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Il caso francese

Nel documento Insegnare con allievi stranieri (pagine 47-51)

TRADIZIONI A CONFRONTO

1. Il caso francese

La Francia rappresenta l'esempio tipico del modello di inclusione assimilazionista. Questo paese ha incoraggiato l'immigrazione dalle aree del bacino mediterraneo già fino dal XIX secolo per far fronte al problema della bassa natalità ma, in modo particolare, ha fatto ricorso a dispositivi per incoraggiare l'afflusso di manodopera straniera negli anni del dopoguerra, allo scopo di accelerare il processo di ricostruzione. In coincidenza con la decolonizzazione, inoltre, si sono verificati ingenti flussi di migranti provenienti dal Nord Africa, spesso reclutati sul posto da apposite agenzie governative: si trattava prevalentemente di manodopera maschile, con contratti a scadenza e quindi, nelle intenzioni del Governo, temporanea; nei fatti, però, tale immigrazione si è trasformata divenendo stanziale, né i flussi hanno subito arresti significativi, nonostante la chiusura ufficiale delle frontiere nel 1974 in seguito alla crisi economica mondiale.

Verso la fine degli anni Settanta, il Paese ha cominciato ad avvertire l'impatto della seconda generazione, figlia delle ultime ondate migratorie, sempre più numerosa nelle scuole e nelle periferie delle città: questi giovani si sono presto rivelati più difficili ed oppositivi rispetto a quelli delle precedenti seconde generazioni, costituite 60Nel presente capitolo si fa riferimento alle esperienze di tre fra i Paesi europei maggiormente interessati al fenomeno migratorio, sia in termini di durata temporale che di entità numeriche delle presenze straniere, allo scopo di definire in modo il più possibile analitico il contesto geografico e politico prossimo in cui l'Italia è inserita, con il quale è chiamata a dialogare direttamente.

Per un'analisi comparativa delle misure adottate dai vari Paesi europei per l'integrazione dei bambini immigrati a scuola, si vedano le due ricerche condotte da Eurydice, la rete di informazione sull'istruzione in Europa, pubblicate rispettivamente nel 2004 e nel 2009, entrambe con il titolo

in gran parte da individui aventi un'origine europea, ed hanno dato vita a condotte di rottura e ad un'ostilità aperta verso le istituzioni, per denunciare la propria emarginazione e la mancanza di mobilità sociale.

Tali contestazioni hanno contribuito a sollevare forti dubbi sull'efficacia di una politica di integrazione fondata sull'assimilazione degli immigrati alla cultura dominante, giustificata dal governo come espressione dei valori dell'universalismo tipici della tradizione francese. L'idea di una repubblica laica e indivisibile, fondata sull'uguaglianza degli individui davanti alla legge, infatti, ha prodotto un modello di incorporazione degli stranieri che impone la loro lenta e progressiva acculturazione, in nome del principio di equità61

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Conseguentemente, l'enfasi posta su questi principi non ha consentito il riconoscimento del diritto a trattamenti speciali per le comunità immigrate, anzi ha incoraggiato l'inserimento individuale ed eventualmente la naturalizzazione degli stranieri, considerata come una sorta di contropartita alla fruizione del benessere nazionale. In questo contesto, le politiche per l'integrazione si sono identificate per lo più con dispositivi di diritto comune, finalizzati alle fasce socialmente svantaggiate della popolazione, che di fatto hanno interessato principalmente quelle di origine immigrata.

Uno dei campi di intervento considerato prioritario è stato senz'altro la scuola che, per la sua funzione precipua, è apparsa come particolarmente idonea a svolgere un ruolo centrale nella realizzazione dell'assimilazione e dell'acculturazione dei giovani. Tra le misure per l'integrazione dei bambini immigrati, la Francia ha privilegiato il modello di inserimento cosiddetto "integrato", per il quale essi vengono, appunto, inseriti in classi composte da coetanei (o di età inferiore non più di due anni, se il loro livello iniziale di competenza linguistica lo rende necessario, a giudizio dei docenti) e seguono gli stessi contenuti curricolari previsti per gli autoctoni, senza che venga richiesta agli insegnanti l'adozione di particolari strategie metodologiche ad

hoc, a parte i casi in cui sia necessario un supporto individuale, che comunque viene

