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Segue: le riforme del divieto, tentate (1963) e riuscite (1991)

Capitolo II – Lo scioglimento nel dibattito in Assemblea costituente

4. I limit

4.3. Segue: le riforme del divieto, tentate (1963) e riuscite (1991)

possibilità di essere adottato›› (S. GALEOTTI, Intervento, in AA. VV., Una revisione costituzionale: eleggibilità del Presidente della Repubblica e potere di scioglimento, in Rass. parl., n. 10-12/1963, p. 734); Sica denuncia il rischio

che ‹‹l’organizzazione dello Stato [diventi] materialmente carente o [possa] diventarlo ai suoi vertici e nei due poli estremi›› (V. SICA, Intervento, cit., p. 85); Galatello-Adamo parla della necessaria esperibilità dello scioglimento

‹‹qualora si verifichi uno slittamento dalla democrazia parlamentare alla dittatura d’Assemblea›› (A. GALATELLO-

ADAMO, op. cit., p. 272); Ciaurro mette in guardia dalla conseguenza secondo cui ‹‹la posizione del Presidente

verrebbe allora ad essere rafforzata e non indebolita dal divieto di scioglimento›› (G. F. CIAURRO, op. cit., p. 6).

366 Il ragionamento sarebbe praticamente questo: qualora ci si trovi in una situazione di ‹‹valutazione “necessitata” e

“inderogabile”, per una manifesta e incontrastabile situazione oggettiva di cose››, l’applicazione rigida del divieto di scioglimento condurrebbe ad un risultato ‹‹aberrante perché, in buona sostanza, per negare, da un lato, al Capo dello Stato, la possibilità di sciogliere le Assemblee legislative su proposta del Governo o, addirittura, su richiesta di entrambi o di uno solo dei Presidenti delle Camere, che è il meno, gli si lascerebbe il dominio del potere, che è certamente il più››, per cui, in conclusione, occorre distinguere tra ‹‹ipotesi di dissoluzione e sostituzione della rappresentanza parlamentare, quella “facoltativa”, affidata al criterio discrezionale del Presidente della Repubblica, e che egli può esercitare in qualunque momento del suo mandato, ad eccezione del semestre ultimo››, e l’ipotesi “obbligatoria” qui proposta (cfr. G. PERRONE CAPANO, Semestre bianco e semestre nero, in Dem. dir., 1961, pp. 430

ss.).

367 Perrone Capano prova a dare risposta a queste perplessità affermando che ‹‹il formalismo non può sacrificare la

sostanza›› (G. PERRONE CAPANO, op. cit., pp. 430).

368 Secondo Rescigno, un primo argomento si desume dall’art. 60 Cost.: ‹‹se la durata delle Camere può essere

prorogata solo in caso di guerra, questo significa che in tutti gli altri casi bisogna sciogliere alla scadenza, quindi anche nel semestre bianco››; l’Autore poi raffina il suo pensiero quando dice che l’art. 85, comma terzo, ‹‹prorogando i poteri del Presidente della Repubblica se nel momento della convocazione mancano meno di tre mesi alla normale cessazione delle Camere, attribuisce al Presidente della Repubblica prorogato il potere-dovere di sciogliere le Camere affinché le nuove possano eleggere il suo successore››, per cui sarebbe totalmente contro la

ratio dell’istituto della prorogatio ‹‹pretendere che, cadendo la cessazione delle Camere nel semestre bianco, il

Presidente della Repubblica non possa sciogliere fino al 30° giorno prima della sua scadenza, e sia invece obbligato a sciogliere subito dopo, rientrando nella ipotesi della scadenza minore di tre mesi (ovviamente, perché in realtà tale scadenza è tanto minore dei tre mesi che… è già scaduta)››: G. U. RESCIGNO, Art. 85, in G. BRANCA (a cura di), Commentario della Costituzione. Presidente della Repubblica, art. 83-87, Bologna, 1978, p. 80. Già

Come già accennato, il comma secondo dell’art. 88 Cost. è stato più volte fatto oggetto di interesse dal Legislatore costituzionale. Le prime iniziative risalgono al 1963, con due progetti di legge di revisione costituzionale che hanno in qualche modo accompagnato il messaggio del Presidente della Repubblica Segni.

