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Sui modi del definire

Nel documento Lexia 31-32 (pagine 59-62)

Μάρτυς Alcune note preliminari per una semiotica del martirio

2. Sui modi del definire

Esistono, invero, delle definizioni, talune delle quali autorevoli e lar- gamente condivisibili. In ambito cristiano, perlomeno, vi è sempre stata un’attenzione al martirio, ai martiri; e anche oggi questa affa- bilità con il testimone di fede si è condensata in documenti e testi importanti. Si pensi alle sezioni che il Catechismo della Chiesa Catto-

lica dedica al “rendere testimonianza alla verità”4, o agli interventi

di Giovanni Paolo II5, per non dire dei numerosi pronunciamenti di

altre autorità religiose, tutte interessate al senso del fenomeno. Non sminuisce certo la portata di tali interventi il rilevare che sono questi sempre annotazioni e determinazioni confessionali. Ciò che in esse è prevalente è l’intento didascalico, il giudizio canonico: cose che si riferiscono ogni volta a un singolo universo discorsivo e ideologico. Quel che serve è una differenziazione tra la “forma canonica” del martirio e quel che diremmo la sua forma semiotica. È con quest’ul- tima che si misura lo studioso interessato a cogliere gli aspetti cul- turali, antropologici e semiologici del martirio, vuoi come insieme di eventi storici, vuoi come campo testuale. Ogni definizione, del resto, può avere un intento che altre non hanno: è proprio delle de-

4. Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2473, dove il martirio è definito “supre- ma testimonianza resa alla verità della fede” e il martire “testimone che arriva fino alla morte”, che “affronta la morte con un atto di fortezza”.

5. Cfr. specialmente la Lettera Enciclica Ut unum sint (25 maggio 1995); consulta- bile online: http://w2.vatican.va/content/john-paul-ii/encyclicals/documents/hf_jp ii.

finizioni confessionali il valere soprattutto come dispositivi canonici più che come strumenti teoretici. Ciò non impedisce, tuttavia, che a volte — per esempio nel caso della tradizione cattolica — definizioni di questa sorta vengano date in atti del magistero o in produzioni teologiche che hanno certamente ambizione teorica.

Va detto, infine, dell’uso che di queste definizioni si può fare. In un passato ancora recente, si è costatato che identiche definizioni del “martire” erano usate per supportare e giustificare conclusioni contrastanti, in disaccordo fra loro e anche rispetto alla premessa comune da cui pretendevano scaturire. In quei casi, la memoria del martirio, il racconto delle gesta del martire, cessava di essere la ratifi- ca dell’investimento di valori in un dato percorso figurativo, ponen- dosi piuttosto come la sanzione che una fazione può pronunciare su un’altra fazione. Col risultato che, talvolta, anche quelli di una stessa religione arrivavano a scissioni interne: come avviene, esem- plarmente, nel Candide, dove i due re nemici in guerra, entrambi cristiani, al termine di una sanguinosa battaglia, facevano cantare il

Te Deum, «ciascuno nel proprio accampamento».

L’esigenza di una definizione non confessionale del martire può essere soddisfatta in almeno due modi. Un primo modo potrebbe essere definito (1) accesso lessicale. Esso consiste nell’introdurre by

declaration un certo numero di Definientia assegnati a un ristretto numero di Definienda, che sono precedentemente stati convertiti in espressioni ben–formate di un linguaggio canonico. Si tratta di co- struire un frammento di lessico per mezzo di asserti metasemiotici formalizzati, come nell’esempio seguente. Con (1) è indicata la for- mula generale, con (2) la formula del nostro item.

‘natural language item’ ≅ def «[Predicate] (ξ: x1; ζ: x2)

‘martyr’ ≅ def [MARTYR] {sp: x1 & up: xn}6

6. Seguendo la procedura analitica di Heydrich e Petőfi, il lessema ‘martire’, può essere analizzato solo dopo essere stato convertito in una notazione sintattica ben–for- mata, come qui di seguito: [MARTYR] (ξ: x1; ζ: x2). Quindi, può essere rappresentato

I costituenti del definiendum vengono trasposti in un linguaggio normalizzato e poi profilati secondo le categorie sintattiche ammesse. Di fatto, nonostante le pretese di scientificità, queste definizioni sono manchevoli. Anzitutto, sono in molti casi indipendenti dalle clôtures storiche. Definire la poliadicità di un predicato non è possibile sulle basi di una semplice semantica dizionariale, ma è compito che richie- de una semantica enciclopedica. E però, chi vuole sapere cosa sia un martire non arriva a questo senza elementi di precomprensione, ma possiede un sapere indiziario che lo motiva alla trasformazione di questo sapere da un’intenzione comunicativa che articola il suo fare interpretativo, legandolo a un’istanza dell’enunciazione, la quale sarà sempre iscrivibile nella storia. Inoltre, il limite di tali metodi risiede nella forte dipendenza dalla manifestazione linguistica. Sapere cosa sia un martire non sarebbe diverso dall’assegnare un senso e un refe- rente a un certo numero di lessemi (o items lessicali). In questo modo, però, un piano estensionale (pensato come autonomo) verrebbe co- ordinato a certi tratti del piano dell’espressione linguistica, dai quali il senso verrebbe a dipendere in modo esclusivo. Nulla questo metodo ci direbbe del senso non–linguistico che, per esempio in semiotica generativa, è considerato come una forma di organizzazione dell’i- stanza narrativa, che è sempre un’istanza ab quo, ovvero anteriore ad ogni manifestazione linguistica (o non–linguistica)7.

Molti di questi problemi non si manifestano nel secondo modo, che potremmo etichettare come (2) accesso testuale. Si tratta ora di lavorare su testi (su corpora testuali), compiendo su di essi alcune operazioni sia filologiche sia interpretative. Non si cercherà di trovare dei definientia, ma di accogliere il dato di una tradizione che non è soltanto lingui- stica o concettuale. Il martirio non è un campo da delimitare, né un

come un predicato a più argomenti: ‘sp’ è abbreviazione di state participant, ‘up’ di un-

specified participant. Si legga il complesso: «(x1) in quanto affected Object & (x2) in quanto

unspecified Participant sono tali che“x1 è un [MARTIRE] nella circostanza x2». Sono possibili ulteriori segnaposto per argomenti. Per questo tipo di analisi semantica si rimanda al quadro della TeSWeST di J.S. Petőfi. W. Heydrich (1978).

universo di senso al quale si acceda soltanto mediante l’assegnazione di costituenti semantici a costituenti linguistici. Piuttosto, esso si dà ogni volta come campo di figure appartenenti all’organizzazione del mondo. L’ambito di osservazione non sono le sole lingue storiche, ma tutta quanta la dimensione percettiva che organizza e produce degli scarti differenziali capaci di fornire il supporto al funzionamento di sistemi espressivi. La vita del martire non viene perciò assunta come il referente extratestuale di un insieme di segni linguistici, ma diviene luogo capace di manifestare e organizzare il senso sotto la specie di relazione tra sistemi semiotici differenti e co–ordinabili.

Nel documento Lexia 31-32 (pagine 59-62)