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Contestualizzare storicamente le città di Palermo, Napoli, Caserta, Roma, Livorno e Genova nel periodo preso in esame (1750-1850) è difficoltoso dato che ogni città si collocava in differenti stati o aveva un diverso rapporto con lo Stato in cui era inserita, come nei casi di Palermo e Napoli all’interno del Regno di Sicilia, poi delle Due Sicilie dopo la caduta del Regno di Napoli.140 Dal trattato di Aquisgrana (1748) l’area italiana

aveva goduto di un periodo di pace che aveva favorito riforme seguendo il clima del riformismo illuminato europeo. L’aspetto che accomunò l’area italiana, a cavallo tra XVIII e XIX secolo, fu l’influenza francese. Dal 1796 al 1799, poi sino al Congresso di Vienna, la penisola era stata coinvolta nelle vicende della Francia rivoluzionaria e di Napoleone. I francesi vennero visti allo stesso tempo come liberatori e conquistatori, rappresentavano la lotta tra la rivoluzione e l’ancien régime del dominio austriaco.141

Napoleone firmò accordi nel 1796 con il regno sabaudo e Napoli, nel 1797 con il granducato di Toscana e con il Pontefice. Questa fu la base della nascita delle repubbliche napoletana, romana e ligure, dunque del controllo francese su tutta la penisola. La più grande repubblica, la Cisalpina, poi si trasformò in Repubblica italiana. Dal 1805 nacque il Regno d’Italia retto da Eugenio di Beauharnais con l’annessione di Liguria, Toscana e dal 1808 dello Stato Pontificio. Nel 1811 quando il figlio di Napoleone e Maria Luisa d’Austria venne incoronato re di Roma in fasce, l’Italia era divisa in quattro zone principali: il tratto annesso all’impero che si estendeva oltre Roma; i due regni satelliti d’Italia del nord est e di Napoli e i baluardi anti-francesi della Sicilia e Sardegna protetti dalla flotta britannica.142 In Sicilia si parla dell’inizio del

decennio inglese, dopo che i Borboni abbandonarono il Regno di Napoli ai francesi

140 A. Spagnoletti, Storia del Regno delle Due Sicilie, Bologna, il Mulino, 1997, p. 10. 141 A. Scirocco, L’Italia del Risorgimento 1800-1871, Bologna, il Mulino, (1990), 1993, p. 12. 142 Ivi, pp. 13-14.

(1805). Da quel momento la Gran Bretagna agì prestando truppe e denaro per mantenere l’isola che, con Malta e la Sardegna, era tra gli avamposti militari e commerciali inglesi nel Mediterraneo.143

Napoli, repubblica democratica dal 1799 che però ebbe vita breve per la riconquista borbonica, venne riconquistata dai francesi nel 1806.144 Giuseppe Bonaparte

divenne re di Napoli dal 1806 al 1808 e, in procinto di divenire re di Spagna, consegnò il regno a Gioacchino Murat proclamando una costituzione, lo statuto di Baiona. L’ottavo capo della carta Del Parlamento delineava la struttura di un corpo di cento membri divisi tra clero, nobiltà, possidenti, dotti e commercianti. Dalla composizione dell’assemblea comprendiamo come fosse ben lontana dai modelli della Francia rivoluzionaria degli anni ’90. Il Parlamento di Baiona sembrava dunque riproporre un modello di rappresentanza di antico regime. Per contro Murat, che regnò sino al 1815, proprio mentre stava combattendo in Romagna, scrisse una costituzione che, anche se restò in vigore per pochissimi mesi, conteneva il bisogno di partecipazione della popolazione al potere pubblico senza togliere nulla al mutamento prodotto nell’ordinamento giuridico e sociale dall’ascesa dell’amministrazione. La costituzione non conteneva più uno strascico dell’ordine vetero-cetuale ma cercava di attivare meccanismi di rappresentanza moderni. Murat introdusse a Napoli anche il catasto, che entrò in vigore nel 1817.145 Il tentativo di Murat si inseriva nella sfida contro i Borboni,

in particolare contro la costituzione borbonico-siciliana del 1812-1813 scaturita da un disegno politico inglese da affiancare alle azioni militari in funzione antinapoleonica.146

