EZIO VANONI
139 considerarsi come un demanio ecclesiastico o per lo meno un edificio destinato
ad uso pubblico di interesse generale, senza che sia nemmeno individuabile il proprietario. Il che renderebbe quegli edifici assimilabili a quelli dello Stato esenti dalla imposta o per lo meno non applicabile la medesima per la impossi bilità di identificare il soggetto passivo. Donde la piena legittimità della circolare a carattere interpretativo e non innovativo. E in relazione alla stessa lamenta pure il difetto di motivazione sia sul valore interpretativo della circolare respinto senza adeguate ragioni, e sia con riferimento alla precedente fase svoltasi nei confronti del Vescovo di Mileto e nella quale sarebbe stata affermata la forza vincolante della circolare (primo, secondo e terzo mezzo).
Obietta poi, contrariamente alla sentenza impugnata, che la prescrizione de corre dall’ ultimazione dei lavori e nella specie era abbondantemente trascorsa ; e che i procedimenti svoltisi nei confronti del Vescovo di Mileto non avevano ef ficacia interruttiva, sia perchè lo stesso non aveva la rappresentanza del beneficio, come difatti era stato riconosciuto, e sia perchè la ingiunzione che aveva dato luogo a tali procedimenti era stata annullata appunto per difetto di rappresen tanza (quarto e quinto mezzo).
Ora questa Corte, conformemente alla sua costante giurisprudenza da ultimo ribadita con la sentenza del 28 luglio 1942 in causa Seminario di Vittorio Veneto c. Pellegrini (Massimario Foro il., col. 525), conviene nell’ affermazione di piena legittimità della circolare ministeriale, ma per motivi diversi da quelli esposti nel ricorso. E precisamente perchè essa è obbligatoria per gli appaltatori delle
È certo che le argomentazioni dalla sentenza svolte in materia di fonti sono molto delicate e presentano possibilità di dubbi, come tutte le quistioni relative, assai complesse, a meno che non si tratti di quistioni.... in cui non è possibile contestazione alcuna. — S’ intende che trattiamo la questione in base al diritto vigente n ell’ epoca in cui la sentenza fu emessa.
La Corte, nella specie, ha ritenuto perfettamente applicabile e le g it tima come fonte una circolare ministeriale. E sul principio generale: che una circolare possa eccezionalmente avere valore di fonte, se la legge o il regolamento alle circolari si richiamino, nessuno può dubitare : sono la legge o il regolamento che imprimono indirettamente valore di fonte alla circolare n ell’ orbita da essi permessa. Si tratta quindi di compiere una penetrante esegesi della legge e del regolamento, nel caso, su due punti fondamentali : 1) la legge o il regolamento, nel caso, lasciano campo o spazio legittim o all’ introduzione, all’ inserimento di circolari o istruzioni come fonti ? ; 2) nel caso, la circolare autorizzata contiene qualche dispo sizione che esce fuori dall’ autorizzazione, e contraria quindi a disposizioni insuperabili della legge o del regolam ento?
Ciò posto, pare un po’ troppo assoluto l ’ asserire che « le istruzioni non possono... interpretare... la le g g e ; nemmeno se sono riservate da un regolamento », « con cui in sostanza il potere esecutivo si riserverebbe dei poteri che non ha ». Se realmente il regolamento riserva all’ organo del potere esecutivo che lo ha emanato la facoltà di emanare ancora norme d ’ applicazione del regolamento stesso in qualche punto, non vediamo perchè l ’ autonomia del legislatore diciam cosi) regolamentare, possa essere lim i tata o (peggio) impedita nei punti previamente riservati.
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imposte di consumo in virtù degli articoli 336 del regolamento del 25 febbraio 1924, n. 540 e 318 del regolamento del 30 aprile 1936, n. 1138 e le esenzioni che stabilisce rivolgendosi ai gestori del tributo costituiscono in pari tempo fonte di diritto obbiettivo per i contribuenti con corrispondente diritto subiettivo di espe rire azione in giudizio per esigerne la osservanza o per resistere alla richiesta di pagamento della imposta. Ed ora non ha che a ripeterne le argomentazioni.
