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Considerazioni conclusive

Nel documento Insegnare con allievi stranieri (pagine 78-82)

LE SCELTE PROGRAMMATICHE DELL'ITALIA

3. Considerazioni conclusive

La realizzazione di un progetto così elevato richiede, come si è visto, che si diano una serie di condizioni organizzative. Ne ricordiamo alcune imprescindibili: accanto ad un ambiente scolastico scevro da pregiudizi, ad insegnanti aperti al dialogo interculturale e formati specificamente, all'organizzazione di interventi ad hoc, di sostegno e di recupero, si richiedono anche una continuità di insegnamento che consenta la realizzazione di progetti didattici articolati su un arco di tempo pluriennale e non limitati a tamponare solo le emergenze, l'introduzione di misure di adattamento delle pratiche di vita quotidiana alle esigenze di chi è diverso culturalmente, l'erogazione di finanziamenti adeguati a supportare le iniziative delle scuole e a garantire l'effettiva possibilità di accesso a tutti i livelli di istruzione anche

agli alunni stranieri.

Si tratta di condizioni che, ad oggi, non sembrano essere pienamente soddisfatte in Italia: basti pensare a due questioni che spesso sono oggetto di discussione anche sui media, cioè i tagli ai finanziamenti per la scuola pubblica, che sono andati aumentando gradualmente soprattutto negli ultimi anni105

, e la precarietà di gran parte del corpo docente, che inevitabilmente ne limita le possibilità progettuali sia sul piano della programmazione didattica che su quello della formazione professionale. Su questo ultimo punto, tra l'altro, tutte le indagini fin qui svolte riferiscono che la maggior parte degli insegnanti si sente impreparata ad accogliere adeguatamente gli studenti stranieri, in termini di carenze conoscitive e metodologiche. Al riguardo, non si può negare che nei documenti ministeriali sia presente un costante richiamo alla necessità di una specifica formazione, iniziale o in servizio, del corpo docente, tuttavia manca una definizione a livello centrale delle competenze richieste, a differenza di quanto avviene in altri paesi europei con una più lunga esperienza in merito, come il Belgio, l'Olanda, l'Austria, il Regno Unito e la Norvegia, per citarne alcuni. Ciò consentirebbe anche di rendere gli interventi maggiormente omogenei nel territorio nazionale, pur nel rispetto delle autonome iniziative locali.

Accanto a questi dati oggettivi e concreti, non si può ignorare, infine, la presenza di atteggiamenti dettati dal pregiudizio anche all'interno dell'istituzione scolastica: studi e ricerche106 condotti soprattutto nella scuola elementare, affrontano più o meno

direttamente questo delicato argomento e rivelano la diffusione di forme sommerse e frammentate di stereotipi e di pregiudizi fra gli insegnanti. Tali indagini rivelano infatti come la maggior parte dei docenti, quando vengono intervistati, appaiono aperti all'universalismo, in linea con la deontologia professionale e con l'esigenza di costruire un'immagine positiva di sé, attribuendo l'eventuale esistenza di pregiudizi piuttosto ai genitori degli alunni e/o ai ragazzi stessi; tuttavia quando le domande rivolte dagli intervistatori lasciano cadere il riferimento all'ambiente scolastico, richiedendo opinioni sull'immigrazione in genere, le risposte diventano più ambigue 105Secondo i dati forniti dal 44° Rapporto CENSIS sulla situazione sociale del paese, nell'anno

scolastico 2009/2010, a causa degli inadeguati finanziamenti statali, il 56,5% delle scuole italiane (dalla scuola dell'infanzia alle superiori) hanno chiesto alle famiglie un contributo volontario aggiuntivo rispetto alle tasse scolastiche e al costo della mensa. La somma mediamente richiesta si aggira sugli 80 euro, con punte fino a 260 euro nei licei.

106MURST, Esperienze e formazione dei docenti nella scuola multiculturale, Roma, 1999, G. Giovannini (a cura di), Allievi in classe, stranieri in città, Franco Angeli, Milano, 1998; G. Gilardini, Gli insegnanti e i mediatori, in G. Giovannini (a cura di), La condizione dei minori

stranieri in Italia, Fondazione ISMU, 2004.

ed essi si rivelano partecipi dei timori e delle contraddizioni che il paese vive nei confronti del fenomeno migratorio e, in generale, del rapporto con l'alterità e la diversità.