In verità, la questione del semestre bianco non veniva presa di petto, ma bensì toccata come conseguenza di un altro disegno, cioè l’introduzione del divieto di immediata rieleggibilità del Capo dello Stato all’art. 85 Cost. In pratica – queste le considerazioni dei soggetti proponenti la revisione –, il Costituente voleva ammettere la possibilità che un Presidente che avesse dato buona prova di sé nell’esercizio delle sue funzioni, potesse ambire ad un nuovo mandato, in cui poter mettere in campo tutta la propria saggezza ed esperienza369. Per evitare che questa legittima aspirazione si

traducesse in un concreto abuso degli strumenti costituzionali, era stato introdotto il limite di cui all’art. 88, comma secondo. Di conseguenza, la questione si doveva risolvere a monte, per evitare l’instaurazione di una “monarchia presidenziale”, ritenuta insostenibile per una moderna Repubblica (a prescindere quindi dalle qualità riconosciute alla persona che ne riveste l’ufficio): tale modifica, a cascata, avrebbe perciò reso del tutto inutile il divieto di scioglimento durante il semestre bianco, in quanto lo avrebbe svuotato delle motivazioni ritenute dai più idonee ad un uso distorto del mezzo dissolutorio370.

Detto della ratio del limite temporale allo scioglimento, detto della sua utilità e delle sue conseguenze istituzionali, detto delle proposte di abolizione (funzionali alla riforma dell’art. 85 Cost.), ora si tratta di capire se queste ultime si sono rivelate a loro volta pertinenti ed opportune. La reazione della dottrina fu di tre tipi: c’erano i fautori della revisione in parola; c’erano gli oppositori; infine, c’era anche chi riteneva questa operazione del tutto inconferente rispetto ai fini che si volevano soddisfare. Quanto alla prima posizione, basterebbe ripetere gli intenti dei promotori per comprenderne il ragionamento: ci si limiti a notare come, per questa parte della dottrina, ciò fosse implicazione pressoché inevitabile dell’introduzione del divieto di rieleggibilità, a conferma della stretta monofunzionalità riconosciuta da costoro all’istituto del semestre bianco371.

369 Cfr. G. U. RESCIGNO, Art. 85, cit., p. 64.

370 Si trovi conferma di ciò nel testo del messaggio presidenziale, contenuto in Rass. parl., n. 10-12/1963, pp. 697 ss.:

‹‹la nostra Costituzione non ha creduto di stabilire il principio della non rieleggibilità del Presidente della Repubblica, ma mi sembra opportuno che tale principio sia introdotto nella Costituzione, essendo il periodo di sette anni sufficiente a garantire una continuità nell’azione dello Stato. La proposta modificazione vale anche ad eliminare qualunque, sia pure ingiusto, sospetto che qualche atto del Capo dello Stato sia compiuto al fine di favorirne la rielezione. Una volta disposta la non rieleggibilità, si potrà anche abrogare la disposizione dell’art. 88 comma 2 della Costituzione, il quale toglie al Presidente il potere di sciogliere il parlamento negli ultimi mesi del suo mandato. Questa disposizione altera il difficile e delicato equilibrio tra i poteri dello Stato, e può far scattare la sospensione del potere di scioglimento delle Camere in un momento politico tale da determinare gravi effetti››.

371 Cfr. le relazioni di accompagnamento ai d.d.l.cost., nonché, a seguire, le considerazioni di F. M. DOMENIDÒ e S.

GALEOTTI, in Rass. parl., n. 10-12/1963, pp. 697 ss, quelle di V. CRISAFULLI, in Rass. parl., n. 1-2/1964, pp. 63 ss.; cfr.

altresì A. GALATELLO-ADAMO, op. cit., p. 272, D. SANTELIA, G. PAGNANO, op. cit., p. 1321, e G. U. RESCIGNO, Art. 85,