L ’ art. 336 del regolamento del 1924, mantenuto in vigore fino al nuovo re golamento sulle imposte di consumo e perciò applicabile al caso odierno, ma peraltro sostanzialmente identico all’ art. 318 del regolamento sopraggiunto del 30 aprile 1936, n. 1138, disponeva fra l’ altro che per la riscossione dei dazi ap paltati P appaltatore dovesse attenersi oltreché al disposto delle leggi e dei rego lamenti, anche alle dichiarazioni della superiore autorità amministrativa emanate o da emanarsi, per la retta intelligenza ed applicazione della legge e dei rego lamenti predetti.
E in seguito a sollecitazioni della Federazione delle Associazioni del Clero, perchè fosse riconosciuta una esenzione dalla imposta di consumo sui materiali da costruzione a favore del patrimonio ecclesiastico, per la considerazione che si tratterebbe di un demanio pubblico almeno agli effetti fiscali, il Ministero delle finanze con la circolare del 9 giugno 1933, n. 5522, non contrastando tali motivi, ed anche per la difficoltà tecnica di identificare caso per caso il proprietario delle Chiese, specialmente di quelle non di spettanza di un ente beneficiario autonomo,
Il regolamento ammette degli spazi in bianco, che la stessa autorità che ha emanato il regolamento si riserva di riempire volta per volta al momento opportuno ; non vediamo in che tale riserva contraddica o possa contraddire ai principi generali del diritto in materia di fonti. Lo stesso potere regolamentare, che si esplica nella emanazione del regolamento, si manifesta poi nelle istruzioni applicative emanate in base ad esso regola mento, per autorizzazione di esso regolamento: non riusciamo a compren dere perchè in ciò solo possa riscontrarsi una illegalità.
L a sentenza annotata ricorda che, nella materia, il regolamento, riser vando al Ministero di « emettere istruzioni e disciplinare secondo le con tin g en ze la riscossione » del contributo su cui si contesta, e dichiarando poi che i gestori d ell’ imposta debbono osservare le istruzioni ministeriali, ha ammesso come possibile fonte di diritto anche un’ istruzione m iniste riale, che abbia (s’ intende) lo scopo di disciplinare secondo le co n tin g en ze la riscossione del tributo.
L ’ Ingrosso ha impostato correttamente la questione in fatto, interpre tando nella fattispecie le leg g i e i regolamenti in modo diverso e contrario a quello della Cassazione, senza infirmare l’ argomentazione della Cassazione, ove questa fosse conform e alla realtà di fatto, il che per l’ in grosso non è.
Veramente campo più confuso, per quanto si riferisce al valore di fonte delle singole disposizioni, di quello della legislazione sul dazio consumo è difficile trovare. Il regolamento daziario del 1924 in cui si trova la di spostone su cui fa assegnamento la Corte per sostenere la sua tesi è (per l ’ Ingrosso) un regolameuto d’ esecuzione : poteva esso allargare le facoltà del potere esecutivo in modo da concedergli la facoltà di modificare in favore di determinati soggetti la im posizione del tributo ? Se il
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disponeva che non dovesse applicarsi la imposta sui materiali impiegati sia per la costruzione che per la riparazione delle Chiese aperte al pubblico culto cat tolico con le loro pertinenze ; ed estendeva il provvedimento anche ai Seminari e alle case destinate ad abitazione dei parroci. Conseguentemente dava le oppor tune istruzioni perchè fossero sospesi gli accertamenti in corso, fermi restando solamente quelli per i quali la imposta fosse stata già pagata.
Secondo la sentenza impugnata quella circolare non avrebbe valore nè inte grativo nè interpretativo della legge, non potendo istituirsi esenzioni non ammesse dalla legge. Sicché in sostanza la circolare sarebbe priva di ogni carattere di ob bligatorietà. Donde la conseguenza che la circolare non dovesse essere applicata, non essendo idonea a costituire una norma di diritto obiettivo, perche non con forme a legge, e non potesse perciò stesso dare vita a diritti subiettivi suscettibili di essere esercitati in giudizio. Anzi l’ organo giurisdizionale dovrebbe affermarne la illegittimità in virtù dei poteri derivantigli dall’ art. 5 della legge 20 marzo 1865, n. 2248 all. E) sul contenzioso amministrativo.