Risulta dunque evidente che esiste, talora, una sensibile distanza fra i diritti sulla carta, sanciti dalla normativa specifica e dai documenti ufficialmente pubblicati dalle istituzioni scolastiche, e la situazione concreta, frutto dei provvedimenti del Governo e del Parlamento e di certi atteggiamenti diffusi nell'opinione pubblica. Nello spazio intermedio si trovano gli operatori scolastici, sui quali grava l'impegno quotidiano di far fronte ai problemi dell'integrazione degli alunni stranieri.

Pare opportuna, infine, qualche ulteriore considerazione sul tema delle "nuove prospettive della cittadinanza" di cui parla il testo ministeriale; è chiaro infatti che una delle questioni fondamentali e al tempo stesso più complesse, evidenziate dalla presenza dei figli di immigrati, è costituita dal compito della scuola pubblica di formare i futuri cittadini in una società democratica e multiculturale. La domanda circa quale modello di cittadinanza debba essere proposto ai giovani solleva un altro interrogativo cruciale, relativo alla possibilità di una educazione rispettosa delle differenze culturali e, contemporaneamente, tale da non sacrificare, in nome del riconoscimento della diversità, i valori fondamentali della cittadinanza democratica che ispirano le istituzioni nel paese.

Gli organismi scolastici competenti, nel delineare gli orientamenti generali dell'attività didattica relativamente agli specifici ambiti di pertinenza, non possono prescindere dal discutere una questione così rilevante, che ha ricadute sia di lungo periodo, ai fini della integrazione e della stabilità sociale, sia immediate, in relazione al lavoro quotidiano dei singoli docenti, qualunque sia la disciplina che essi insegnano.

Il caso francese mostra, a quali esiti possa condurre il principio secondo il quale la lealtà ai valori politici della repubblica debba senz'altro prevalere rispetto all'identità etnica. La difficoltà ad accettare l'abbigliamento delle ragazze, che nelle intenzioni delle autorità statali costituisce, come si è visto, una rigorosa affermazione della laicità dello Stato e, soprattutto, una forma di emancipazione e di libertà in nome della parità fra i sessi, d'altra parte finisce col violare un altro principio irrinunciabile, che è il rispetto in generale dovuto alle diverse opinioni e filosofie di vita, espresse dalle varie tradizioni etniche. Una scuola pubblica che miri all'assimilazione o

all'indifferenza rispetto ad esse non dà prova di tenere nella giusta considerazione le identità non politiche dei futuri cittadini.

A tale proposito, uno studioso di questioni dell'educazione e della società, Marcello Ostinelli, richiamandosi esplicitamente a Rawls, indica nell'educazione alla ragionevolezza, intesa come disponibilità ad assumersi gli oneri del proprio giudizio, la via da seguire per uscire dal dilemma:

Al cittadino democratico si richiede la capacità di distinguere tra quanto è accettabile dal punto di vista pubblico ed è condiviso dalle diverse concezioni presenti nella cultura della società, e quanto è accettabile dal punto di vista pubblico e tuttavia non è condiviso da questa o quella particolare concezione della vita buona; tra quel che di una particolare concezione è oggetto di rispetto pur non potendo essere accolto nel punto di vista pubblico, e quel che non è accettabile dal punto di vista pubblico, in quanto contrasta con gli ideali politici sottesi all'idea di cittadinanza democratica. Ogni volta si tratta di saper interpretare correttamente il criterio della ragione pubblica, distinguendo tra ragione pubblica e ragioni non pubbliche. È un esercizio di ragionevolezza, avrebbe detto Rawls, che incomincia sui banchi di scuola e che sarà continuamente messo alla prova nell'arco della vita.107

Un compito difficile e delicato che richiede alle istituzioni, scolastiche e non, un impegno mirato e costante. Per molti anni, nota Maurizio Ambrosini, "volontarismo e sperimentalità diffusa hanno prevalso, in un laborioso ed esteso "fai-da-te" dell'integrazione scolastica: uno sforzo per molti aspetti ammirevole, ma affidato in larga misura alla generosità e all'auto-organizzazione degli insegnanti"108

; vale la pena di domandarsi quanto ancora questo costume sia praticato: la presente ricerca si propone di verificarlo, sia pure in un settore dell'istruzione ed in un'area territoriale molto limitati.

107M. Ostinelli, Educazione civica democratica e multiculturalismo, in C. Galli, Multiculturalismo, Il Mulino, Bologna, 2006, p. 137.

108M. Ambrosini, S. Molina, (a cura di), Seconde generazioni, cit., p. 48. 81

Nel documento Insegnare con allievi stranieri (pagine 78-82)