• Non ci sono risultati.

Martiri o testimoni?

Nel documento Lexia 31-32 (pagine 83-90)

Martirio e testimonianza L’ambivalenza del concetto cristiano di “martirio”

2. Martiri o testimoni?

Il termine “μαρτυρία” ci è restituito per la prima volta nel suo sen- so ambivalente attraverso gli Acta Martyrum, una serie di scritti tra- smessici dalla tradizione cristiana sotto forma di resoconti testuali degli interrogatori subiti da parte dei primi cristiani perseguitati6. Si

tratta di racconti più o meno fedeli, redatti da coloro che assistettero ai processi e alle condanne a morte, integrati in alcuni casi da inserti ripresi da diari di prigionia dei martiri stessi o da preghiere ed omelie che accompagnavano la lettura rituale di tali testi nel giorno della commemorazione delle vittime protagoniste7. Secondo le ricerche

4. Panattoni e Solla (2007), p. 7: “Nella nuda esperienza di quei corpi, nella loro carne muta e sorda, affiora un fondo di indecidibilità tra il gesto attivo del volersi immo- lare e l’accadimento passivo dell’essere immolati. In questa indistinzione di fondo si rivela il fatto che il martirio in quanto tale rivela una sua irriducibile irrealizzabilità semantica” (corsivi miei).

5. Utilizzerò l’edizione Lorenzo Valla a cura di Bastiaensen (1987).

6. Il termine acta non deve trarre in inganno, non si tratta infatti in nessun caso di documenti ufficiali provenienti dalla magistratura imperiale. Essi sono piuttosto dei re- soconti di fatti accaduti, redatti in parte da testimoni oculari, nei quali vengono trascritte tutt’al più alcune parti dei documenti ufficiali; v. Bastiaensen (1987).

7. Cfr. Simonetti (1956), il quale indaga la composizione degli Atti di Giustino, martirizzato intorno al 165, di Policarpo, martirizzato durante l’Impero di Marco Aure- lio, dei martiri di Lione e Vienne, martirizzati nel 177–178, e dei martiri Scillitani, mar- tirizzati nel 180, a partire dal fatto che furono composti in quattro luoghi quanto mai distanti l’uno dall’altro. Simonetti, interessato alle diverse caratteristiche presentate in queste quattro composizioni, esclude che si tratti di un genere letterario ricalcato sull’e- sempio di un modello pagano preesistente: “All’infuori del comune intento di ricordare

di Bowersock, la prima attestazione scritta del termine “μαρτυρία” per significare l’atto del morire per mano di un’autorità secolare ostile, apparirebbe in uno dei più antichi racconti martiriali, ovvero il Martyrium Polycarpi, avvenuto in data incerta tra il 156 e il 177 d.C., sotto l’Impero di Marco Aurelio8. Questo racconto, il quale ci è stato

trasmesso nella forma di una lettera inviata dalla chiesa “pellegrina a Smirne alla chiesa pellegrina a Filomelio”9 meno di un anno dopo

l’accadimento del fatto, nell’incipit recita in greco (corsivi miei):

Abbiamo voluto narrarvi per iscritto, fratelli, la vicenda di quanti hanno testimoniato la fede e del beato Policarpo, che con la sua testimonianza (μαρτυρίας), quasi ne apponesse il sigillo, pose fine alla persecuzione. In effetti, pressoché tutti i fatti precedenti ad esso ebbero luogo perché il Signore dall’alto potesse mostrarci quale deve essere la vera testimonianza, secondo l’insegnamento del Vangelo (τὸ κατὰ τὸ εὐαγγέλιον μαρτύριον) (Bastiaensen 1987, p. 7).

