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Prima di entrare nel merito della patrimonializzazione della memoria della schiavitù, vorrei proporre alcune riflessioni storiografiche sui vari significati che può avere la parola memoria in relazione alla storia. Tzvetan Todorov definiva la memoria la facoltà umana di trattenere degli elementi del passato. A questo proposito tutto il rapporto con il passato si basava sulla memoria. La parola memoria ha assunto, a partire dagli anni ’60, un significato più restrittivo per opporsi alla nozione di storia. La memoria quindi diveniva il rapporto un po’ vago che un individuo intratteneva con un passato personale, mentre la storia si vedeva descritta secondo un discorso impersonale, freddo e secco che ignorava il vissuto umano.652 L’opposizione tra storia e memoria non

è assoluta, gli storici sanno che i fatti di coscienza, la storia della sensibilità sono più difficili da sviscerare ma non contano meno degli eventi esterni. La storia quindi ha iniziato a indagare anche il non quantificabile e le mentalità. Dunque in tal senso anche la storia può rischiare di divenire soggettiva come la memoria, ma la differenziazione tra le due dovrebbe risiedere in questo: la storia non dovrebbe avere pretese di soggettività. Todorov affermava: la mémoire est partielle, l’histoire globale.653

Pierre Nora, nelle sue lezioni all’Ecole des hautes études en sciences sociales di Parigi negli anni 1978-1981, parlava, in riferiemnto alla morte della storia nazionale, di fine della storia-memoria sostenendo che il senso di rottura con il passato aveva provocato anche una lacerazione di memoria. L’unico sentimento di continuità con il passato faceva pertanto riferimento a luoghi di memoria. Per lo storico francese esistevano lieux de mémoire in sostituzione ai milieux de mémoire proprio perché la memoria non riusciva più a incarnarsi nei soggetti storici. La memoria si radica nel concreto, nello spazio, nei gesti e nelle immagini, mentre la storia si attacca alle continuità temporali, alle evoluzioni e ai rapporti tra i fenomeni. Inoltre la storia ha una relazione problematica con la ricostruzione del passato. La memoria è un assoluto, è sempre attuale mentre la storia è relativa. 654 Con la crisi dello stato-nazione, la storia è

divenuta una scienza sociale e la memoria un fenomeno privato. La memoria della nazione è stata l’ultima incarnazione della storia della memoria. I luoghi di memoria si

652 T. Todorov, La mémoire devant l’histoire, in «Terrain», 25 septembre 1995, pp. 101-112, qui p. 101. (consultabile online http://terrain.revues.org/2854, consultato il 2/05/2016).

653 Ibidem.

654 P. Nora, Entre Mémoire et Histoire. La problématique des lieux, in P. Nora, (a cura di), Les lieux de

collocano in questo contesto: da un lato un movimento storiografico che ha posto la riflessione sul senso della storia stessa; dall’altro un movimento propriamente storico, la fine di una tradizione di memoria. I luoghi di memoria sono dunque resti, che rappresentano la deritualizzazione del mondo, facendo comparire la nozione stessa di memoria che si basa sulla volontà di una collettività. I luoghi di memoria possono essere spazi fisici o mentali come musei, archivi, monumenti, un anniversario, miti e personaggi. I luoghi di memoria nascono perché non esiste memoria spontanea, dunque bisogna creare archivi e organizzare celebrazioni. Quindi Pierre Nora giunge alla conclusione che non si celebra più la nazione ma si studiano le celebrazioni.655

Il dovere di memoria è poi intrinsecamente legato alla produzione per cui si parla di memoria archivio, memoria dovere e memoria distanza. Si parla di avvenimento mondiale della memoria, dato che dagli anni ‘60 si è assistito in tutti i paesi a un nuovo rapporto tra i gruppi sociali, etnici e famigliari e la storia. Un interesse nuovo per la storia, con l’ingresso positivo di nuovi attori, però non scevro di pericoli. Questo nuovo rapporto tra attori, memoria e storia ha avuto conseguenze come la critica delle versioni ufficiali della storia, la rivendicazione di alcuni gruppi sociali subalterni di recuperare tracce di un passato abolito e confiscato, il culto delle origini e lo sviluppo delle ricerche genealogiche. Ancora l’effervescenza commemorativa e la proliferazione di musei. Dunque si è manifestato un nuovo attaccamento a quello che gli inglesi chiamano

héritage e i francesi patrimoine.656

La spinta memoriale ha portato a una democratizzazione della storia e in particolar modo alla memoria delle minoranze, che cercano nel loro passato un’affermazione di identità. Anche la nozione di identità a fianco a quella di memoria ha subito un processo di accelerazione. L’identità da nozione individuale è divenuta collettiva e da soggettiva formale e cristallizzata. L’identità, come la memoria, rientra nella forma del dovere ma incasella gli attori in modo nuovamente finto e non realmente democratico. Sono tenuto a ricercare la mia storia e a divenire ciò che sono: nero, corso, ebreo, algerino.657