Ora queste considerazioni si ispirano ai criteri generali sul valore giuridico delle circolari ministeriali. E difatti, poiché il potere esecutivo fa i decreti e i regolamenti necessari per la esecuzione delle leggi o da queste autorizzato, senza sospendere la osservanza delle leggi medesime, così non si può non convenire nel principio generale da cui è partita la sentenza che cioè le circolari ed istruzioni ministeriali hanno di regola il carattere di norme direttive del servizio interno
mento fosse solo di esecuzione non potrebbe modificare menomamente la legge e le sue disposizioni dovrebbero venire interpretate unicamente in senso conforme alla legge : se contenesse un addolcimento della legge, sarebbe illegale, specie in materia tributaria, in cui vige l ’ art .30 dello Statuto (e r in g r o s s o lo cita) per cui nessun tributo può essere imposto o rimesso se non per disposizione del potere legislativo.
Si prescinde dal notare che l ’ art. 30 vieta V im posizione e non l ’ eso nero dal tributo: contro questo si potrebbe invocare al più l ’ art. 24 dello Statuto (l’ uguaglianza dei regnicoli di fronte alla legge). Ma il regola mento è proprio e solo di esecuzione? Il dubbio mi sembra molto giusti ficato. Tanto più che potrebbero sottentrare quelle considerazioni molto sottili ed eleganti, svolte dal L a Torre nel citato suo articolo, e che sono dalTIngrosso preterite. Il L a Torre dimostra l ’ esistenza di una lunga e durevole e non condannabile prassi dei nostri supremi uffici finanziari, che ammette e consente per elevate ragioni politiche e di opportunità da parte del Governo la possibilità di sgravare in modo generale imposte che forse con una rigorosa applicazione della legge avrebbero potuto essere riscosse. Con ciò la quistione è realmente un po’ spostata.: non si tratterebbe più d e ll’ applicazione di una delega legislativa, come ha deciso la Cassazione ; ma della possibilità statutaria e consuetudinaria (e qui sarebbe interes sante far richiamo ai principi relativi alla consuetudine nel diritto p u b blico) da parte del Governo di alleviare per alte considerazioni politiche la pressione fiscale. Che la prassi (e forse la consuetudine) esista, e che sia una prassi molto equa, è im possibile dubitare. E questa argomenta zione, unita al giustissim o rilievo che non si tratti nel caso solamente di
e possono costituire elemento utile per la interpretazione della legge cui si rife riscono : ma in nessun caso possono a questa sovrapporsi o contrastare, onde le disposizioni che esse eventualmente dànno in contrasto con la legge non vincolano gli organi giurisdizionali.
Ma nel caso odierno il potere esecutivo si era espressamente riservato la fa coltà di fare dichiarazioni, emettere istruzioni e disciplinare secondo le contin genze la riscossione del tributo, ben si intende ai fini della retta intelligenza ed applicazione della legge e dei regolamenti.
E questa ulteriore attività del potere esecutivo ha la sua fonte nell’ art. 88 del regio decreto 24 settembre 1923, n. 2030 sul riordinamento dei dazi interni di consumo, emanato in base alla delegazione legislativa contenuta nella legge 3 dicembre 1922, n. 234. Ed essendosi manifestata con un atto rivolto ai gestori per la riscossione del tributo, tale atto è obbligatorio e vincolativo per essi, che non possono rifiutarne l’ applicazione per la espressa riserva contenuta nei citati art. 336 e 318, dai quali come si è esposto deriva per i gestori il preciso obbligo di osservare le istruzioni ministeriali.