offerto durante lo svolgimento delle normali lezioni, come per tutti gli altri alunni. Tuttavia per un periodo limitato, mediamente non superiore ad un anno, è prevista 61È interessante ricordare che fino dai tempi della rivoluzione del 1789 in Francia domina una concezione statocentrica e assimilazionista, che prescrive la cancellazione delle differenze culturali nella sfera pubblica. Tale concezione è sintetizzata in modo esemplare in un'affermazione del conte di Clermont-Tonnerre durante un dibattito sulla questione del trattamento da accordare agli ebrei, tenuto all'Assemblea nazionale il 23 dicembre 1789: "Bisogna rifiutare tutto agli ebrei come nazione e concedere tutto agli ebrei come individui.".

anche l'organizzazione di gruppi o classi separate che seguono percorsi didattici differenziati per consentire il recupero di gravi carenze, soprattutto linguistiche. Fra le altre misure di sostegno agli alunni immigrati figurano l'insegnamento intensivo della lingua francese, una riduzione del numero di alunni per classe, per permettere un migliore rapporto alunno/insegnante, ed il ricorso a interpreti e mediatori culturali, anche allo scopo di facilitare i rapporti con le famiglie.

Corsi di lingua e cultura di origine per alunni dei vari gradi di istruzione sono previsti nel quadro di accordi bilaterali solo con alcuni paesi da cui provengono gli alunni stranieri, tenuto conto dei particolari rapporti intercorrenti fra di essi e la Francia: Algeria, Croazia, Italia, Marocco, Portogallo, Serbia, Spagna, Tunisia, Tuchia. Tuttavia, le istituzioni scolastiche prevedono di sostituire gradualmente i corsi di lingua e cultura di origine pensati per gli alunni immigrati con corsi di lingue straniere rivolti a tutti gli alunni.

In anni recenti, infine, il Paese ha vissuto un intenso dibattito pubblico su questioni relative all'abbigliamento a scuola, con riferimento particolare alla necessità di abolire il velo sul volto delle ragazze, e sull'esposizione dei vari simboli religiosi, che è stata vietata con una legge del febbraio 2004. Tali proibizioni derivano, in primo luogo, dal dovere di lealtà ai valori della Repubblica - tra cui la parità tra i sessi - imposto ad ogni cittadino, per il quale l'identità etnica è relegata nella sfera privata; in secondo luogo esse nascono dall'esigenza di rispettare il principio di laicità dello Stato, vigente in base ad una legge emanata il 9 dicembre 1905, che sancisce la separazione fra Chiesa e Stato al fine di garantire la libertà di coscienza religiosa.62

Queste, in estrema sintesi, le misure scolastiche per l'integrazione degli immigrati adottate in Francia, nelle quali si concretizza il progetto di assimilazione. Tuttavia, nei fatti, la scuola non pare essersi sempre mostrata all'altezza delle aspettative, dal momento che spesso gli alunni provenienti dagli strati sociali più modesti, specie se di origine immigrata, sono stati orientati verso le scuole sorte nei quartieri difficili, le 62Ammesso che il velo islamico possa venire connotato come un simbolo religioso, la decisione di vietare alle ragazze di indossarlo appare controversa. Nel 1989 Lionel Jospin, Ministro dell'Educazione Nazionale, chiede in proposito un parere al Consiglio di Stato il quale, nell'Avis del 27 novembre dello stesso anno, pur ribadendo l'obbligo di garantire la laicità dello Stato, afferma contemporaneamente il diritto degli allievi ad esprimere le proprie convinzioni, nel rispetto del principio di libertà di coscienza e del pluralismo. Successivamente François Bayrou, Ministro dell'Educazione Nazionale in carica nel 1994, emana una circolare sui "segni ostentatori" che vieta di indossare nelle scuole il velo islamico, cui viene attribuito il significato di separare alcuni allievi dalle regole comuni. Infine, nel 2004 la legge n. 228 ribadisce l'esplicito divieto di indossare segni di appartenenza religiosa nelle scuole di ogni ordine e grado. A tale legge si sono appellate le autorità scolastiche in questi anni per escludere dalle aule alcune ragazze che si rifiutavano di togliere l'hijâb.

