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Il caso italiano

Nel documento Insegnare con allievi stranieri (pagine 71-75)

LE SCELTE PROGRAMMATICHE DELL'ITALIA

1. Il caso italiano

Nel panorama internazionale l'Italia si caratterizza, come è noto, per il passaggio piuttosto rapido dalla condizione di terra di emigrazione a quella di meta di immigrazione, a partire dagli anni Settanta. Proprio per questa ragione, prendere consapevolezza del nuovo ruolo del Paese nel sistema migratorio globale ha richiesto un tempo prolungato: basti ricordare che nella normativa il termine "immigrato" compare per la prima volta nel 198695

; prima esisteva solo lo "straniero".

Come la Spagna, il Portogallo e la Grecia, l'Italia ha conosciuto tale trasformazione nella fase in cui gli Stati europei centrosettentrionali hanno cominciato ad adottare politiche restrittive; si è trattato di flussi spontanei, indipendenti da qualunque forma di reclutamento attivo, attratti anche da una certa facilità di ingresso, talora camuffato dietro motivazioni turistiche, e dalla possibilità di inserimento nell'economia sommersa e di permanenza anche in condizioni irregolari.

Il primo testo normativo che affronta la questione dell'immigrazione in modo organico è la citata legge "Turco-Napolitano" (D.L. 25/7/1998, n. 286), la quale prevede la determinazione di quote d'ingresso nel paese per motivi di lavoro, accanto al riconoscimento di flussi per il ricongiungimento familiare o per ragioni umanitarie; introduce l'istituto della carta di soggiorno, che conferisce il diritto di residenza illimitata agli stranieri presenti nel paese da cinque anni (successivamente portati a sei); garantisce l'assistenza sanitaria anche agli irregolari e, come si è in precedenza rilevato, sancisce l'obbligo scolastico dei minori indipendentemente dalla posizione giuridica.

Nonostante le aperture sul fronte dei diritti sociali, tuttavia, questa legge non riconosce alcun tipo di diritto politico agli immigrati: la possibilità di prendere parte attiva attraverso il voto almeno alle elezioni amministrative, inizialmente prevista nel disegno di legge, è stata successivamente stralciata per consentirne l'approvazione. Al

95

L. 30/12/1986, n. 943.

contrario, nel 2001 lo jus sanguinis, su cui si fonda in Italia il diritto di cittadinanza96

, ha indotto le istituzioni a rafforzare i legami con i concittadini residenti all'estero attraverso l'istituzione del Ministero per gli italiani nel mondo ed il varo della legge che attribuisce il diritto di voto agli stessi emigrati97

.

Fra i temi che hanno dominato il dibattito pubblico sull'immigrazione in Italia, sia anteriormente che successivamente all'approvazione del Testo Unico n. 286/98, quello che ha destato le preoccupazioni più diffuse, accanto ai timori per la concorrenza nel campo dell'occupazione, è costituito dalla sicurezza, dalla convinzione cioè che la presenza degli immigrati sia responsabile di un aumento di varie forme di devianza: da qui la necessità largamente avvertita di più severi controlli alle frontiere e di interventi non solo repressivi, ma anche preventivi. A tale scopo, sono state apportate alcune modifiche al Testo unico attraverso la legge 30/7/2002, n. 189, nota come "Bossi-Fini", che impone un più stretto vincolo tra la possibilità di soggiorno e il possesso di un contratto di lavoro, una riduzione del tempo di permanenza legale nel paese per chi perde il lavoro ed un prolungamento dei tempi per ottenere la carta di soggiorno. In proposito un'autorevole studioso del fenomeno dell'immigrazione, Maurizio Ambrosini, osserva:

Per vari aspetti, a volte essenzialmente simbolici, altre volte più sostanziali, [...] la nuova legge tende a comunicare un messaggio di accettazione degli immigrati come risorsa di ultima istanza, da ammettere sul territorio nazionale in forma ristretta, e comunque provvisoria e reversibile. Un'impostazione del genere può forse rassicurare una parte della società italiana, ma non sembra preparare un terreno propizio per l'integrazione degli immigrati e dei loro figli.98

Nel luglio del 2009 è stato inoltre approvato il cosiddetto "DDL Sicurezza", che sancisce il reato di clandestinità, giustificando le sanzioni penali del caso e contribuendo ad irrigidire ulteriormente il clima generale nei confronti degli immigrati. In particolare, per ciò che concerne i giovani, il provvedimento prevede che, al compimento del diciottesimo anno di età, il rilascio del permesso di soggiorno al ragazzo straniero sia subordinato alla contemporanea sussistenza di due condizioni: la prima richiede che sia affidato o sottoposto a tutela, la seconda che sia presente da almeno tre anni sul territorio nazionale e da almeno due inserito in un progetto di integrazione. Una disposizione che rischia di vanificare i percorsi 96L. 05/02/1992, n. 91.

97L. 27/12/2001, n. 459.

98M. Ambrosini, S. Molina, (a cura di), Seconde generazioni, cit., p. 45. 72

pregressi di accoglienza e di inclusione sociale intrapresi dai minori in quanto categoria cui non è consentita l'espulsione secondo l'art. 19 del T. U. n. 286/1998 sull'immigrazione.

