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Un tentativo di ricostruzione

Capitolo II – Lo scioglimento nel dibattito in Assemblea costituente

5. Un tentativo di ricostruzione

Ricapitolando, queste le caratteristiche generali del potere di scioglimento come disciplinato dalla nostra Carta costituzionale. Ma si ricordi che questo discorso, ovviamente, vale per il solo aspetto del potere decisionale sostanziale, non per la paternità formale del decreto di scioglimento399.

Invero, è fermamente indiscutibile la paternità del Presidente della Repubblica a trasformare la volontà dissolutoria in atto giuridico vero e proprio – la cui perfezione, ai fini della validità, si conclude con l’apposizione della controfirma ministeriale –; per questo si parla di atto formalmente presidenziale.

Come solitamente si dice, e cioè che tale atto risulta la chiave di volta del regime parlamentare, in grado di connotarlo in una direzione marcatamente monista, piuttosto che a prevalenza assembleare, o dai profili più accentuatamente dualisti, anche nell’ordinamento costituzionale italiano lo scioglimento rappresenta un utile indice di sintesi delle caratteristiche della forma di governo. Come si è tentato di spiegare in precedenza, la scelta del Costituente di razionalizzare al minimo le dinamiche relazionali in merito all’interruzione del mandato legislativo è solo un’implementazione concreta della strategia di fondo di evitare irrigidimenti e di lasciare impregiudicata alcuna soluzione istituzionale.

La scelta di lasciare vaga ed ambigua la specifica disciplina dello scioglimento si rifrange, innanzitutto, nell’opzione di riconoscere, da una parte, potere di iniziativa al Governo, nell’ottica di rafforzarne il potere di guida rispetto alla propria maggioranza parlamentare, e, dall’altra, un potere di intervento in capo al Presidente della Repubblica – figura super partes e autonoma rispetto al circuito dell’indirizzo politico – a tutela del corretto svolgimento delle dinamiche politico- istituzionali e per prevenire abusi nell’esercizio da parte della maggioranza. L’unica strada capace di garantire contemporaneamente sia le prerogative di chi governa che l’armonico equilibrio fra poteri costituzionali era dunque quella di coinvolgere entrambi questi due poli nel processo decisionale, all’interno di una prospettiva di leale cooperazione che informa fortemente il sistema costituzionale. Una volta ammessa la compartecipazione fra quegli organi che incarnano le due tensioni costituzionali in parola (cioè, quella volta all’implementazione della funzione di governo, e quella posta a vigilanza delle più basilari garanzie democratiche), nulla è più predefinito. Nel senso che il grado attraverso cui queste istanze, spesso conflittuali, possono emergere e svilupparsi può

399 Per la contrapposizione tra ‹‹titolarità giuridica formale›› e ‹‹titolarità giuridica sostanziale››, cfr. M. VOLPI, Lo

scioglimento anticipato del Parlamento e la classificazione dei regimi contemporanei, cit., p. 94 , il quale inserisce

tale dicotomia all’interno della categoria più generale della ‹‹titolarità giuridica›› come contrapposta alla ‹‹titolarità politica››.

variare di caso in caso, sotto l’influenza del contesto politico ed entro la cornice storica in cui si muove; in questo modo si arriva a configurare quell’atto di natura complessa che la scienza amministrativistica ha definito400.

La soluzione appena proposta è quella più idonea a tenere in considerazione le due tensioni che animano, da sempre, un ordinamento democratico: la ricerca di un arduo (ma necessario) punto di bilanciamento è da sempre alla base delle innovazioni normative e delle indagini scientifiche, e questo equilibrio è difficilmente cristallizzabile in soluzioni pietrificate ed universali. L’armonia che si può raggiungere in una situazione, non sempre è ripetibile nei medesimi termini. Per questo, sembra più ragionevole individuare non un punto fisso di equilibrio, ma uno spettro all’interno del quale la soluzione è mobile e suscettibile di adattarsi alle contingenze.