In questo contesto il termine greco apparirebbe, secondo Bower- sock, nel suo significato teologico attuale: la vera testimonianza, la testimonianza secondo Vangelo, consisterebbe in una testimonianza fino alla morte. Anche secondo le ricerche di Baumeister il fatto che in questo luogo non venga specificato cosa s’intenda per “testimo- nianza” e che non venga fatto esplicito riferimento alla conseguenza della condanna a morte, attesterebbe un uso già diffuso e consoli- dato del termine nella Smirne del II sec. d.C.10 Sebbene le ricerche

di Bowersock abbiano avuto il merito di collocare il fenomeno del

ed esaltare i confessori della fede, nulla nelle nostre opere ci riconduce ad uno schema, a motivi, a luoghi canonici ricorrenti puntualmente: dobbiamo perciò recisamente esclu- dere che l’agiografia cristiana sia sorta come un genere letterario già chiaramente deter- minato sulla traccia di modelli preesistenti. […] il carattere fondamentale delle nostre opere, [che] è quello del documento storico”, Simonetti (1956), p. 52.

8. “The earliest appearance of the words ‘martyr’ and ‘martyrdom’ in the clear sense of death at the hands of hostile secular authority is the martyrdom of Polycarp in Asia (western Asia Minor) in about 150” Bowersock (1995), p. 13.

9. Bastiaensen (1987), “Martyrium Polycarpi”, p. 7.

10. “Ce n’est que vers 160, à Smyrne, que l’on eut de toute évidence le considérer comme acquis, puisqu’il n’est pas expliqué” Baumeister (1991), p. XX.

martirio nel contesto specifico tardoantico dell’Impero romano, fa- cendo notare la dipendenza dei testi degli Acta dalla società e dalla cultura ellenistico–romana nella quale furono redatti, la sua indagi- ne risente però del tentativo di indagare il carattere peculiare di que- sto fenomeno cristiano a partire dalla definizione durkheimiana di “suicidio”11, sottolineando come la vera “μαρτυρία” sia inestricabil-

mente connessa al fenomeno storicamente attestato di una diffusa ricerca spontanea della morte da parte dei primi cristiani. Il concetto di “martirio” viene dunque associato ad una ricerca volontaria della morte, la quale troverebbe ispirazione nell’etica del suicidio degli

exempla eroici pagani. La rapida diffusione del fenomeno, special- mente in alcune regioni dell’Impero, si spiegherebbe attraverso l’en- tusiasmo che suscitava, nella società ellenistica dei suoi spettatori, l’affronto della morte per motivi “ideologici”. Per sostenere la sua ipotesi, Bowersock ricorre principalmente al Martyrium Polycarpi, nel quale si dice che la visione del martirio del vescovo provocò la conversione dei presenti12. Questa interpretazione del martirio con-

sentirebbe inoltre, secondo Bowersock, di giustificare alcune forme di opposizione esplicita, da parte di alcuni membri delle comunità cristiane, alla ricerca volontaria del martirio, come attestato all’in- terno dello stesso racconto del martirio di Policarpo. Di Policarpo si dice infatti che differì, come Cristo, la sua consegna alle autorità, guardando non solo a se stesso, ma alla salvezza di tutti i confratel- li13. Nel racconto viene fatta inoltre menzione di un frigio, di nome

Quinto, il quale consegnatosi spontaneamente alle autorità romane,

11. Cfr. Bowersock (1995), p. 62. Con suicidio si intende, infatti, ogni caso di morte che risulti direttamente o indirettamente da un atto, positivo o negativo, compiuto dalla vittima stessa nella consapevolezza che esso avrebbe necessariamente prodotto questo effetto.

12. “Con le carni consumate dai flagelli, tanto da farsene visibili le interne strut- ture sino alle vene profonde e alle arterie, essi hanno sopportato la tortura al punto da muovere i presenti alla pietà e al pianto […] Al che la folla tutta, colta alla sprovvista dal coraggio mostrato da un membro della stirpe così timorata e pia dei cristiani, levò un grido: ‘Morte agli atei! A noi Policarpo!’” Bastiaensen (1987), pp. 9–11.