La posizione opposta, quella critica verso il combinato di proposte riformatrici, denuncia invece come questo avrebbe la conseguenza di deresponsabilizzare eccessivamente il Capo dello Stato, ponendolo in una posizione di indipendenza incontrollabile. Infatti, dal momento che questo avrebbe coscienza dell’impossibilità di una riconferma, cosa gli impedirebbe un uso spregiudicato delle facoltà riconosciutegli? Tanto sarebbe coperto da irresponsabilità, se non quelle derivanti dall’attentato alla Costituzione: ma non necessariamente egli dovrebbe giungere a tanto per poter integrare una situazione di abuso di potere. Dunque, il venir meno del controllo da parte del collegio elettorale eliminerebbe quindi un efficace deterrente contro distorsioni presidenzialistiche; e questo discorso va ricondotto al complesso delle attribuzioni presidenziali, poiché ne coinvolge il ruolo globale, e non al solo potere di sciogliere anticipatamente le Camere372.

Ma l’orientamento che forse convince di più è quello che tende a sganciare le due innovazioni proposte, finora lette sempre nella loro inscindibilità. Innanzitutto si disconosce, nei termini già spiegati, che la ratio del semestre bianco sia quella di prevenire manovre preelettorali da parte del Presidente uscente. Una volta sfatato questo tabù, rimane la considerazione dell’anomalia di un istituto del genere, visto nella sua unicità, che potrebbe benissimo essere destinatario di una abolizione ad hoc373.

Finito in un nulla di fatto questo intento riformatore, la questione veniva ripresa, con analoghi esiti, da un altro messaggio presidenziale (quello del Presidente Leone, del 15 ottobre 1975), e da ulteriori progetti parlamentari.

La questione si pone però in termini completamente rinnovati ad inizio anni ’90. In discussione non è più la voluntas legislatoris di sopprimere un’anomalia come immediata conseguenza della incandidabilità al Quirinale dell’inquilino uscente. Il problema invece riguardava il cd. ingorgo istituzionale che era alle viste: il 2 luglio 1992 scadeva la legislatura parlamentare, mentre il 3 si estingueva il settennato presidenziale, per cui il Presidente Cossiga non avrebbe potuto dare seguito allo scioglimento anticipato delle Camere; in questo modo la legislatura si sarebbe conclusa alla sua naturale scadenza, e perciò le consultazioni elettorali si sarebbero tenute durante i mesi estivi374. In

questa sede ci si limiti a dire che la coincidenza di queste scadenze aveva indotto le forze parlamentari ad approvare una “leggina” costituzionale modificativa dell’art. 88 Cost., la l. cost. 4 novembre 1991, n. 1, la quale aveva proceduto a riscrivere il secondo comma nei termini oggi

372 Cfr. gli interventi di P. BARILE e G. CUOMO, in Rass. parl., n. 10-12/1963, pp. 708 ss.

373 Cfr. le opinioni espresse da T. MARTINES e V. SICA (del quale si rinvia anche ai riferimenti bibliografici già citati), in

Rass. parl., n. 1-2/1964, pp. 69 ss; per quanto riguarda il primo Autore, in altra opera questi dimostra un ritorno sui

propri passi, dato che si dimostra favorevole all’abolizione del semestre bianco e alla contemporanea introduzione del divieto di rieleggibilità (cfr. T. MARTINES, Diritto costituzionale, cit., p. 443).

374 Dato che l’art. 61 Cost. impone la convocazione dei comizi elettorali prima del settantesimo giorno precedente alla

cessazione delle Camere, il calendario costituzionale avrebbe costretto le elezioni nel periodo intercorrente dal 2 luglio al 10 settembre 1992, in una data considerata da tutti inusuale e inopportuna.

conosciuti: ‹‹non può esercitare tale facoltà negli ultimi sei mesi del suo mandato, salvo che essi coincidano in tutto o in parte con gli ultimi sei mesi della legislatura››375.