Tornando alle minoranze Pierre Nora rintraccia tre tipi di decolonizzazione: mondiale, interiore e decolonizzazione ideologica. La prima è in riferimento all’oppressione coloniale. La seconda alle minoranze interne: sessuali, religiose e sociali. La terza, la decolonizzazione ideologia è in relazione all’abbandono dei regimi totalitari del XX

655 Ivi, p. XXIV.

656 P. Nora, L’avènement mondial de la mémoire, in «Eurozine», 99/04/2002, pp. 1-8, qui p. 1.

657 Y. Combeau, Entre l’Histoire et la Mémoire, in M. Baussant, (a cura di), Du vrai au juste: la mémoire,

secolo all’interno dei confini europei. Alla fine del XX secolo una parte della letteratura storica ha voluto introdurre il concetto di trauma, sostenendo la cancellazione di memoria.658 La letteratura femminista, quella sull’olocausto e la decostruttivista hanno

sostenuto che la cancellazione di memoria non era imminente ma già avvenuta. Quella cancellazione non è vista dunque come una possibilità ma già data nell’ordine politico e mentale. Dunque la memoria viene vista come impossibile da richiamare. La storia, invece, può sostenere il compito gravoso del recupero di memoria come la psicanalisi.659

Per Paolo Sorcinelli la storia è la disciplina del contesto mentre la memoria è il presente del passato. La memoria è un fenomeno sempre attuale, in evoluzione, aperta alla dialettica del ricordo. La storia è la ricostruzione di qualcosa che non c’è più, con l’obiettivo di rendere manifesto il passato il più fedelmente possibile. 660 In Italia la

riflessione sui luoghi di memoria è stata portata avanti da Mario Isnenghi. All’interno dei suoi tre volumi su I luoghi della memoria ha affrontato i temi dei personaggi e date dell’Italia unita, simboli e miti dell’Italia unita e Strutture ed eventi dell’Italia unita. All’interno del volume dedicato ai simboli e miti dell’Italia unita è presente un importante contributo di Nicola Labanca sull’Africa italiana. Per legittimare le campagne d’Africa del periodo dell’Italia liberale, il ricordo di una popolarità mitica di un’Africa “selvaggia” – retaggio degli scontri di pirateria dei secoli precedenti, ma come abbiamo visto dello stesso XIX secolo avanzato – stava alla base della corsa per l’Africa.661 In realtà le città italiane avevano sempre avuto rapporti con le città

dell’Africa mediterranea, ma gli italiani non avevano conoscenze esatte dell’Africa subsahariana. E’ interessante notare comunque la connessione in merito a un pegiudizio sul “nero selvaggio” che risale ai secoli della schiavitù mediterranea e atlantica (XVI- XIX). L’Africa italiana divenne un vero e proprio mito dopo il 1885, data della conquista dell’Eritrea, dunque può essere definita un lieu de mémoire. Dall’antroponimia emerge che nascono nuovi nomi di origine coloniale come Eritreo e Eirtrea, Asmaro e Asmarino. Dunque la propaganda colonialista si era ben interiorizzata e chi tornava dalle campagne di conquista mitizzava il continente africano, si

658 P. Nora, L’avènement mondial de la mémoire, in «Eurozine», 99/04/2002, pp. 1-8, qui p. 5.

659 A. Liakos, Il passato come utopia e il desiderio di storia, in R. Petri, (a cura di), Nostalgia. Memoria e

passaggi tra le sponde dell’Adriatico, Roma-Venezia, Edizioni di Storia e Letteratura, Centro Tedesco di

Studi Veneziani, 2010, pp. 62-87, qui p. 67.

660 P. Sorcinelli, Suggestioni della memoria e riflessioni storiografiche, in «Storia e Futuro», Memoria del

quotidiano, numero 23, Giugno 2010, pp.1-6, qui p. 3.

