Tra Sette e Ottocento, il Regno borbonico ha attraversato vari cambiamenti politici, che vanno dalla proclamazione della Repubblica Napoletana del 1799 e la prima restaurazione borbonica (1799-1805), al decennio francese (1806-1815) e alla restaurazione del Regno delle Due Sicilie ad opera di Ferdinando IV l’8 dicembre 1816. Con riferimento allo spazio geografico del Regno delle Due Sicilie consideriamo qui il fenomeno della schiavitù anche per altre due realtà, Napoli e Caserta. Sono stati trovati una trentina di casi di schiavitù a Napoli, senza contare la presenza schiavile all’interno della Reggia di Caserta che fa, come vedremo, caso a sé.
435 ASP, Redenzione de Cattivi, vol. 315, f. 549.
436 ASP, Redenzione de Cattivi, vol. 311, Lettere Appartenenti alla Redenzione delli Schiavi Dall’anno
1802 a tutto l’anno 1805. Vol. 2.
Nel tessuto urbano napoletano sembrano persistere casi di schiavitù sino al 1845, anche se possiamo dedurre la persistenza sino al 1856. Probabilmente si trattava di uno status perdurante di uomini non liberi, al di là del cambiamento delle norme giuridiche, che lavoravano presso famiglie nobili. Ipotesi, questa, basata anche sui confini non sempre netti sul piano pratico tra forme di schiavitù e servitù domestica. È un aspetto cha andrebbe approfondito ricercando tra gli atti notarili e testamenti informazioni aggiuntive per ricostruire la parabola biografica di questi uomini. In particolare nell’Archivio diocesano di Napoli, grazie alla consultazione di un registro di conversioni (catecumeni) e di un registro di battesimi di schiavi, si è rintracciata la presenza di casi di schiavitù nella prima metà del XIX secolo.438 Più precisamente all’interno del Libro degli infedeli adulti battezzati in questa cattedrale ed in altre chiese di Napoli (dal 18
Aprile 1742 al 9 marzo 1861), che contiene il Libro de Battesimi de Schiavi battezzati
per mano del Rev Paroco D. Biase Gambaro. Così dentro questa Catedrale di Napoli come fuori di essa cominciato dall’Anno 1680, nel quale il sudetto Parroco pigli possesso di questa Arcivescoval Parocchiale, ritroviamo 21 casi di schiavitù a partire dal
1783 (si veda figura 1).439 Sul totale dei battesimi del libro dei battezzati i casi
rappresentano il 27, 63%. Di questi casi 19 sono musulmani, di cui uno “moro idolatra” e i due casi più interessanti riguardano Pasquale, il figlio di una schiava africana e Carlo Tomasi, selvaggio della Patagonia.
438 Archivio Storico Diocesano di Napoli (d’ora in avanti ASDN), Registro degli Infedeli ed Eretici
convertiti dall’anno 1833 all’anno 1898.
439 ASDN, Cattedrale, 44, Libro degli infedeli adulti battezzati in questa cattedrale ed in altre chiese di
Napoli. All’interno contiene il Libro de Battesimi de Schiavi battezzati per mano del Rev Paroco D. Biase
Gambaro. Così dentro questa Catedrale di Napoli come fuori di essa cominciato dall’Anno 1680, nel quale il sudetto Parroco pigli possesso di questa Arcivescoval Parocchiale. Tale libro degli schiavi è stato
ritrovato nell’Archivio della Parrocchia della Cattedrale di Napoli e non si conosceva con questa denominazione perché su una targhetta incollata sulla copertina di pergamena, si legge «Battesimi adulti I 18 aprile 1742-9 marzo 1861», la notizia proviene da un articolo di G. Nardi, Due
Opere per la Conversione degli Schiavi a Napoli, in «Asprenas», XIII n.2 aprile-giugno 1966, pp. 170-
205, qui p. 190; Giovanna Boccadamo afferma di non aver trovato tale registro e fa riferimento all’articolo sopraindicato del Nardi, G. Boccadamo, Tra Croce e Mezzaluna. Storie di schiavi, in L. Barletta, (a cura di), Integrazione ed emarginazione. Circuiti e modelli: Italia e Spagna nei secoli XV-XVIII, Napoli, Cuen, 2002, pp. 309-355, qui p. 351.