cosiddette Z.E.P. (Zone di Educazione Paritaria),63

o nelle classi speciali riservate agli alunni più deboli, che hanno finito col trasformarsi in una sorta di ghetti educativi. L'emarginazione scolastica e lavorativa di fatto dei giovani appartenenti alle aree svantaggiate, unita a controversie come quella relativa all'hijab, che mettono in discussione valori della tradizione culturale originaria, hanno offerto un contributo al processo di vittimizzazione e di mitizzazione identitaria da parte di molti ragazzi di seconda generazione, favorendo l'ostilità verso il paese ospite, ostilità che si è espressa attraverso eventi come la marcia per l'uguaglianza64

del 1983 e le rivolte urbane, di cui a più riprese si sono resi protagonisti proprio i giovani figli di immigrati che affollano le banlieues65

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Tuttavia il fenomeno appare maggiormente complesso, in quanto l'insorgere del conflitto sociale nelle periferie ad alta concentrazione di immigrati può venire interpretato, talora, anche come espressione della dissonanza fra l'esclusione socio- economica di fatto ed una socializzazione culturale riuscita, dovuta all'opera formativa ed assimilatrice della scuola, che genera nei giovani stranieri aspettative positive circa i percorsi occupazionali futuri. Una contraddizione che, a sua volta, può condurre ad una enfatizzazione della propria identità originaria, che assume un valore simbolico in grado di supportare l'opposizione nei confronti della società escludente.

I sostenitori del modello di integrazione universalista fanno notare che, da un lato, anche i giovani francesi stessi incontrano difficoltà di socializzazione e di inserimento lavorativo, quando provengano dagli strati più marginali e, dall'altro, che la maggioranza dei figli degli immigrati è ben integrata, al punto che esistono delle élite sociali di origine straniera operanti all'interno delle professioni qualificate. Tuttavia il dibattito non è concluso: quanto si è verificato nelle banlieues appare a molti studiosi del fenomeno, come il risultato del fallimento delle strategie adottate 63Nell'ambito di programmi miranti a promuovere lo sviluppo sociale dei quartieri difficili, nel 1981 vengono istituite le Zones d'éducation prioritaire, allo scopo di fornire risorse supplementari ai distretti scolastici situati nelle aree maggiormente interessate da fenomeni di disagio.

64Nel 1983 i giovani di seconda generazione della periferia di Lione organizzano una marcia che attraversa il paese, da Marsiglia a Parigi, per protestare contro il razzismo e le discriminazioni subite dagli stranieri. La manifestazione, presentata come espressione del bisogno di vedere riconosciuta la propria specificità e del rifiuto di un'assimilazione radicale, costituisce anche un tentativo di fare pressione sul Governo per ottenere l'effettiva concessione del diritto di voto agli immigrati, già promessa nel 1981.

65Fino dagli ultimi anni Sessanta si presenta la questione dei grands ensembles, nota come “crisi delle banlieues”, di fatto protrattasi fino ai nostri giorni, in cui si esprime la rivolta dei giovani di origine straniera nei confronti di una politica accusata di favorire la discriminazione e la marginalizzazione delle popolazioni immigrate.

dalle istituzioni e, soprattutto, della validità di un progetto di integrazione preteso come universale, come afferma Laura Zanfrini:

[...] vanno indubbiamente segnalati quei fenomeni che, nel corso degli ultimi decenni, hanno maggiormente contribuito a mettere in discussione l'idea stessa di assimilazione. In primo luogo, [...] i giovani di discendenza extraeuropea sono frequentemente vittime di pregiudizi e discriminazioni, di difficoltà di inserimento lavorativo, di condizioni abitative disagiate. A dispetto della proliferazione dei dispositivi per lo sviluppo dei quartieri, l'origine etnica, l'appartenenza a un quartiere degradato e la marginalità sul mercato del lavoro si rafforzano reciprocamente ostacolando l'avvio di un effettivo processo di mobilità ascendente e provocando una deriva nell'autosvalutazione, nell'apatia e nella devianza. Ciò ha contribuito a un riesame critico del ruolo svolto dalle agenzie investite del compito di socializzare i giovani immigrati o di origine immigrata (a partire dalla scuola) e, per converso, a constatare come per molti di costoro il rapporto con le istituzioni “repubblicane” è spesso conflittuale o addirittura si risolve in quello con gli operatori sociali e del sistema repressivo-giudiziario.66

Nel documento Insegnare con allievi stranieri (pagine 47-51)