In altre parole, bisogna rifuggire dalla tentazione di riconoscere poteri taumaturgici al Capo dello Stato, da invocarsi ogni volta che il meccanismo istituzionale si inceppa, o da quella di pretendere che le esigenze di governo possano prevaricare i diritti delle minoranze (o anche della stessa maggioranza). Il Presidente della Repubblica e l’Esecutivo sintetizzano la voce ultima e definitiva, in grado di impegnare il potere che rappresentano: e il loro reciproco rapportarsi conduce al perseguimento della sintesi di volta in volta ottimale a garantire le suddette esigenze di governabilità e di garanzia.

Detto questo, una volta comprese le potenzialità implementative offerte da siffatta ricostruzione teorica, si stempera parzialmente l’altra grande questione posta al fondo della problematicità del potere di sciogliere anticipatamente le Camere: ossia, quella delle ipotesi suscettibili di evocare l’esercizio dello strumento dello scioglimento. Infatti, la valutazione che i due poli operano, prima autonomamente, e poi in sede di confronto, permette di tenere in considerazione tutti gli aspetti della crisi, sia quelli causali che quelli finalistici. La bontà di una tale ricostruzione sta nel fatto che essa allontana i timori di eccessive torsioni presidenziali, o di inaccettabili soprusi maggioritari, grazie al controllo reciproco che inevitabilmente si instaura401: la migliore garanzia per la tenuta di

un ordinamento non risiede nella concentrazione in un solo organo di tutte le prerogative di

400 Sandulli dà una chiara e corretta enunciazione della categoria “atto complesso”: si tratterebbe innanzitutto di atto

posto in essere da agenti diversi, «le cui determinazioni si concretano in una manifestazione unitaria e concorde»; ma visto che tale significato varrebbe per il contratto, ciò che distingue il primo dal secondo è che «convergono e si uniscono interessi coordinati in atteggiamento di cooperazione» (A. M. SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo,

vol. I, Napoli, 1989, p. 659). Lo stesso Autore declina questo paradigma generale sulla misura del decreto presidenziale stesso, quando dice che ‹‹si tratta cioè di due volontà parimenti essenziali e indispensabili, parimenti libere nella loro determinazione – entro i limiti dell’interesse pubblico cui devono procedere –, e dotate di pari potere efficiente in ordine all’effetto giuridico da conseguire. […] Appare correttamente applicabile a esse l’insegnamento tradizionale che considera la volontà del Capo dello Stato e quella ministeriale come componenti di un atto complesso››: A. M. SANDULLI, Il Presidente della Repubblica e la funzione amministrativa, cit., p. 16.

401 Sintetizza perfettamente questo equilibrio fra Presidente della Repubblica e Presidente del Consiglio Mortati, per il

quale ‹‹l’intervento del primo dovrebbe preservare nell’eventualità che lo scioglimento venga disposto solo nell’interesse del partito al potere, mentre quello del secondo ha la funzione di arrestare iniziative presidenziali che assumano l’aspetto di interferenza nello svolgimento dell’indirizzo politico di maggioranza››: C. MORTATI, Lezioni sulle forme di governo, cit., p. 433.

vigilanza democratica402, bensì nel rafforzamento delle prerogative di controllo che gli organi

costituzionali esercitano gli uni nei confronti degli altri.

Perciò, le ragioni sono difficilmente schematizzabili in elenchi predefiniti; ma se un’operazione del genere, dal valore indicativo, s’ha da compiere, allora appare del tutto lineare la riconducibilità delle varie cause all’ampia gamma delle ragioni di funzionalità del sistema. Peraltro, l’interesse alla funzionalità è insito sia nel raccordo fiduciario Governo-Parlamento, poiché eventuali disfunzioni rendono impraticabili le prerogative di governo, sia nel Presidente della Repubblica, la cui esistenza è preordinata a controllare che le dinamiche istituzionali si sviluppino linearmente. Le ipotesi più probabili, una volta scartate quelle più legate ad un regime parlamentare ormai superato (i contrasti tra Camere, tra Governo e Parlamento, tra Capo dello Stato e Parlamento) si inseriscono nel

cleavage che separa, nel sistema contemporaneo, la maggioranza e l’opposizione.