Fig. 1 Numero dei battesimi effettuati da Don Biase Gambaro a Napoli tra il 1783 e il
1845, suddiviso per gruppi.
Fonte: Libro de Battesimi de Schiavi battezzati per mano del Rev Paroco D. Biase Gambaro, Archivio Storico
Diocesano di Napoli, Cattedrale, 44.
Trattandosi di registri di battesimo, le informazioni che possiamo rilevare riguardano la provenienza dello schiavo, chi erano i genitori, il nome d’origine e il nuovo nome cristiano che si ottiene dopo il battesimo. A volte ritroviamo il nome del padrone del bastimento. Gli schiavi presenti non sono tutti musulmani, ci sono anche ebrei. Tra i casi emerge, per la sua particolarità, quello di Pasquale nato da una schiava africana sopra un bastimento portoghese. Dalle descrizioni ci sono i nomi delle famiglie che facevano battezzare gli uomini e conseguentemente possiamo dedurre che fossero le famiglie a detenere la proprietà degli stessi. Riporto il caso dello schiavo:
A dì 19 Agosto 1825
Uno schiavo chiamato Pasquale dall’antico Suo Padrone ignorandone il nome, nato per mare Sopra uno Bastimento Portoghese da una Schiava Africana, e propriamente dalla Guinea, al presente Marinaio presso il Padrone di Barca Marino Cafiero di Meta in Sorrento d’anni venti circa, catechizzato dal Reverendissimo Don Francesco Savarone Professore di Teologia– dogmatica nella Regia Pubblica Università, per ordine di S.E. Rma nostro Cardinale Arcivescovo è stato Battezzato dal Reverendissimo Vicario Curato della Cattedrale Don
55 18
1 2
Battezzati non schiavi Schiavi battezzati "mussulmani"
Schiavi battezzati "mori idolatri"
Schiavi battezzati religione indefinita
Raffaele Sarena, nella Cattedrale medesima, e gli è stato imposto il nome di Salvadore Maria, Raffaele, Francesco Marino Cafiero: compl. l’istesso Marino Cafiero Padrone di Barca.440
Dalla descrizione vediamo che il nuovo nome dello schiavo di circa venti anni è Salvadore Maria. Un aspetto rilevante riguarda la provenienza geografica di Pasquale, nome che gli aveva assegnato il suo padrone. Il padrone della barca era Marino Caffiero. 441 Pasquale aveva probabilmente attraversato sia l’Atlantico che il
Mediterraneo, a dimostrazione che il traffico degli uomini era veramente globale e che il problema della schiavitù può dunque essere difficilmente circoscrivibile a un’area geografica ben delimitata a causa delle compenetrazioni tra le varie tratte.442
Il Mediterraneo è uno spazio marittimo singolare, si pensa che sia un mare interno chiuso tra i tre continenti del vecchio mondo, ma in realtà esiste anche un altro Mediterraneo. Prendendo a prestito l’espressione braudeliana, una Plus Grande
Méditerranée,443 il fenomeno della schiavitù ci aiuta ad allargare i confini di questo
grande Mediterraneo e a scoprire come da un lato la sua storia sia intimamente legata a quella africana e dunque alla tratta sahariana dei “neri” e dall’altro come sia a un passo dall’Atlantico, se pensiamo alla penisola Iberica.444 La questione della dilatazione dei
confini mediterranei e di pensare a un duplice Mediterraneo, un Mediterraneo e un mare Mediterraneo, è stata presa in considerazione da un gran numero di storici in questi ultimi anni.445 Peregrine Horden e Nicholas Purcell parlano di greater Mediterranean,
un concetto astratto in cui i confini sono fluidi e sono i rapporti tra differenti culture, i contatti commerciali a divenire importanti.446
A tal proposito, in riferimento al problema della schiavitù, è interessante la domanda che si pose Michel Fontenay a debutto di un colloquio nel 2002 sulla tratta negriera nello spazio atlantico e la Spagna. La Spagna che trattava e utilizzava prevalentemente schiavi neri deve essere inserita nel dibattito della schiavitù
440 ASDN, Cattedrale, 44, f. 29.1; Cfr. G. Boccadamo, Tra Croce e Mezzaluna. Storie di schiavi, cit., p.
355.
