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CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

Nel documento Imputato e Testimone (pagine 129-145)

È ora giunto il momento di tentare di tirare le fila dell’analisi svolta e di formulare un giudizio d’insieme sulle scelte compiute dal legislatore con la legge di attuazione del giusto processo.

La prima considerazione riguarda l’eccessiva complessità della suddetta normativa, a ragione definita “rompicapo”172: i meccanismi delineati, già complicati di per sé, infatti, sono resi di ancor più difficile comprensione dai continui rinvii incrociati ad articoli e commi. Tale inconveniente sarebbe, comunque, passato in secondo piano se, con la legge in commento, si fossero effettivamente raggiunti i risultati auspicati. Una considerazione complessiva della nuova disciplina pone, invece, in evidenza come essa abbia solo in parte dato attuazione ai principi costituzionali sanciti dalla L. Cost. n. 2 del 1999.

In particolare, sono stati attuati solo parzialmente il diritto dell’accusato a confrontarsi con il suo accusatore e, conseguentemente, il principio del contraddittorio nella formazione della prova.

Innanzitutto, va detto che la legge n. 63 ha lasciato immutato il “nocciolo duro” dell’incompatibilità a testimoniare degli imputati in procedimenti connessi per concorso del

172 M. D’ANDRIA, Le nuove qualifiche soggettive create dalla l. n. 63 del 2001 e la riforma dell’art. 64 c.p.p., in Cass. pen., 2002, 856

medesimo reato e ipotesi assimilate (art. 12, lett. a), c.p.p.): essi continuano ad avere la possibilità di rivolgere ad altre persone false accuse e di decidere, in seguito, di sottrarsi al contraddittorio trincerandosi dietro il diritto al silenzio, tuttora loro riconosciuto. Una piena realizzazione del principio del contraddittorio avrebbe, invece, richiesto che l’obbligo penalmente sanzionato di rispondere secondo verità in dibattimento fosse imposto a “tutti” i dichiaranti. La previsione dell’obbligo testimoniale anche per i coimputati ex art. 12, co. 1°, lett. a) c.p.p., è stata impedita dalla considerazione dell’estrema difficoltà – per non dire dell’impossibilità – di distinguere, sul terreno del medesimo reato, il fatto proprio da quello altrui: nella maggior parte dei casi il coimputato nel medesimo reato, chiamato a deporre sul fatto altrui, si troverebbe nella condizione di dover rendere dichiarazioni influenti anche sulla propria posizione. È questa la ragione di fondo per la quale il legislatore del 2001 ha ritenuto che il “non intervento” sull’area dello ius

tacendi riconosciuto a tali soggetti fosse una scelta

obbligata173.

Appare, altresì, criticabile la soluzione adottata con

173 Non si è tenuto conto del fatto che vi possano essere dei casi in cui l’incompatibilità a testimoniare può rivelarsi pregiudizievole proprio per la persona a favore della quale è stabilita. Si pensi ad un imputato innocente, che ben potrebbe avere interesse a deporre con obbligo di verità, per dare maggiore peso alle proprie dichiarazioni. Nell’attuale sistema ciò non è possibile: l’imputato non può mai assumere la qualifica di teste né nel proprio procedimento, né in altro avente ad oggetto un fatto inscindibile.

riferimento all’assunzione della qualità di testimoni degli imputati in procedimenti connessi teleologicamente o probatoriamente collegati.

Essi divengono testi assistiti in conseguenza della “scelta” di rendere dichiarazioni sul fatto altrui, con la quale rinunciano irrevocabilmente al diritto al silenzio sui fatti oggetto delle precedenti dichiarazioni.

In realtà, parlare di “scelta” non è corretto, se con tale termine si intende il risultato di una valutazione libera e consapevole del dichiarante. Questi, infatti, non sempre, al momento della sua prima dichiarazione, può essere grado di riconoscere il fatto come “altrui”; inoltre, la qualificazione giuridica di quanto affermato è rimessa alla discrezionalità dell’autorità procedente, che può anche divergere da quella eventualmente operata dall’imputato. In definitiva, in queste ipotesi, ci troviamo di fronte ad una testimonianza “coatta”174. E ciò è reso ancora più grave dal fatto che la “pseudo-scelta” del dichiarante avviene, di regola, nell’ambito dell’interrogatorio investigativo, quindi in una sede non garantita dalla presenza del giudice.

Nel caso degli imputati connessi teleologicamente o probatoriamente collegati che giungano in dibattimento

174 La qualificazione della testimonianza assistita come testimonianza “coatta” è sostenuta con particolare vigore da P. TONINI, Il diritto al silenzio tra giusto processo e disciplina di attuazione, in Cass. pen., 2002, 839; C. CONTI; la consulta valuta la testimonianza assistita: un istituto con l’intento del legislatore, in Dir. pen. proc., 2002, 1219 ss.

senza aver mai reso in precedenza dichiarazioni concernenti la responsabilità altrui (art. 210, comma 6 c.p.p.), la scelta di rinunciare allo ius tacendi è, invece, effettuata dinanzi al giudice. Ma, neppure in questo caso, si può parlare di testimonianza volontaria: anche qui il mutamento di status non discende da una scelta libera e consapevole, bensì dalla valutazione discrezionale sull’altruità dei fatti dichiarati operata dal giudice.

In entrambi i casi, probabilmente, il legislatore, consapevole della compressione della libertà di determinazione dell’imputato, ha ritenuto preferibile non far derivare, dalla scelta di accusare altri, una piena assunzione di responsabilità.

L’obbligo di verità imposto è, infatti, parziale e il dichiarante può, in ogni momento, sottrarsi al contraddittorio, se ritiene che le domande vertano sul fatto proprio.

In realtà, si sarebbe potuta percorrere una strada alternativa, che pure è stata indicata da autorevole dottrina175, e che avrebbe portato a risultati senza dubbio più soddisfacenti. Si sarebbe, cioè, potuto predisporre un meccanismo di riduzione dell’area del diritto al silenzio basato sull’istituto della testimonianza facoltativa. In un sistema siffatto, tutti i soggetti che oggi sono incompatibili con la qualifica di teste

175 La soluzione alternativa che qui si propone è quella elaborata da P. FERRUA - P. TONINI, Testimonianza volontaria dell’imputato e tutela del contraddittorio, in Cass. pen., 2000, 2868

(anche coloro per i quali è stabilita la c.d. compatibilità condizionata) potrebbero deporre come testimoni, se a ciò acconsentissero espressamente. Più precisamente, l’imputato, chiamato a deporre in un procedimento connesso o collegato al proprio, dovrebbe essere preventivamente avvertito dal giudice della facoltà di astenersi dal deporre. Una volta che egli abbia accettato di rendere dichiarazioni, però, non potrebbe più tornare indietro e sarebbe sottoposto all’obbligo di rispondere secondo verità in ordine sia all’altrui responsabilità sia alla propria. In tal modo sarebbe assicurata la libertà morale dell’atto di rinuncia allo ius

tacendi, compiuto, in maniera assolutamente consapevole,

dinanzi al giudice, organo terzo e imparziale. Inoltre, la testimonianza non avrebbe oggetto limitato, come accade oggi nelle ipotesi di compatibilità condizionata, ma potrebbe estendersi a tutti i fatti oggetto di prova.

Una soluzione di questo genere permetterebbe, finalmente, di eliminare del tutto l’ormai vetusto istituto dell’esame di persona imputata in un procedimento connesso e di ottenere un soddisfacente bilanciamento tra diritto al silenzio e diritto a confrontarsi con l’accusatore.

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