In particolare, in un sistema a pluripartitismo estremo, in cui la funzione di governo può venire assolta solo da più partiti raggruppati in coalizione, è la rottura del patto di schieramento ad integrare la situazione tipica. Con l’apertura della crisi, che l’art. 94 Cost. ha cercato di incanalare secondo un più trasparente (ma nella prassi illusorio) percorso parlamentare, le due istanze si giustappongono, ed alimentano la tensione tra la volontà di proseguire la legislatura sulla base di un rinnovato accordo politico e la necessità di chiamare il popolo a pronunciarsi su quale coalizione meriti la chance di guidare il governo. Assodato che chi decide per lo scioglimento non dà una risposta alla crisi, ma mette il corpo elettorale nelle condizioni di esprimersi e di premiare le scelte politiche che ritenga più opportune, può dirsi che esso non è praticamente più rivolto da un organo costituzionale contro un altro: in realtà esso funge da strumento il cui utilizzo si inserisce all’interno delle dinamiche endocoalizionali. Con la dissoluzione anticipata si dà seguito alla scomposizione avvenuta nell’alleanza di governo, dando ai contrasti politici un tono costituzionale, e rendendo maturo il pronunciamento da parte del popolo sovrano. Tutto questo a ribadire come la ragione preponderante per l’uso dell’art. 88 Cost. sia quella dello sfaldamento della maggioranza.

Seguendo l’intero ragionamento finora condotto, si può restituire dignità scientifica al cd. scioglimento di maggioranza, ossia la dissoluzione deliberata nel solo interesse della maggioranza, nel momento in cui questa ritenga vi sia un certo consenso verso la sua azione da parte dell’opinione pubblica. Malgrado larga parte della dottrina si sia da sempre dimostrata avversa nei confronti di questa alternativa, si è già cercato di spiegare come nessun dato costituzionale

402 Impostazione tipica dell’hüter der Verfassung, lo schmittiano “guardiano della Costituzione”, che assomma in sè

l’essenza ontolgica dello Stato e, in virtù di ciò, è in grado di manifestare la volontà politica suprema: cfr. C. SCHMITT, Der hüter der Verfassung, Tubinga, 1931. A mettere in guardia (seppure con toni cupi) su questi rischi,

particolarmente pericolosi all’interno di ‹‹società non omogenee›› come quella italiana, è, fin dal 1948, G. GUARINO, Lo scioglimento delle Assemblee parlamentari, cit., pp. 136 ss., per il quale ‹‹ogni teoria che voglia affidare ad un

singolo organo il compito di “guardiano della Costituzione” in una società omogenea è destina a dare cattivi frutti, perché non tiene conto […] che ogni partito in quanto tale ed in quanto preso nel gioco della lotta politica, non potrà non essere tentato di sfruttare tutti i poteri a sua disposizione per eliminare l’avversario››.

realmente osti alla sua ammissibilità. Ma anche da un profilo di sistema, la grande ecletticità dello strumento, che consente di rimodularne camaleonticamente le caratteristiche, e la necessità dell’assenso presidenziale sono sufficienti garanzie affinché lo scioglimento non subisca distorsioni. Peraltro, il Presidente della Repubblica non avrebbe alcun interesse ad avallare decisioni spregiudicate, come la forzatura dello scioglimento, in quanto si esporrebbe incautamente davanti all’unità nazionale che rappresenta (art. 87 Cost.) – e quindi in termini di responsabilità diffusa403 –,

e configurerebbe pericolosamente un reato di attentato alla Costituzione (art. 90 Cost.); per non parlare delle regole di correttezza istituzionale che, associate all’incarico quirinalizio, tanta parte hanno nel condizionarne la condotta, vista la scarsità di precise indicazioni positive e la politicità intrinseca alla funzione stessa – politicità che non c’entra con l’indirizzo politico, bensì afferisce ad una più complessiva attività di politica costituzionale.