441 ASDN, Cattedrale, 44, f. 29.1.
442 C. Coquery-Vidrovitch & É. Mesnard, Être esclave. Afrique-Amériques, XVe-XIXe siècle, Paris, La
Découverte, 2013, pp. 57-58.
443 F. Braudel, La Méditerranée et le monde méditerranéen à l’époque de Philippe II, 2 vol., Paris, 1966, t.
1, p. 155.
444 M. Fontenay, Pour une géographie de l’esclavage méditerranéen aux temps modernes, «Cahiers de la
Méditerranée», 65 (2002), online http://cdlm.revues.org/42 (consultato il 7/02/2013).
445 D. Abulafia, Mediterraneans, in W.V. Herris (ed.), Rethinking the Mediterranean, Oxford, 2005, pp.
64-93, qui p. 65.
446 P. Horden, N. Peregrine, The Mediterranean and “the New Thalassology”, «American Historical
mediterranea?447 Lo stesso vale per la realtà napoletana: anche se abbiamo incontrato
solo due casi di schiavi “atlantici”, possiamo includerli nella schiavitù mediterranea? Viene spontaneo dunque chiedersi se queste divisioni metodologiche abbiano un significato. Con questo non si vuole dire che il fenomeno della schiavitù mediterranea sia paragonabile a quello della schiavitù atlantica, dato che i numeri e le differenze di tipologie schiavistiche sono lampanti, ma è bene ricordare che anche all’interno della stessa area geografica non esisteva un unico sistema schiavistico e i vari sistemi erano in contatto come lo sono le aree geografiche.
Lo schiavo Carlo Tomasi, veniva chiamato così dal padrone del bastimento sopra cui era imbarcato, è definito nella fonte un ‘selvaggio’ di cui si ignora il nome. Carlo era nato in Patagonia nelle Americhe e aveva circa 28 anni. Nel 1826, anno del suo battesimo, lavorava sulla goletta di Giovanni Battista Abbagnara e venne catechizzato dal padre gesuita Englestain.448 Tra gli altri casi quello di Cassanth, giovanotto “moro
idolatra” africano di circa 16 anni, di cui si ha notizia in un documento datato 8 marzo 1826, risulta essere interessante. A debutto della fonte non viene specificata la sua condizione schiavile, ma è facilmente intuibile. Anche la provenienza geografica in Africa non viene precisata, ma Cassanth venne condotto in Brasile, poi a Lisbona, con una fregata portoghese comandata dal capitano de Bosa. Giunse infine nel Regno di Napoli a bordo di una fregata sorrentina guidata dal capitano D. Carlo Cilenti. Gli venne imposto il nome di Salvadore Mario Gregorio.449 Il nuovo battezzato dunque dimostra
come la circolazione degli schiavi fosse su scala globale. In questo caso Africa, Americhe, Europa. Lo schiavo aveva inoltre cambiato più proprietari dato che i capitani delle navi che lo trasportavano sono differenti. Un altro battesimo utile per comprendere gli spostamenti e la frequenza dei cambiamenti geografici, religiosi e culturali è quello del quarantaseienne Recana Aronne. Il figlio degli ebrei Eliger e Sara era rimasto vedovo a Costantinopoli da circa 6 anni, sua moglie era deceduta nel 1821. Si trasferì e dimorò a Londra per 3 anni e da lì, dopo un viaggio di 14 mesi, giunse a Napoli per stabilirvisi per circa sei mesi, catechizzato ed istruito. Recana Aronne avrebbe poi preso il cognome di De Medici.450
447 M. Fontenay, Pour une géographie de l’esclavage méditerranéen aux temps modernes, «Cahiers de la
Méditerranée», 65 (2002), online http://cdlm.revues.org/42 (consultato il 7/02/2013).