Secondo gran parte della dottrina, a ragione, tale revisione costituzionale non intaccherebbe la sostanza, in quanto rappresenterebbe una soluzione tecnica che fornisce una mera eccezione alla

ratio originaria, che non verrebbe in alcun modo alterata: posto che, senza ricorrere alla procedura

aggravata ex art. 138 Cost., si sarebbe potuto risolvere la questione specifica semplicemente ‹‹in via di interpretazione dell’art. 88 originario››, rimane la constatazione che una tale riforma non ha risolto nessuno dei problemi posti dall’istituto del semestre bianco376. Ma vi è pure qualche voce

discorde, che offre un’interpretazione originale delle vicende del biennio 1991-1992. Orrù offre tre dati, due di ordine pratico, ed uno ricostruttivo. In primo luogo, rileva come il Legislatore costituzionale abbia scelto di rimanere a metà strada tra le uniche due soluzioni possibili: ‹‹o il semestre bianco non ha senso o, quantomeno, non è opportuno […] e, allora conveniva sancirne la cancellazione dal dettato costituzionale; oppure si ritiene che abbia in sé ancora qualche funzione di garanzia […] e, quindi, non si vede perché solo nel caso di specie sia stato, di fatto, annullato››377.

In secondo luogo, l’Autore ritiene che l’ingorgo “istituzionale” da tutti denunciato fosse solo un modo per dissimulare un ingorgo “puramente politico”: in altre parole, il compromesso raggiunto si sarebbe rivelato ‹‹funzionale a lasciare carta bianca alle forze politiche per mettere a punto strategie e tattiche preelettorali in modo anche di poter trattare su un unico tavolo il quasi contemporaneo avvicendamento in programma sia alla guida del Governo che al Quirinale come pure alla Presidenza delle Camere››378.

Sebbene queste considerazioni più legate alla politica costituzionale possano essere condivisibili, qualche perplessità la suscita la lettura ricostruttiva proposta da Orrù. In buona sostanza, egli prende le mosse dal confronto fra Camere e Presidente, qualora queste istituzioni si trovino simultaneamente a fine mandato, alla luce della concezione che vuole l’attenuazione di potere e responsabilità degli organi man mano che ci si allontani nel tempo dal momento della legittimazione iniziale. La risultanza di questa operazione fa dire all’Autore che il Legislatore costituzionale del 1991 ha voluto privilegiare il Capo dello Stato: ‹‹la delegittimazione delle Camere in procinto di scadere è così forte e così “sospetta” da far superare le corrispondenti remore che, di regola, gravano sul Presidente della Repubblica nell’ultimo semestre del suo settennato››, nutrendo così più fiducia nella funzione di garanzia svolta da quest’ultimo ‹‹in mirata

375 Per una precisa cronaca, e riflessioni annesse, cfr. M. OLIVETTI, Lo scioglimento delle Camere del 2 febbraio 1992.

Una “curiosità costituzionale” o un precedente imbarazzante?, in Giur. cost., n. 1/1993, pp. 599 ss.

376 Cfr. V. ONIDA, L’ultimo Cossiga: recenti novità nella prassi della Presidenza della Repubblica, in Quad. cost., n.

2/1992, p. 183, ma nello stesso senso anche A. BALDASSARRE, op. cit., p. 244, e A. REPOSO, Lezioni sulla forma di governo italiana, cit., p. 209.

377 R. ORRÙ, Estensione dei poteri presidenziali di scioglimento delle Camere, in Corr. giur., n. 1/1992, p. 129. 378 R. ORRÙ, op. cit., p. 129.

contrapposizione alla possibile non correttezza di funzionamento che potrebbe caratterizzare, ab

imis, le Assemblee parlamentari››; e capovolgendo la logica che aveva invece mosso il

Costituente379.

Come detto, questa opzione interpretativa della l. cost. 1/1991 non è del tutto convincente, perché enfatizza oltremodo quella che, nella sostanza, non costituisce altro che una macchinosa eccezione giustificata dal verificarsi (raro, ma non improbabile) di una situazione di contemporanea successione dei due massimi organi costituzionali del nostro ordinamento. Mentre i dubbi testè sollevati, molto probabilmente, muovono dal timore di un eccessivo rafforzamento della figura presidenziale, timore che al contrario verrebbe facilmente fugato se si tenesse conto della garanzia fornita dalla partecipazione del Governo alla procedura di scioglimento – peraltro, Governo intimamente collegato con quel Parlamento che sarebbe “vittima” del provvedimento dissolutorio –, e dunque se si ammettesse che Quirinale ed Esecutivo siano su posizioni equiordinate e impostino il rapporto reciproco su una base di cooperazione/controllo.