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Considerazioni final

Nel documento Lexia 31-32 (pagine 99-103)

Martirio e testimonianza L’ambivalenza del concetto cristiano di “martirio”

5. Considerazioni final

Interrogarsi oggi su una semiotica del “martirio” significa fare i conti con l’ambivalenza del nostro lessico politico moderno, costi- tutivamente teologico–politico57, e confrontarsi con una lunga tra-

risolta, il martirio sarebbe definitivamente preso nel senso che comunemente gli viene attribuito. Pur sapendo che i due concetti di ‘martirio’ e di ‘sacrificio’ non possono essere semplicemente distinti l’uno dall’altro, tra di loro non si dà mai una perfetta sovrapposi- zione. Essi non sono direttamente sostituibili l’uno con l’altro. È come un resto inappro- priabile ciò che affiora in questo scarto tra martirio e sacrificio”.

55. Ignazio d’Antiochia (2009), p. 19: “Sono la vittima e mi offro in sacrificio per voi efesini”; p. 38: “Non procuratemi di più che essere immolato a Dio, sino a quando è pronto l’altare, per cantare uniti in coro nella carità al Padre in Gesù Cristo”.

56. Per uno studio sulla differenza tra l’autocomprensione del proprio martirio come sacrificio in Ignazio di Antiochia e la nozione di sacrificio negli Acta Martyrum rimandiamo a Hartmann (2009).

57. “Il problema è che parliamo da due millenni un lessico costitutivamente teolo- gico–politico. E dunque non abbiamo né schemi mentali né modelli linguistici liberi dalla sua sintassi”. Esposito (2013), p. 3.

dizione di appropriazioni semantiche, nella quale diversi discorsi, sia religiosi che secolarizzati, hanno tentato di stabilire di volta in volta un controllo sul significato individuale o collettivo della mor- te subita. Durante la stagione delle crociate, il concetto cristiano di “martirio” subì un’ulteriore torsione che lo legò al concetto di guerra santa come guerra giusta, e che trasformò il martire in un vero e proprio guerriero della fede58. Un simile destino spettò anche

alla concezione islamica del “martire” nel termine arabo “shahīd”. Il concetto di “martirio” fa parte della nostra preistoria concettuale, non solo occidentale: una storia nella quale il termine può assumere di volta in volta un carattere passivo o attivo, non violento o violen- to, interiore o esteriore, metaforico o reale. Weigel (2007, p. 33), in una sua recente raccolta di saggi sul martirio, ha parlato, riferendo- si all’uso della parola “martirio” nei diversi contesti contemporanei, di una disseminazione del senso nel contesto occidentale cristiano secolarizzato — nel quale esso viene utilizzato per definire sia le vittime di un atto violento, che in senso metaforico per definire chi in spirito di rinuncia si sacrifica pur non incontrando la morte — e di un ampliamento semantico nel contesto islamico — dove esso viene utilizzato per definire coloro che attivamente e violen- temente si rendono allo stesso tempo autori e vittime della propria violenza. La storia dei martiri, dunque, non è mai da considerarsi come semplice storia di vittime, poiché nei racconti, nelle tradu- zioni e nelle restituzioni ideologiche di chi sopravvive, la morte del martire è sempre presa all’interno della narrazione di chi tenta di attribuirle un significato.

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Il martirio interiore

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