La costituzione era nata all’ombra del ministro plenipotenziario Bentinck, promulgata dal principe Francesco, luogotenente del re Ferdinando III di Borbone. Riprendeva il modello britannico delle due Camere. Una ereditaria dei pari, in Sicilia composta da baroni e ecclesiastici, l’altra dei comuni formata a seguito di elezioni censitarie. Le camere formavano un parlamento titolare del potere legislativo. L’esecutivo era designato dalla corona. Baroni ed ecclesiastici, dunque, avevano ancora un gran potere anche se, in base all’articolo XI della costituzione, veniva abolito il feudalesimo.

143 I. Fazio, R. L. Foti, «Scansar Le Frodi». Prede Corsare nella Sicilia del decennio inglese (1808-1813),

in «Quaderni Storici» 143/ a. XLVIII n. 2 agosto 2013, pp. 497-539, qui p. 498. In questi anni nacque il Tribunale delle Prede si veda cap. 3, p. 117.

144 M. Meriggi, Gli Stati italiani prima dell’Unità, Bologna, Mulino, (2002), 2011, pp. 41-44. 145 A. Scirocco, L’Italia del Risorgimento 1800-1871, p. 63.

Feudalesimo che a Napoli era stato abolito da Giuseppe Bonaparte con le leggi eversive della feudalità nel 1806.147

Per quanto concerne Livorno e Genova, l’inserimento nel sistema doganale francese e gli effetti distorti del blocco danneggiarono i loro porti vivaci che videro penalizzate le flotte commerciali, chiusi i mercati orientali. I paesi che entrarono tardi nell’orbita francese, tra il 1805 e il 1807, vissero in pieno oltre l’inasprimento del blocco il mutato spirito che determinò annessioni e creazioni di Stati satelliti: non si trattava più di esportare l’idea di un progresso alla francese ma solo di obbedire a necessità finanziarie e ai bisogni dell’esercito in merito alla coscrizione. Sulla modernizzazione delle strutture statali finì per pesare negativamente l’impressione di sfruttamento e conquista. Dopo la sconfitta di Lipsia, Napoleone fu costretto ad abdicare nel 1814 e a relegarsi all’isola d’Elba. Tranne il fugace ritorno napoleonico tra il marzo e il giugno del 1815, la parentesi napoleonica poteva dirsi definitivamente conclusa, così come poteva dirsi concluso il ventennio francese (1796-1815) sull’area italiana.148

La restaurazione portò allo stabilirsi della forma monarchica ovunque, i vecchi regimi oligarchico-repubblicani, come nel caso della Repubblica di Genova, non trovarono più spazio. Tornarono al trono i Savoia e i Borboni che erano stati confinati nel ventennio napoleonico in Sardegna e Sicilia. La Liguria si trovò per la prima volta sotto il dominio Savoia. I Borboni si ripresero i territori del Regno di Napoli. Lo Stato della Chiesa riottenne i territori italiani, comprese le enclaves di Benevento e Pontecorvo. Malta restò agli inglesi.149 Con la Restaurazione un tema spinoso rimaneva

la permanenza o rifiuto delle codificazioni giuridiche precedenti che avevano sancito la fine di privilegi come quello feudale e introdotto la forma borghese della proprietà e della famiglia. La codificazione dell’età napoleonica fu mantenuta integralmente solo a Napoli. In ogni caso non fu possibile rimuovere totalmente le antiche codificazioni, non si poteva tornare al passato. Dunque in molti stati si lasciò, per cause di forza maggiore, in vigore gran parte del codice civile e il codice di commercio francese. Un esempio fu proprio Genova.150

Genova aveva già manifestato qualche segnale di debolezza nella seconda metà del XVIII secolo. Una parte del patriarcato era entrato in crisi e dagli anni ’60, in coincidenza con l’abbandono della Corsica (1765) e con la crisi annonaria del 1763-