448 ASDN, Cattedrale, 44, f. 30.
449 ASDN, Cattedrale, 44, non è precisato il numero del foglio. 450 Ivi, f. 30.
Un caso in cui viene riportato il nome del padre è quello di Giovanni Batta Maria Michele Mormile, turco della città di Sfax. Il suo nome di origine era Alambruc. Alambruc era figlio di Alì e aveva 18 anni. Il padrino del battesimo, celebrato il 28 maggio 1797, era il duca di Marzanello, Michele Mormile, da cui prese il nome. Dunque il nome preso dalla famiglia significava, con grande probabilità, la trasformazione dello status di schiavo in uno status di servo presso la famiglia medesima.451 Anche Carlo
Carafa, duca di Andria, aveva portato a battesimo nel 1797 il turco Sale, che prese il nome di Giuseppe Carafa di Smirne. Un altro caso è quello di un moro del Cairo che prese il nome di Giovanni Francesco Bologna di Levante. Nella sua condizione d’origine il ventenne era chiamato Alì figlio di Sulman. Il padrino era il cavaliere Don Michele Bologna, marchese della Sambuca. Dunque sembra che le maggiori famiglie napoletane e del regno di Napoli fossero veramente interessate al battesimo di questi uomini, probabilmente perché poi gli ex-schiavi sarebbero divenuti servitori delle famiglie stesse.452 Tra queste, anche dalle memorie storiche della famiglia Iodice seu Giudice
risulta che nel 1768 vennero acquistate due schiave turche a Malta al prezzo di 270 scudi, schiave che giunsero a Napoli.453
Per l’8 febbraio 1783 è riportato anche il caso del battesimo di una schiava di nome Ahauha. Si trattava di una turca mora di circa 40 anni.454 Il suo nuovo nome
divenne Maria Carmela Rosa Vinaccio.455 Nel 1803 si verificò un altro caso al
femminile, quello di Maria Luigia Bernardina di 18 anni, originaria di Alessandria d’Egitto, chiamata nella sua comunità Maria di Giuseppe. Ancora nello stesso anno il caso dell’egiziano Abdaleker Bijun di anni 16, tenuto al sacro fonte da Michelino Dentice. Ancora Alì, figlio di Alì Mustafà, di 20 anni di Tunisi era un “maomettano”. Il suo nuovo nome diventò Giuseppe D’Amora.456 A volte non siamo certi di essere di
fronte a casi di schiavitù, come ad esempio il caso di Maria Anna nata all’interno dell’Impero Ottomano e battezzata nel 1810, all’età di 26 anni, in quanto moglie di Gio. Burchad, un soldato cattolico.457
451 ASDN, Cattedrale, 44, f. 23. 452 ASDN, Cattedrale, 44, f. 23.
453 Avvocato Vincenzo Yodice, Memorie storiche della famiglia Iodice seu Giudice (Del), Napoli,
Tipografia di Francesco Mormile, Largo S. Gaetano, 314, 1900, p. 81. Ringrazio il dottor Damiano dell’Archivio di Stato di Napoli per avermi cortesemente indicato il riferimento bibliografico.
454 Un turco è un musulmano schiavo o non schiavo, in questo caso è con grande probabilità una
musulmana proveniente dal Maghreb.
455 Ivi, f. 23.1. 456 Ivi, f. 24. 457 Ivi, f. 25.
Gli ultimi casi di schiavitù nel registro arrivano al 1845, tra cui uno del 1841 di particolare interesse. Il caso concerne un giovanotto abissino di circa 12 anni, di cui i genitori erano ignoti. All’abissino venne imposto il nome di Sebastiano Maria Gabriele Faraia. I padrini erano il principe Sebastiano Infante di Spagna e la principessa Maria Amalia sua consorte. Il neofita dunque aveva abiurato.458
Sempre per il caso napoletano, dalla consultazione dei Libri delle Conclusioni, conservati nell’Archivio del Pio Monte della Misericordia all'interno dell'arco cronologico (1789-1848), non è emersa tanto la presenza di casi di schiavitù a Napoli quanto la presenza di casi di riscatti di schiavi cristiani nei Regni di Barberia. Allo stesso tempo è interessante notare che nel regolamento del 1856 al capitolo III si affermi che i fondi che prima erano stanziati per il riscatto dei Cattivi poi siano stanziati – “per le mutate condizioni de' tempi” – per togliere dalla miseria e dal vizio le fanciulle condotte in mala vita. Tenendo conto della dicitura si può dedurre, con grande probabilità, la persistenza del fenomeno dei cattivi e del riscatto di uomini sino al 1856.459