A questo punto, tutto bene? Lo schema descritto è sufficiente perché si concretizzi senza problematicità? Nient’affatto, in quanto uno studio delle forme di governo che abbia l’ambizione di mostrarsi completo non può non tenere conto dell’avvento dei partiti politici, impostisi a partire dal secondo dopoguerra, e annunciati protagonisti della stagione repubblicana, fin dalla sua fase costituente404. In più, appare sterile limitare il raggio d’azione dell’indagine alle sole disposizioni

giuridiche positive, poiché in un settore intriso di forte politicità quale quello delle dinamiche interistituzionali sono le regole che si delineano in via convenzionale a dettare per la gran parte i comportamenti degli attori costituzionali405.

In conclusione, si può affermare che la ricostruzione esclusivamente teorica della forma di governo abbia dato risultati al contempo insufficienti ed eccessivi: insufficienti in quanto incapace di delineare con precisione uno schema di funzionamento tipico e ripetibile; eccessivi poiché questa

403 Partendo anch'egli dall'irresponsabilità politica del Capo dello Stato, ne esclude però conseguentemente pure una

forma di responsabilità diffusa G. U. RESCIGNO, La responsabilità politica, cit., pp. 210 ss.

404 D’altronde, questo è l’insegnamento che Elia ha voluto portare all’attenzione degli studiosi, impostando una nuova

metodologia per l’approccio di questo settore disciplinare: ‹‹le forme di governo dello stato democratico non possono più essere né classificate né studiate, anche dal punto di vista giuridico, prescindendo dal “sistema dei partiti”; in effetti questo è esplicitamente o implicitamente presupposto dalle norme costituzionali vigenti›› (L. ELIA, Governo (forme di), cit., p. 638). Già prima era stato Crisafulli a ricavare dal testo costituzionale, in via ulteriore

rispetto all’espressa previsione dell’art. 49, la presenza dei partiti, ‹‹puntualmente sottintesi nel funzionamento delle Assemblee parlamentari e nel meccanismo dei rapporti tra Parlamento e Governo››; d’altronde, prosegue l’Autore, ‹‹l’averne riconosciuta una volta per tutte la funzione caratteristica sul terreno dell’indirizzo politico implicava il riconoscimento della realtà partitica nell’ambito parlamentare, con speciale riferimento al raccordo Governo- Parlamento›› (V. CRISAFULLI, Partiti, Parlamento, Governo, in P. L. ZAMPETTI (a cura di), La funzionalità dei partiti nello Stato democratico, Milano, 1967, ora contenuto in V. CRISAFULLI, Stato, popolo, Governo: illusioni e delusioni costituzionali, cit., p. 211). Oggi, una sintesi di questa impostazione si può trovare in F. LANCHESTER, Gli strumenti della democrazia, Milano, 2004, pp. 108 ss. (per la bibliografia, cfr. nota 61).

405 ‹‹Come l’art. 49 da noi e prima ancora il diritto costituzionale vissuto nei Paesi democratici contemporanei impone

di inquadrare giuridicamente il fenomeno partito e la sua influenza sugli organi costituzionali (se non altro in termini di liceità), così le regole convenzionali accertate manifestano la rilevanza (e la doverosità) di comportamenti, che trovano la loro ratio soltanto nell’assetto politico preso in considerazione. […] Ogni forma di governo include oggi un contesto partitico che la qualifica almeno in parte, sai dal punto di vista strutturale sia, più ancora, da quello funzionale›› (L. ELIA, Governo (forme di), cit., p. 640).

plasticità è in grado di generare sviluppi pratici delle più varie forme. Proprio per colmare questa lacuna, il giurista costituzionalista non può fare a meno di approcciarsi con lo studio della prassi, ossia della ripetizione di azioni, da parte dei soggetti costituzionali, in grado di costruire le cd. regolarità: d’altronde, come insegna Crisafulli, ‹‹la Costituzione vive e si realizza nella prassi, quindi nella interpretazione che ne danno giornalmente gli organi costituzionali››406. In quest’ottica,

ha ragione Barbera quando afferma che tali regolarità danno vita a ‹‹normative di “natura sussidiaria”, che vigono cioè negli spazi vuoti, non coperti da puntuali regole costituzionali, fino a quando non intervenga una normativa che occupi quello spazio o fino a quando non operi la loro dissolvenza sulla base dell’applicazione della clausola “rebus sic stantibus”››407.