13. “È infatti segno di amore vero e saldo il desiderare non solo la propria salvezza, ma anche quella di tutti i fratelli”, ivi, p. 7.

non fu in grado di rimanere saldo nella fede14. Questa menzione ha

lo scopo di dissuadere coloro che vedevano nella consegna sponta- nea alle autorità un’occasione per andare incontro al martirio, evi- dentemente percepito come fonte di salvezza: già a partire da questo primissimo racconto, la vera testimonianza resa “secondo il volere di Dio” (Bastiaensen 1987, p. 7) viene infatti descritta come salvifica15.

Le più recenti ricerche di Rizzi, le quali propongono una rilettura delle tesi di Bowersock, tentano invece di dimostrare la non perti- nenza di tale approccio16. Fino alla fine del III secolo il termine greco

“μαρτυρία” non andrebbe considerato, secondo Rizzi, come coinci- dente con il significato della messa a morte del martire/testimone. Esso indicherebbe più semplicemente la presa di posizione pubblica di alcuni cristiani, interrogati in quanto “testimoni” nel contesto giu- ridico del tribunale romano17. I termini greci “μαρτυρία” e “μάρτυς”

andrebbero considerati come semplici termini giuridici romani, e l’identificazione del martirio con lo spargimento di sangue come “frutto di un’operazione successiva di retrospezione teologico–ide- ologica” (Rizzi 2005, p. 46). L’atteggiamento dei testimoni cristiani sarebbe inoltre frutto dell’imitazione di pragmatiche sociali di prota- gonismo retorico già presenti nel mondo delle élite greco–romane. Rizzi presenta due esempi pagani di protagonismo in ambito giudi- ziario narrati da Filostrato, nei quali l’esito della condanna è addirit- tura modificato dall’atteggiamento dei protagonisti, i quali vengono assolti per aver affermato con risolutezza la propria innocenza. Nei racconti di chi riportò attraverso gli Acta Martyrum i fatti osservati,

14. “Uno di nome Quinto, un frigio della Frigia venuto di recente, alla vista delle belve s’intimorì. Era stato lui stesso a trascinare a forza sé e altri all’autodenuncia spon- tanea. Eppure il proconsole, molto incalzandolo, lo persuase a giurare e a sacrificare. È perciò, fratelli, che non lodiamo quanti si consegnano di propria iniziativa: non è questo che insegna il Vangelo”, ivi, p. 11.

15. “È infatti segno di amore vero e saldo il desiderare non solo la propria salvezza, ma anche quella di tutti i fratelli”, ivi, p. 7 .

16. Rimandiamo qui a Rizzi (2003) e Rizzi (2005).

17. “Fino alla fine del III secolo il martirio non coincide con la messa a morte. Esso, a mio parere, più semplicemente indica una presa di posizione pubblica a favore del cri- stianesimo in un contesto preciso, quello del tribunale romano”, Rizzi (2005), pp. 45–46.

si sarebbe dunque inizialmente fatto uso di un termine giudiziario

neutro che indicava non lo spargimento di sangue, ma la semplice testimonianza di fronte alle autorità giuridiche18. I testimoni sareb-

bero poi diventati martiri attraverso la trasformazione di un termine giuridico neutro in concetto teologico. Questa lettura, la quale fa prevalere in origine la funzione della testimonianza giuridica sulla contingenza della morte, interpreta la creazione di una teologia del martirio, legata alla sofferenza e alla morte del martire/testimone, come una costruzione ideologica successiva19. Eppure nella trat-

tazione delle diverse interpretazioni patristiche del martirio, Rizzi sembra mettere su uno stesso piano, senza considerarle nella loro differenza, sia la formulazione di una teologia del martirio, la quale insiste sulla sofferenza e l’effusione del sangue, che l’interpretazione più interiorizzante di un “martirio spirituale”, nella quale viene neu- tralizzata la funzione della morte. Entrambe andrebbero considera- te come creazioni ideologiche figlie di una stessa necessità: ovvero, quella da parte delle autorità ecclesiastiche di depotenziare le conse- guenze destabilizzanti derivanti dalla testimonianza pubblica, intesa come pratica romana di protagonismo civico20.