Il fenomeno della presenza di stranieri che giungono in cerca di lavoro suscita, dunque, diffuse preoccupazioni in buona parte dell'opinione pubblica italiana, come mostrano le oscillazioni legislative e il dibattito assai vivace sulla questione alimentato anche dai media e da alcune parti politiche, le quali presentano proprio il controllo dell'immigrazione come uno dei punti qualificanti del loro programma. Tuttavia, nonostante l'inasprimento della normativa e gli atteggiamenti di chiusura diffusi, il processo di insediamento degli stranieri è sensibilmente cresciuto negli ultimi venti anni: si è trattato di un fenomeno per lo più spontaneo, governato con difficoltà e sanzionato all'ingresso, ma spesso regolato attraverso sanatorie successivamente. Molti stranieri sono entrati in modo irregolare, e si sono inseriti nel mercato del lavoro andando ad occupare quasi esclusivamente posizioni subalterne, nelle quali svolgono attività di tipo manuale99

per cui è carente l'offerta di manodopera autoctona. L'assetto del sistema economico italiano crea infatti le condizioni per la richiesta di lavoratori non particolarmente qualificati nelle numerose piccole e piccolissime imprese o nei settori dell'industria turistica ed alberghiera, dell'edilizia, dell'agricoltura, dei servizi alle persone, che offrono scarse prospettive di mobilità. A ciò si aggiunge la tendenza del mercato del lavoro post- fordista ad assumere una struttura a clessidra100

che, unendosi alla spinta verso la flessibilità e alla tradizionale economia sommersa caratteristica del paese, determina la richiesta di manodopera generica, soddisfatta proprio dagli immigrati; contemporaneamente la graduale diminuzione di profili professionali intermedi rischia di congelare, sia per le generazioni presenti che per quelle future, ogni possibilità di un graduale mutamento di status. Quasi completamente inesistente è, invece, la ricerca all'estero di personale qualificato da parte di industrie ad alta 99I cosiddetti lavori delle cinque P: pesanti, precari, pericolosi, poco pagati, penalizzati socialmente. 100"Vari autori, con graduazioni diverse, accettano l'idea di un mercato del lavoro post-industriale a

forma di "clessidra", in cui all'abbondanza di opportunità dequalificate e sottoretribuite nella fascia bassa - la base della clessidra - e alla relativa disponibilità di posizioni professionistiche e tecniche nella fascia alta - la parte superiore - fa riscontro un marcato diradamento delle posizioni tecniche intermedie - il collo - proprio quelle che tradizionalmente consentivano un'effettiva mobilità occupazionale degli immigrati nell'arco di una o due generazioni. Si rischia così l'incapsulamento delle seconde generazioni immigrate - e invero non solo di loro - in comparti o posizioni lavorative privi di ogni prospettiva. Se questo è vero per il caso statunitense, non mancano segnali che, forse in modo più temperato, ciò sia realistico anche nelle economie avanzate europee.". M. Ambrosini, S. Molina, (a cura di), Seconde generazioni, cit., pp. XVI-XVII.

tecnologia.

L'accettazione degli immigrati nella società italiana si è dunque fondata finora solo sull'integrazione subalterna in ambito lavorativo e sulla disponibilità di essi ad accettare questo stato di cose. Come osserva ancora Maurizio Ambrosini, esiste a questo riguardo una sorta di patto tacito, per i quale "gli immigrati sono ammessi in quanto lavoratori disponibili ad accollarsi le occupazioni sgradite e ormai diffusamente rifiutate dai lavoratori italiani"; essi dovrebbero in ogni caso accettare di dare la precedenza agli italiani "per l'accesso alle occupazioni più qualificate, come pure a beni sociali scarsi, come le abitazioni fornite dall'edilizia pubblica."101

La contraddittorietà fra la normativa recente che riflette una buona parte dell'opinione pubblica ostile verso gli immigrati, da un lato, e la realtà di fatto delle presenze nel mercato del lavoro dall'altro, viene confermata da studi condotti da enti ed istituti aventi finalità anche molto diverse tra loro102

, secondo i quali gli stranieri non solo coprono il deficit demografico del nostro paese, ma producono anche l'11% circa del PIL italiano e svolgono un ruolo sempre più importante per ciò che concerne i contributi previdenziali versati, con un saldo a loro sfavore, sia a fronte di quanto lo Stato spende per le politiche di integrazione, sia per i trattamenti pensionistici da essi goduti.

Anche il problema sicurezza viene ridimensionato in queste ricerche, all'interno delle quali si evidenzia come, nonostante il forte incremento della popolazione straniera, la criminalità in Italia sia aumentata in misura contenuta negli ultimi decenni e come dal confronto tra il tasso di criminalità degli italiani e quello degli stranieri regolari non si evincano, nel complesso, significative differenze; piuttosto, il coinvolgimento criminale degli immigrati irregolari, innegabile ma di difficile quantificazione, appare spesso direttamente conseguente alla stessa irregolarità della presenza e alle precarie condizioni di vita che ne conseguono. Ne emerge le tesi per cui gran parte dell'ostilità e dei sospetti nei confronti degli immigrati appare riconducibile a pregiudizi, con la conseguente necessità di investire maggiormente sulla prevenzione e sul recupero, coinvolgendo anche i leader associativi degli immigrati stessi.

101M. Ambrosini, S. Molina, (a cura di), Seconde generazioni, cit., p. 17.

102Si vedano, ad esempio i Dossier annuali pubblicati da Caritas/Migrantes; M. Bianchi, Paolo Buonanno, Immigration and crime: an empirical analysis, Banca d'Italia, Tema di discussione n. 698, Roma, 2008; A. Accetturo, S. Mocetti, L'immigrazione nelle regioni italiane, in Banca d'Italia,

Economie regionali, n. 61, Roma 2009

Nel documento Insegnare con allievi stranieri (pagine 71-75)