661 N. Labanca, L’Africa italiana, in M. Isnenghi, I luoghi di memoria. Simboli e miti dell’Italia unita,

organizzavano manifestazioni, commemorazioni e venivano costruiti i primi monumenti.662

Anche Paul Ricoeur parla di memoria collettiva nel momento in cui si chiede nella sua opera La memoria, la storia, l’oblio: “di chi è la memoria?”. Rimane però un problema insoluto il divario tra sociologia della memoria collettiva e fenomenologia della memoria individuale. Il filosofo francese parla poi di abusi di memoria come la memoria censurata, manipolata e imposta proponendo al posto della nozione devoir de

mémoire quella di travail de mémoire.663 Il dovere della memoria è un abuso in sé

stesso, è sbagliata l’idea di dover rendere giustizia al passato con la storia. Piuttosto è necessario prendere atto e consapevolezza di cosa è successo non a scopo riparatorio. Qui subentra la problematica delle riparazioni in relazione alla storia coloniale del mondo occidentale.664 Il problema delle riparazioni materiali dei paesi colonizzatori ai

paesi colonizzati presenta diverse problematiche: in primis chi contribuì veramente alla tratta? È possibile prendersi delle responsabilità solo a livello nazionale. Appiah afferma che il ricorso al lavoro servile non fu un fattore favorevole per tutti i bianchi. Inoltre alcuni schiavi affrancati nel mondo coloniale erano divenuti a loro volta proprietari di schiavi. In ogni caso è vero che alcune società sviluppate, come la Francia, non avrebbero avuto il medesimo sviluppo senza il lavoro schiavile coloniale ma le riparazioni per molti storici non sono considerate il mezzo giusto per una vera riparazione: «Toute recherche de responsabilité collective risque de se perdre dans une

relecture globale de l’histoire humaine tout entière depuis au moins le XVe siècle.».665

Inoltre il passato frequentemente non fa parte della storia nazionale quanto della memoria. Abbiamo visto come, anche nel caso italiano, vi sia un rifiuto della memoria dell’epoca coloniale. Anche la Francia, per lungo tempo, ha negato tale memoria. Il problema della Francia risiede nel problema della cittadinanza inclusiva per cui alcuni algerini, haitiani sono diventati cittadini francesi a tutti gli effetti, quindi le riparazioni sarebbero da intendersi anche come un rapporto, riparazione con se stessa. Sempre in merito alle riparazioni, Achille Mbembe sostiene che le esperienze di pace e di

662 Ivi, p. 264.

663 P. Ricoeur, La mémoire, l’histoire, l’oubli, trad. it, La memoria, la storia, l’oblio, a cura di Daniella

Iannotta, Milano, Raffaello Cortina Editore, (2000), 2003, p. 99.

664 M. Baussant, La mémoire, l’histoire et l’oubli de P. Ricoeur ou la notion de «juste mémoire», in M.

Baussant, (a cura di), Du vrai au juste: la mémoire, l’histoire et l’oubli, Laval, Les Presses de l’Université Laval, pp. 17-26, qui p. 20.

665 B. Jewsiewicki, Héritages et réparations en quête d’une justice pour le passé ou le présent, in

riconciliazione tra paesi occidentali e africani maschera frequentemente altre situazioni di guerra e conflitto all’interno del continente africano.666 A proposito di memoria e di

riconciliazione con il passato, i musei sul colonialismo tendono a semplificare questa memoria oppure viene da chiedersi se l’estetica, l’arte siano in grado in sé stesse di contenere questa memoria. Ad esempio l’universalismo estetico del museo Quai Branly a Parigi cerca di ricomporre l’intero patrimonio coloniale, ponendo sotto l’egida di un universalismo estetico la diversità culturale dell’intera umanità, in realtà decontestualizzando totalmente il patrimonio culturale delle collezioni dei paesi ex- coloniali.667

A proposito della rilettura globale in merito alla storia del colonialismo, è vero che le colpe non furono solo nazionali, non furono coinvolti tutti gli attori di una stessa nazione e gli attori giustamente non sono da incasellare in una identità fissa per cui esistono solo colonizzatori europei e colonizzati extra-europei. Le responsabilità del mondo europeo non si vogliono ridurre ma il guadagno dei profitti della tratta è stato spartito tra attori, lobby di diversa provenienza. Il problema risiede sempre nella domanda. Ad esempio l’area italiana che è divenuta una nazione tardivamente (1861), ed è frequentemente essa stessa stata un territorio di occupazione fino al XIX secolo, non si è mai posta il problema di un coinvolgimento serio nella tratta atlantica a partire dal XV secolo, piuttosto la memoria nazionale pensa di aver avuto un impero coloniale solamente a partire dalla fine del XIX secolo.