Capitolo II – Lo scioglimento nel dibattito in Assemblea costituente
6. Considerazioni conclusive: il valore della flessibilità
Da questa indagine è anzitutto un dato ad emergere con una certa evidenza: il Costituente ha deliberatamente deciso di non irrigidire la forma di governo. E nell’ottica di una «razionalizzazione così blanda da dimostrarsi ininfluente»230, si inserisce perfettamente anche la questione dello
scioglimento anticipato del Parlamento. Infatti, delle tante proposte emendative avanzate, solo quelle relative alla possibilità di sciogliere una sola Camera e al divieto in pendenza di semestre bianco, modificavano il testo base, che già di suo si presentava assai scarno.
Una scelta, quella di orientare il meno possibile finalità e struttura di uno strumento in grado di connotare fortemente il modello parlamentare, che non deve essere imputata a indecisione o tentennamenti231. Al contrario, essa è frutto di un chiaro indirizzo politico, forse il più importante ad
aver influenzato i lavori dell’Assemblea costituente: per dirla con Carlassare, trattasi della ‹‹consapevolezza della inutilità – se non addirittura pericolosità – di rigidi limiti artificiali ad un istituto che richiede invece duttilità estrema per adattarsi alle circostanze mutevoli››232. Questa
opzione da una parte era funzionale alla precisa volontà di lasciare lo sviluppo delle relazioni istituzionali al concreto operare dei protagonisti della nuova democrazia italiana, i partiti politici, ritenuti l’asse fondamentale per il radicamento e l’estensione delle garanzie di libertà a favore di tutti i cittadini. Dall’altra, la rottura dell’unità antifascista tra Dc e forze di ispirazione marxista aveva di certo influito sullo svolgimento dell’opera costituente, con la paura reciproca della vittoria del blocco opposto, e, quindi, la necessità di escogitare soluzioni che impedissero che la vittoria dell’altro fosse totale233; ‹‹di qui la prevalenza del momento “garantista” sul momento “propulsore
ed unificante della volontà politica”››234.
La pluralità delle letture ricavabili dal testo costituzionale è nient’altro che lo specchio della varietà di posizioni espresse lungo tutto il percorso costituente, con sole poche idee forti a prevalere sulle altre. Tra queste, vi è l’attribuzione della titolarità formale del potere dissolutorio in capo al
230 A. BARBERA, C. FUSARO, op. cit., p. 117.
231 Parla di ‹‹deliberato intento di non prestabilire nulla per non incorrere in possibili omissioni››, L. PALADIN,
Presidente della Repubblica, in Enc. dir., vol. XXXV, Milano, 1986, p. 204.
232 L. CARLASSARE, op. cit., p. 3; nello stesso senso, ad es., anche A. BARBERA, Tendenze nello scioglimento delle
Assemblee parlamentari, cit., p. 249, S. BARTOLE, Scioglimento delle Camere, in Enc. dir., agg., vol. III, Milano, 1999, p. 937, P. COSTANZO, Lo scioglimento delle Assemblee parlamentari: studio sui presupposti e i limiti dello scioglimento nell’ordinamento repubblicano italiano, cit., p. 30 e L. ELIA, Il Presidente della Repubblica. Artt. 83-
91, in G. NEPPI MODONA (a cura di), Stato della Costituzione, Milano, 1998, p. 343.
233 Cfr. A. BARBERA, Dalla Costituzione di Mortati alla Costituzione della Repubblica, nella edizione speciale di C.
MORTATI, Una e indivisibile, Milano, 2007, pp. 55-56 (altresì reperibile su www.forumcostituzionale.it, p. 26), per il
quale ‹‹ciascuno dei due schieramenti temerà ancora di più il “18 aprile” dell’altro, il riemergere dell’”ombra del tiranno”››. Nella prospettiva opposta si pone E. CHELI, Il problema storico della Costituente, cit., p. 16, secondo cui
«la Costituzione italiana nacque “presbite”, perchè imboccò l'unica strada allora percorribile per consentire la possibilità della nascita, sulle lunghe distanze, di una democrazia “compiuta” in un Paese “diviso”».
234 S. GALEOTTI, Parlamento, Presidente della Repubblica e Governo, in Dir. soc., 1979, ora contenuto in S. GALEOTTI,
Presidente della Repubblica: con ciò, quindi, a escludere con una certa nettezza l’opzione dell’autoscioglimento, preferita invece dalla componente comunista235. Una volta accolta
l’impostazione dello scioglimento presidenziale, almeno dal punto di vista della competenza ad emanare il relativo decreto, non vi è invece alcuna certezza di definizione per quanto riguarda i centrali aspetti della paternità sostanziale, delle condizioni e degli obiettivi: tutti elementi importanti in grado di qualificare complessivamente l’istituto, anche dal punto di vista della titolarità sostanziale e politica236.