La mia ipotesi è che queste due forme di depotenziamento e neu- tralizzazione, avessero non tanto a che fare con la reazione ad un fenomeno unitario, quanto con la risposta a due fenomeni distinti. A una prima esaltazione del valore della sofferenza e della morte in tempi di persecuzione, attestata già a partire dalle lettere di Ignazio di Antiochia e in alcune comunità cristiane diffuse nell’Impero tra il II e III sec. d.C. — tra le quali sono da prendere in considerazione

18. “Il punto non era morire o non morire, il punto era affermare la propria fede di fronte al tribunale”, ivi, p. 56.

19. Allo stesso modo Grig (2004) interpreta la costruzione della figura eroica del “martire” cristiano come un’acquisizione tardiva, legata più alla cristallizzazione politi- ca della Chiesa postconstantiniana, che non al periodo delle prime persecuzioni: “Per- secution was constructed, amplified and multiplied through a vast body of material: apologetic, martyr acts, sermons and all manner of treatises which became accepted as history” Grig (2004, p. 14).

quelle influenzate da movimenti religiosi come quello montanista21

— reagirono vescovi come Cipriano, proponendo una concezione del “martirio” inteso come testimonianza interiore22; mentre alla

rapida espansione del culto delle reliquie, il quale giocò un ruolo fondamentale nella vita religiosa delle comunità cristiane Mediter- ranee tra IV e V sec. d.C. rispose la Chiesa d’Occidente, la quale si appropriò dei luoghi di culto, formulando una teologia del martirio incentrata sulla sofferenza dei primi martiri cristiani e inserendo nel- le liturgie commemorative il racconto violento della loro messa a morte23. All’alta considerazione che apologeti e padri della Chiesa,

come Tertulliano e Origene24, avevano della testimonianza portata

21. Influenzati dal montanismo, oltre ai testi di Tertulliano, sono alcuni racconti martiriali, come il “Martyrium Lugdunensium”, il martirio dei cosiddetti martiri di Lio- ne, avvenuto in Gallia, dove è probabile che fosse arrivata l’influenza del movimento di Montano. Per l’unica attestazione di martirio di un martire gnostico, rimandiamo invece al “Martyrium Pionii”, nel quale si fa menzione della crocifissione di un certo Metrodo- ro, della setta dei Marcioniti.

22. Cipriano propone un’interpretazione interiorizzante della testimonianza legitti- mando l’atto di fuga durante la persecuzione, introducendo però, una netta distinzione semantica tra “martirio”, identificato con l’atto del morire, e “confessione”, intesa come testimonianza nel cuore. Ricordiamo che Cipriano nel De lapsis è costretto a difendersi dalle accuse di chi, dopo la persecuzione di Decio, voleva negare ai vescovi fuggiti la riammissione nelle comunità. Cipriano, in quei tempi vescovo di Cartagine, nei gior- ni in cui veniva martirizzato papa Fabiano, si nascose in un luogo sicuro, attirando su di sé molte critiche. Dopo la persecuzione infatti, alcuni membri delle chiese orientali, influenzati dal pensiero più radicale di Tertulliano, Marcione e dei montanisti, volevano negare la riammissione dei fuggitivi nelle comunità; la fuga era considerata al pari dell’a- biura, come un atto di codardia.