Analoga facoltà si è riservata l’ Amministrazione centrale in materia di ri scossione delle imposte dirette con l’ art'. 25 dei capitoli normali per l’ esercizio delle ricevitorie ed esattorie approvati con decreto ministeriale del 18 settembre 1923, i quali per l’ appunto fanno obbligo ai ricevitori provinciali ed esattori di osservare anche le istruzioni che venissero emanate, oltre all’ obbligo generico di attenersi strettamente alle leggi in materia, ai regolamenti e decreti relativi, ai
un regolamento di esecuzione, farebbe pendere la bilancia nel senso deciso dalla Cassazione.
Lo svolgimento d ell’ argomentare della Cassazione avrebbe potuto es sere diverso da quello che è : ma comprendiamo le difficoltà della posi zione del Giudice in sim ili casi. N el nostro sistema giudiziale il Giudice deve agire sillogisticam ente : partire dalle due premesse (fatto e diritto), e giungere alla conclusione (la decisione), applicando al fatto il diritto. Ed è perciò che nel caso ha evitato di entrare in richiam i di consuetudini costituzionali e ha preferito servirsi di un ragionamento più categorica, affer mando che il regolamento ha deferito e delegato poteri speciali e discrezio nali in materia al Governo. E tanto più il giudicato della Cassazione può sostenersi, in quanto lo stesso Ingrosso non è troppo sicuro che non si possa trovare alcuna delega nel D. L . del settembre 1923 e nel regolamento del 1924 e specialmente nel suo articolo 336, e ricorre ad altro argomento. S ic come la circolare applicativa contestata è del 1933, 1’ Ingrosso la vuole por tare sotto l ’ impero del T . U . della finanza locale del 1931, allora vigente, benché fino al nuovo regolamento fosse ancora in vigore il vecchio re golamento del 1924. Ma se questo regolamento era in vigore (come non può dubitarsi) nel 1933, esso era in vigore in toto, e se in base a tale regolamento lo sgravio per circolare era possibile, non si può comprendere come tale facoltà sia stata resa legalmente im possibile per l ’ intervento del T. U . sulla finanza locale, che però lascia in vigore il vecch io regolamento se non incom patibile col T . U. stesso, e l ’ incom patibilità nel caso è piut tosto asserita che dimostrata.
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■capitoli normali ed a quelli speciali ; e ciò tanto in rapporto alle Amministrazioni interessate, quanto in rapporto ai contribuenti e ai terzi. Ed è noto che
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capi toli normali emanati in virtù dell’ art. 4 della legge speciale hanno carattere ol treché di norme esecutive, anche di norme integrative delle disposizioni contenutenella legge e nel regolamento. .
Adunque la circolare in oggetto ben si inquadra nella ordinaria attività del- l’ Amministrazione finanziaria per quanto si riferisce alla riscossione dei tributi, ■evidentemente per motivi di ordine superiore e contingenti e che comunque sfug
gono e non interessano lo interprete. Ha un contenuto giuridico che trascende i limiti delle ordinarie circolari interne di servizio e ha virtù costitutiva di un dovere giuridico a carico degli appaltatori in base alle facoltà di legge e di un corrispondente diritto obiettivo a favore dei contribuenti.
In altre parole la istruzione ministeriale, pur avendo come destinatario il gestore del tributo, ha inteso di disciplinare la percezione del medesimo e con cretamente ha disposto che questa fosse sospesa per una determinata categoria- In questi termini si deve riconoscere che tale istruzione costituisce in pari tempo un diritto obiettivo a vantaggio di quella categoria e correlativamente vi corri sponde un diritto subiettivo esperibile in giudizio per esigerne la osservanza.
Non ha valore il rilievo che in sostanza la circolare avrebbe introdotta una esenzione subiettiva non prevista dalla legge organica. Perchè se il risultato con creto è pur quello di una esenzione, ciò non toglie che il dispositivo del prov vedimento abbia per oggetto a rigore la non riscossione del tributo a casi
parti-L ’ argomentazione sussidiaria della Cassazione fondata sull’ obbligo degli appaltatori di attenersi alle istruzioni delle superiori Autorità am ministrative emanate per la retta intelligenza e applicazione della legge e dei regolamenti, realmente non ba alcun valore decisivo, perche gli appaltatori devono stare alle istruzioni legittim e e non sottostare a quelle, in ipotesi, illegittim e.