Appare chiara, almeno a parole, l’intenzione dei costituenti di ‹‹contrastare in qualche modo i possibili eccessi assembleari del sistema parlamentare››237, in primis cercando di ritagliare un
particolare ruolo al Capo dello Stato, ove ‹‹l’intervento presidenziale fosse di natura “interstiziale”, teleologicamente orientato alla razionalizzazione del modello, ma senza arrivare ad involgere l’indirizzo politico del Governo››238. Ciò però non significa che le intenzioni si siano tutte
meccanicamente tramutate in chiare scelte positivizzate. Tanto che la figura del Presidente della Repubblica sia risultata una delle più ambigue dell’ordinamento costituzionale italiano, non a caso definita da Barile ‹‹enigmatico coacervo di poteri non omogenei››239.
Ne è un esempio il complesso sistema delle responsabilità presidenziali prescritto dagli artt. 88, 89 e 90 Cost. La controfirma ministeriale è in primo luogo funzionale a rivestire di cautele l'esercizio del potere formale di scioglimento. Ma questa previsione – che deve essere necessariamente letta alla luce della significativa bocciatura dell'ipotesi di attribuzione “in via di prerogativa” – incide in maniera evidente anche sulla natura effettiva della potestà decisionale, mettendo in discussione
235 Costanzo connota questa scelta come idonea a invocare un uso dello scioglimento ‹‹meno “straordinario”››: il
rifiuto di precondizioni astratte per il suo esercizio avrebbe avuto l’effetto di assorbire i casi a cui, attraverso la costituzionalizzazione dell’autoscioglimento, si voleva limitarne l’impiego (cfr. P. COSTANZO, Lo scioglimento delle Assemblee parlamentari: studio sui presupposti e i limiti dello scioglimento nell’ordinamento repubblicano italiano,
cit., pp. 26-27).
236 In dottrina, circa il dibattito costituente, si è teso a valorizzare alternativamente un dato piuttosto che un altro, al
fine di supportare una particolare tesi in relazione alla natura dell’atto dissolutorio: ad es., vi è chi ha dato risalto all’approvazione dell’emendamento Laconi per giustificare l’attribuzione ‹‹propria›› del Presidente (P. BISCARETTIDI
RUFFIA, Le attribuzioni del Presidente della Repubblica, in Riv. trim. dir. pubbl., n. 2/1963, p. 284); chi ha spiegato
la reiezione degli emendamenti Benvenuti e Domenidò per escludere viceversa tale lettura (A. VALENTINI, Gli atti del Presidente della Repubblica, Milano, 1965, p. 115) – mentre vi è anche chi ha compiuto l’operazione contraria,
sminuendo la portata di questo fatto (cfr. F. PINTO, Scioglimento anticipato delle Camere e poteri del Presidente della Repubblica, in Pol. dir., n. 2/1980, pp. 232-233, e F. CUOCOLO, Imparzialità e tutela della Costituzione nell’esercizio dei poteri del Presidente della Repubblica, in Rass. dir. pubbl., 1959, p. 130) –, oppure per ammettere
il potere di iniziativa del Presidente del Consiglio (A. BARBERA, Tendenze nello scioglimento delle Assemblee parlamentari, cit., p. 249); chi ha letto nel respingimento di qualsiasi tentativo procedimentalizzante la scelta di non
ammettere una funzione ‹‹di lotta›› (L. PALADIN, op. cit., p. 204).
237 A. REPOSO, Lezioni sulla forma di governo italiana, Torino, 1997, p. 210.
238 A. MORRONE, Il “Giano bifronte” del Colle più alto. Il contributo di Einaudi e di Gronchi nella definizione del
ruolo del Presidente della Repubblica, in A. BARBERA, M. CAMMELLI, P. POMBENI (a cura di) L’apprendimento della Costituzione (1947-1957), Milano, 1999, p. 96. Attribuiscono la paternità dell'idea circa un ruolo di stabilizzazione e
riequilibrio, ai fautori del parlamentarismo dualista, A. BARBERA, C. FUSARO, op. cit., p. 118.
l'intero apparato dei poteri, poiché la qualificazione del (necessario) concorso fra Capo dello Stato e Governo risulta tutt’altro che chiara. Dunque, il nodo rimane irrisolto.
Si potrebbe quindi concludere che l’Assemblea costituente, sulla base degli indirizzi che si sono confrontati, abbia esitato a dare – se non si vuol dire che abbia evitato di farlo del tutto – quegli elementi in grado di leggere e attuare il lacunoso dettato costituzionale lungo una direzione ben precisa240. La carenza di un’inequivoca intentio legislatoris, o, se si preferisce, la sua scomponibilità
in molteplici sfaccettature, ha dato adito ad una confusione interpretativa che ha permesso la proliferazione di teorie di vario segno, alcune delle quali costruite su visioni forse solamente parziali. D’altronde, le costruzioni teoriche si basano su dati giuridici, e la Carta costituzionale, per i motivi suesposti, proclama dei punti fermi in merito alla costruzione dell’ordinamento dei poteri, ma poi non prende precisamente posizione circa la loro puntuale configurazione tecnica.
240 Lo ammette anche un sostenitore della teoria presidenziale come Pinto, il quale definisce il Capo dello Stato una