23. Cfr. Grig (2004) e Brown (1983), p. 42: “Nel corso di una generazione, un vivace dibattito sulla ‘superstizione’ all’interno della Chiesa cristiana percorse i cimiteri del Me- diterraneo. Verso il 380, Ambrogio a Milano e verso il 390 Agostino d’Ippona tentarono di porre limiti entro le proprie comunità cristiane a certi usi funebri, soprattutto alla consuetudine di fare festeggiamenti presso le tombe dei morti, sia tombe di famiglia che memoriae di martiri. Secondo l’esplicita opinione di Agostino, queste pratiche erano un’eredità contaminante di credenze pagane”.

24. Nella sua Esortazione al martirio — un opuscolo inviato ad un amico di nome Ambrogio, il quale venne imprigionato durante la persecuzione del governatore Mas- simino Trace ad Alessandria — Origene concepisce il martirio come perfezionamento nell’unione con Dio. In questa interpretazione il martirio/testimonianza assume an- che il significato più interiorizzante di un “martirio interiore”, nel quale ogni forma di

alle sue più estreme conseguenze, si sostituirà un’interpretazione del martirio, come quella proposta da Ambrogio e da Agostino, la quale tenderà a normalizzare ed inserire la figura del martire all’in- terno di un culto ecclesiastico, proprio per evitare che anche vittime legate a gruppi eretici, come quello contemporaneo ad Agostino dei donatisti, venissero esaltate come figure martiriali. Attraverso l’in- troduzione di un culto ufficiale e l’“invenzione” di veri e propri mira- coli post mortem25, Ambrogio legherà i primi martiri alla costituzione

“politica” della Chiesa, istituzionalizzandone il culto. Contro le pre- tese dei gruppi eretici, Agostino assocerà il vero martire alla caritas, alla sua appartenenza alla Chiesa e al contenuto della sua testimo- nianza, affermando il principio del non poena sed causa, e stabilendo una differenza ontologica tra i martiri e la figura sofferente di Cri- sto26. Veri martiri saranno considerati progressivamente solo quelli

delle prime persecuzioni cristiane riconosciuti dalla Chiesa istituita. Nel IV e V sec. d. C. il culto delle reliquie, sorto intorno ai luoghi di sepoltura, assumerà un ruolo centrale per la Chiesa d’Occidente. Sui sepolcri verranno costruiti i martìri e le basiliche nelle quali i vescovi

mortificazione del corpo viene concepita come testimonianza della propria unione con il Cristo/Logos. I termini “martirio” e “confessione” vengono usati da Origene come sinonimici, sicché anche la testimonianza nelle opere quotidiane assume un carattere “martiriale”. In questa prospettiva l’eccezionalità del martirio pubblico viene ricompresa nel quotidiano, attraverso uno slittamento nella dimensione privata e segreta di ogni cristiano. Eppure, già in Origene si insiste sul valore elettivo della morte violenta: la pas- sione del martire è concepita come dono della divina Provvidenza per il conseguimento della comunione d’amore più piena con Dio. La volontà del martire/testimone, pur es- sendo necessaria, non è mai sufficiente a superare la prova della morte e le sofferenze e le tribolazioni alle quali egli è sottoposto. Esso rientra in un disegno provvidenziale di Dio, il quale, vedendo nell’intimo, rivolge il suo invito solo a chi ritiene preparato a fare esperienza della croce di Cristo.

25. Cfr. Grig (2004).

26. Significativa è la necessità da parte di Agostino, di affermare una tale differenza, per cui possiamo immaginare che ci fosse una tendenza nel culto delle reliquie a “idola- trare” i martiri, come dimostra la sua polemica con Fausto manicheo. Nel Discorso 315 Agostino distingue la morte di Cristo da quella del suo testimone Stefano, poiché, ci dice Agostino, la morte di Cristo è un mistero; un mistero che riguarda una morte che redi- me, mentre quella del suo testimone è legata alla predicazione di una parola.

svolgeranno il rito dell’eucarestia, riconoscendo alle spoglie dei mar- tiri un ruolo di contatto nella mediazione tra dimensione terrena e dimensione celeste27.

Nel documento Lexia 31-32 (pagine 83-90)