147 Ivi, p. 104.

148 A. Scirocco, L’Italia del Risorgimento 1800-1871, p. 23. 149 Ivi, p. 31.

1764, ci fu da un lato una politica di disarmo, mentre dall’altro venne smantellato il sistema annonario cittadino. In realtà il tramonto di Genova è stato definito “tramonto dorato”. Gli ultimi anni dell’ancien régime videro il sorgere di una nuova borghesia, il traffico portuale era in ascesa, ma ci fu un calo dei consumi interni a dimostrazione di un impoverimento collettivo.151 Genova continuava a essere un importante investitore

finanziario, in particolare per prestiti alla Francia, ai Borboni e alla Danimarca. Altri importanti investimenti erano tra Cadice e Lisbona e in generale nelle Americhe spagnole. La vera perdita per la città fu la distruzione di ricchezza all’estero nel periodo rivoluzionario e napoleonico.152 La caduta della Repubblica di Genova fu nel 1797 con

la breve parentesi della prima repubblica ligure (1797-1802) e della seconda repubblica ligure (1802-1805) con a capo un doge della famiglia Durazzo, Luigi Durazzo.153

Livorno nella seconda metà del XVIII secolo contava un aumento della popolazione ed era uno dei porti più grandi del Mediterraneo, importante via di passaggio essendo un porto franco dal 1676.154 Tuttavia non poteva essere paragonata a

Cadice o Marsiglia. Livorno era uno dei principali sbocchi per il commercio e l’industria britannici. Anche Ancona divenne zona franca nel 1732 e il Papa lanciò un analogo provvedimento per rendere franco il porto di Civitavecchia. Dopo il 1734 fu consentito alle imbarcazioni napoletane di commerciare liberamente in Adriatico ma a trarne vantaggio fu la città di Trieste quindi l’impero austriaco.155

A Roma l’ostilità dei cardinali zelanti rese difficoltoso il piano di riforma del cardinale Consalvi, delineato nel motu proprio del luglio 1816. Nei territori recuperati venne abolita la legislazione napoleonica, ma fu mantenuto in via provvisoria l’ordinamento giudiziario francese, il sistema ipotecario e il codice di commercio. Consalvi giocò un importante ruolo diplomatico nel consesso delle potenze a Vienna, in cui venne ridisegnata la mappa geografica europea e italiana.156 Consalvi aveva stabilito

buoni rapporti con il ministro inglese Castlereagh, trovandolo ben disposto

151 D. Puncuh, (a cura di), Storia di Genova. Mediterraneo, Europa, Atlantico, Società Ligure di Storia

Patria, Genova, 2003, p. 495. Ringrazio Emiliano Beri per avermi gentilmente indicato il volume.

152 Ivi, p. 496. 153 Ivi, p. 502.

154 M. D’Angelo, “The scale of an Universall english Trade”. Mercanti inglesi a Livorno in età moderna,

in M. Mafrici, (a cura di), Rapporti diplomatici e scambi commerciali nel Mediterraneo moderno. Atti del Convegno Internazionale di Studi (Fisciano, 23-24 ottobre 2002), Soveria Mannelli, Rubettino, 2005, pp. 327-349, p. 340.

155 G. Hanlon, Storia dell’Italia moderna 1550-1800, Bologna, Il Mulino, 2002, p. 507.

156 A. Roveri, M. Fatica, F. Cantù, La missione Consalvi e il Congresso di Vienna, I Serie: 1814-1830, vol.

III (1 Febbraio 1815-23 Giugno 1815), Roma, Istituto Storico italiano per l’età moderna e contemporanea,

all’abolizione del Test Act che negava ai cattolici la partecipazione politica. In cambio Consalvi prometteva l’appoggio nella lotta per l’abolizione della tratta dei neri, anche se il gruppo reazionario della curia era contrario.157

