il pomo, ma tutte le parti della pianta separabili, quindi infiorescenze, stelo, foglie e radici oppure l’intera pianta.

Questo tipo di attività è coperto da una disciplina controversa, ciò in ragione della particolarità giuridica dei frutti spontanei, su cui si è combattuta per anni una battaglia dottrinale che ha dato esiti incerti. Secondo il codice civile, il proprietario dei frutti è il proprietario della cosa fruttifera, quindi l’albero, la pianta, l’animale. Fin tanto che il frutto si trova attaccato alla cosa fruttifera ed è possibile risalire al proprietario non vi sono problemi. Taluni ritengono altresì che il frutto sia di proprietà del proprietario fintanto che è attaccato all’albero, nel

Il problema nasce quando la cosa fruttifera, l’albero o più in generale la pianta si trovi su un terreno di proprietà dello stato. A rigor di logica, il proprietario di tutto ciò che un bosco o comunque un bene demaniale produce è lo stato, individuato di volta in volta

nell’amministrazione locale, ma così non è, ciò in ragione della particolarità giuridica che godono certi luoghi, boschi, paludi e quant’altro compongono il demanio dello stato, un patrimonio di luoghi la cui finalità non è economica, ma di garanzia di conservazione dei luoghi per la collettività. Il godimento collettivo dei luoghi fa sì che i frutti spontanei siano sostanzialmente delle res nullius e in quanto tali, divengono di proprietà di chi li raccoglie, cadendo i frutti fuori dalla demanialità, ossia fuori dallo scopo della proprietà dello stato. Non è un aspetto di poco conto, soprattutto, se consideriamo che per alcuni frutti come il tartufo o i funghi è stato necessario ricorrere ad una legge statale per regolare una pratica che se fosse stata lasciata priva di regole, sarebbe sfociata in ulteriori episodi di violenza128.

I funghi e i tartufi sono frutti spontanei che nascono indipendentemente dall’azione dell’uomo, così come molte altre piante officinali, come ad esempio il mirto in Sardegna, la genziana in Trentino, il bergamotto in Calabria. Permettere la raccolta delle erbe officinali spontanee significa anche e soprattutto vigilare su di essa, per evitare che la prospettiva di un guadagno sfoci in uno snaturamento dei luoghi e in uno sfruttamento irresponsabile.

La sfida futura per le amministrazioni regionali sarà quindi trovare un giusto equilibrio per il godimento di aree che sono allo stesso tempo habitat naturali, luoghi di godimento collettivo e luogo di produzione di prodotti potenzialmente remunerativi. Il controllo dovrà essere molto efficace, non solo per evitare che una specie non sia completamente estirpata, ma anche per evitare che le altre piante siano completamente estirpate per far posto solo alla pianta interessata. Recentemente, nella legge di bilancio di previsione per l’anno finanziario 2019 si trovano alcune disposizioni riguardanti la raccolta di specie officinali spontanee. All’articolo 692 si legge che i prodotti officinali sono ricompresi nella classe

128 Legge n°752/1985 Normativa quadro in materia di raccolta, coltivazione e commercio dei tartufi freschi o conservati destinati al consumo.

ATECO 02.30 “prodotti selvatici non legnosi” e i redditi relativi alla raccolta occasionale di queste spontanee sono sottoposti ad una imposta sostitutiva di 100 euro per anno da pagare entro Febbraio129. La legge individua la raccolta svolta in modo occasionale qualora

i redditi derivanti dalla vendita delle piante spontanee non superino i 7000 euro annui cumulati con gli altri redditi della persona fisica. Una disposizione importante che contempla dunque la possibilità per i raccoglitori occasionali di pagare un’imposta sostitutiva anziché un’imposta “piena” sul ricavato delle vendite. Una modifica che va letta anche alla luce dell’assoggettamento nella medesima categoria anche dei tartufi130 che

configura un sistema che in qualche modo incoraggia i raccoglitori occasionali, prevedendo un’imposta sostitutiva fissa da pagare a inizio anno. Un fattore che a mio avviso desta qualche preoccupazione sul possibile sovra sfruttamento dei luoghi, posto che certi prodotti come ad esempio il tartufo ma non solo, possono essere particolarmente remunerativi e spingere le persone a non rispettare i luoghi naturali.

3.6. Un modello già avviato: le province autonome di Trento e