In particolare, il ruolo della prassi assume una maggior valenza in relazione allo specifico oggetto di questa ricerca, il potere di scioglimento: è Bartole, da sempre attento a dare il giusto peso ai dati pratici, a sottolineare come la loro conoscenza costituisca un modo sia per comprendere il significato delle disposizioni interessate, che per apprezzare l’utilità reale dell’istituto408. Detto ciò,

non ci si può nascondere che anche la prassi, al pari (se non di più) della norma giuridica, può essere oggetto di interpretazioni e ricostruzioni che vadano in senso diametralmente opposto: per questo, l'indagine su questo specifico campo richiede un uguale grado di attenzione e ponderazione rispetto a quanto svolto in riferimento ad una classica ricerca puramente giuridica409.

406 V. CRISAFULLI, La Corte costituzionale tra magistratura e Parlamento, in AA. VV., Scritti giuridici in memoria di P.

Calamandrei, vol. IV, Padova, 1958, p. 294.

407 A. BARBERA, Intorno alla prassi, in A. BARBERA, T. F. GIUPPONI (a cura di), La prassi degli organi costituzionali,

Bologna, 2008, p. 18; tuttavia, come sottolinea sempre lo stesso Autore, non bisogna confondere i due fenomeni in questione, cioè la pratica materiale con la prescrizione giuridica, in quanto il primo attiene al mondo dell’”essere” ed il secondo a quello del “dover essere” (in termini coincidenti, cfr. anche G. U. RESCIGNO, Prassi, fatto normativo e scienza giuridica, in A. BARBERA, T. F. GIUPPONI (a cura di), op. cit., p. 583). Nello stesso volume si trovano ulteriori

studi finalizzati a comprendere come, nel campo del diritto costituzionale, la prassi possa essere una fonte ricca di dati tendenziali dal forte impatto descrittivo ed orientativo (e, per quanto qui specificamente interessa, cfr. il contributo di C. FUSARO, Il Presidente della Repubblica nel sistema bipolare: spunti dalla prassi più recente, pp. 23

ss., spec. p. 24).

408 Cfr. S. BARTOLE, op. cit., p. 936. In un'opera più recente, lo stesso Autore ha messo bene in luce come «all'idea di

razionalizzare i comportamenti degli operatori politici e costituzionali assoggettandoli a regole precise, [...], si contrappose vincente l'opinione che dovesse farsi spazio all'autonomia di determinazione di quegli operatori lasciandoli liberi di atteggiare i loro comportamenti e di ricollegarvi questa o quella conseguenza secondo le convenienze del momento politico»: S. BARTOLE, Interpretazioni e trasformazioni della Costituzione repubblicana,

Bologna, 2004, p. 112.

409 Per fare un esempio sulle molteplici possibilità ricostruttive della prassi, si veda come la dottrina ha riletto il

processo di traslazione della natura del soggetto costituzionale indicato dall'art. 89 Cost. – in altre parole della valorizzazione dell'aspetto certificativo della controfirme piuttosto che di quello propositivo –: se per Barbera si tratta del «”dispiegarsi di un indirizzo interpretativo”, di regole in un terreno che l'ordinamento costituzionale lascia volutamente già aperto a più soluzioni» (A. BARBERA, Intorno alla prassi, cit., p. 13), per Ainis siamo di fronte a un

«fronte di conflitto tra la lettera della Costituzione e le sue deviate applicazioni» (M. AINIS, Sul valore della prassi nel diritto costituzionale, in Riv. trim. dir. pubbl., n. 2/2007, p. 328).