Il ricomposto Regno delle Due Sicilie aveva come guida politica il ministro napoletano Medici che fu un ministro illuminato della Restaurazione. Il governo borbonico per un quinquennio riuscì a continuare una politica di riforme grazie al ministro che cercava di ostacolare il dispotismo ministeriale dipendente dalla monarchia restaurata dopo il Congresso di Vienna.158 Medici portò avanti una linea che portò al

pareggio del bilancio, in particolare dopo le perdite dovute all’indennizzo all’ex viceré Beauharnais accollato alla città di Napoli. In più alla città partenopea era dovuto un indennizzo alla regina Carolina, vedova di Murat. Re Ferdinando, una volta tornato a Napoli, fece sentire suo il bisogno di un rinnovato accordo con la Chiesa.159 Ad esempio

si abolì l’articolo del Codice Civile riguardante il divorzio. Non solo nelle città italiane, ma ovunque in Europa, la restaurazione sancì una nuova posizione politico-ideologica e di forza sociale della Chiesa cattolica che, come vedremo, avrà un forte peso anche nel dibattito abolizionista ottocentesco e negli equilibri geopolitici europei tra potenze cattoliche inizialmente non abolizioniste e l’Inghilterra.160

Il concordato tra la Santa Sede e il Regno delle Due Sicilie, che vide per protagonisti Consalvi e Medici, in realtà venne firmato dopo varie esitazioni poiché la corrente conservatrice del vaticano non vedeva di buon occhio il ministro napoletano. D’altro canto il ministro per non rischiare la sfiducia del re accettò di firmare un accordo che lo umiliava agli occhi dell’opinione pubblica illuminata napoletana.161 In Sicilia le

reazioni al concordato furono maggiori che a Napoli, dato che la proprietà terriera della Chiesa si espanse rapidamente e aumentò il numero delle diocesi. Dunque Medici in realtà perse le simpatie del mezzogiorno e, non solo, Vienna e Londra non videro il concordato di buon occhio.162

Sempre per quanto concerne il rinnovato Regno delle Due Sicilie, in merito alla politica estera, nel 1828 il Bey di Tripoli non contento di un precedente trattato concluso nel 1816 con Ferdinando I – che prevedeva la sottrazione delle navi del Regno alla

157 V. Criscuolo, Il Congresso di Vienna, Bologna, Il Mulino, 2015, p. 133.

158 G. Galasso, Storia del Regno di Napoli. Il mezzogiorno borbonico e risorgimentale (1815-1860),

Torino, Utet, 2007, vol. V, pp. 79-81.

159 Ivi, p. 110.

160 Si veda cap. 2, p. 81.

161 G. Galasso, Storia del Regno di Napoli. Il mezzogiorno borbonico e risorgimentale, pp. 112-113. 162 Ivi, p. 119.

pirateria sino alla sua morte (1825) – pretese un regalo di 100.000 piastre da Francesco I.163 Nel 1829 fu una spedizione francese a obbligare il Bey ad un accordo umiliante, in

verità già Torino aveva inviato una spedizione contro Tripoli che obbligava il Bey a desistere alle pretese avanzate dal regno di Sardegna. Nel 1827 venne firmato un trattato per commerciare liberamente dal mar Nero al mar Bianco, dunque per lo scambio di merci con la Russia. Per contro il Regno era sfavorito nei commerci con il Brasile, e in generale con le Americhe, poiché gli inglesi detenevano privilegi commerciali che non volevano di certo allargare. Rimaneva, per contro, una pedina britannica nello scacchiere politico mediterraneo. Schiacciato tra Francia e Inghilterra, il Regno delle Due Sicilie poteva rimanere solo subalterno sul piano internazionale, nonostante in questi anni ci fu un importante processo di modernizzazione economica e sociale che lo fece tenere in considerazione dalle maggiori potenze.164 Potremmo concludere affermando che le

realtà prese in esame furono influenzate sul piano giuridico dalla Francia e su quello geopolitico dall’Inghilterra. Dunque di frequente il traffico di uomini captivi e schiavi non era un affare esclusivo tra i regni italiani e le potenze barbaresche ma un affare che riguardava le potenze europee e il loro contendersi il futuro dominio sui territori del Nord Africa per penetrare più all’interno del continente.

1.6 La schiavitù in una dimensione locale: il caso del Regno delle due Sicilie, di