L a questione principale dunque è di vedere se il regolamento conte neva la possibilità di delega al potere esecutivo, tanto più che pare che il potere esecutivo possa anche senza delega, per particolari ragioni di carattere politico o di ordine pubblico, nella sua discrezionalità, alleviare una qualche imposizione. C ’ è chi sta per il rigore, e vuole che intervenga, se mai, sempre un decreto legge (si citano anche l ’ art. 1 del D. L . 7 agosto 1936, n. 1639, nonché la legge 31 gennaio 1926, n. 100) ; c ’ è chi tempera questo rigorism o, ove si tratti di disposizioni generali assunte per ragioni politiche, in favore di qualche categoria di contribuenti. E ’ ovvio ch e si propenda per questa seconda, più umana interpretazione.
Nè ci trattiene da quest’ordine di idee il problema (come lo chiama 1> Ingrosso) costituzionale. P erchè ci sembra che 1’ articolo dello Statuto relativo alle imposte vieti solo le im posizioni che non rivestano la forma della le g »e ; che g li articoli dello Statuto che postulano l ’ uguaglianza dei cittadini, non vengano lesi quando si tratti di disposizioni generali e non particolari ; nè che osti 1’ art. 1 del D. L. 7 agosto 1936, n. 1639, che non fa che riferirsi ai principi giuridici preesistenti. N è riteniamo ancora nel caso sia violata la così detta autonomia tributaria degli enti locali, perchè anche questa, come tutte le altre argomentazioni, si aggira in un
colari e che esso sia conforme ai poteri riservati all’ organo che lo ha emanato dalla legge ordinatrice del tributo medesimo.
In conclusione l’ Amministrazione avrebbe volontariamente autolimitata la sua attività nella percezione del tributo con provvedimento insindacabile dall’ au torità giudiziaria e dal destinatario del provvedimento. E questa autolimitazione ha generato un diritto obiettivo a favore dei contribuenti con corrispondente di ritto subiettivo esperibile in giudizio per ottenere la osservanza in virtù del- 1’ art. 2 della stessa legge sul contenzioso amministvativo.
È vero che tale attività autolimitatrice non potrebbe alterare i termini del contratto, di appalto, sottraendo al gestore del tributo il gettito della imposta previsto in contratto, a tutto vantaggio del contribuente. Ma questa è un’ altra questione. Vuol dire che rimane impregiudicata a favore dell' appaltatore il di ritto di chiedere a chi di ragione e nel concorso di tutte le altre condizioni pre viste dalla legge o dal contratto e nei limiti di entrambi, la eventuale riduzione del canone di appalto per diminuzione di proventi o altre indennità che non siano incompatibili coi termini della concessione.
Per le suesposte considerazioni non è il caso di prendere in esame tutto il resto del ricorso. E poiché la domanda era improponibile, così con l’ accoglimento dei primi due mezzi per quanto è di ragione, mentre si considerano assorbite tutte le altre doglianze, la sentenza di appello va cassata senza rinvio a termini dell’ art. 382 cod. proc. civile. (Omissis).
circolo vizioso. Se al M inistro delle Finanze sono riservate delle funzioni per legge o consuetudine, l ’ autonomia tributaria degli enti locali è p reci samente limitata da queste riserve e da queste facoltà.
Il problema da risolvere è adunque : esiste nel caso una facoltà dele gata al ministro di emettere disposizioni sulla riscossione del tributo ? Se sì, di fronte a tale facoltà, unita al potere consuetudinario del M inistro di interpretare favorevolmente a date categorie di contribuenti le leggi finan ziarie per m otivi politici generali, tutte le altre considerazioni vengono meno. La Cassazione ha affrontato il problema sotto il primo punto di vista : devono essere ben gravi le ragioni opposte in senso contrario per infirmare di illegittim ità le statuizioni governative, ragioni che nella specie ci sembrano improntate più a principi astratti che ad una soluzione della questione in concreto.