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La memoria della schiavitù mediterranea, persa e ritrovata a partire dagli anni ’80 del XX secolo, in questi ultimi anni è oggetto di una sempre maggiore attenzione di riflesso agli avvenimenti di un’attualità drammatica che coinvolge milioni di persone che hanno attraversato, attraversano o cercano di attraversare il Mediterraneo. A livello globale l’interesse per le tratte non è più tabù, anzi è diventato heritage, patrimonio e talvolta attrazione turistica.668 Oggi esiste già un museo a Lampedusa sui migranti, ma

666 Ivi, p. 13.

667 B. Jewsiewicki, La mémoire est-elle soluble dans l’esthètique?, in «Le Débat», 2007/5 n. 147, pp. 174-

177, qui p. 175.

668 G. Gatta, G. Muzzopappa, «Middle passages», musealizzazione e soggettività a Bristol e Lampedusa,

nei paesi che hanno avuto grandi imperi coloniali come la Francia, la Gran Bretagna e l’Olanda i musei per ricordare la tratta atlantica non mancano. L’abolizionismo britannico e la memoria della schiavitù britannica sono ben presenti nella città di Bristol all’interno di uno spazio museale, tuttavia sono confinate lì. Il problema della schiavitù sembra avere un lieto fine all’interno delle mura del museo, dato che nel 1807 ne venne effettivamente abolito il traffico. L’abolizionismo anglo-sassone riveste un ruolo importante nell’esposizione, ruolo messo positivamente in luce. La supremazia morale britannica, nutrita di un immaginario radicato nell’esperienza imperiale, è salvaguardata e i visitatori possono sentirsi i discendenti diretti di quell’élite che prima è stata schiavista poi abolizionista.669 Dunque indagare sulle finalità di un’operazione di

patrimonializzazione diviene complicato. Un abitante di Bristol non si sente né discendente di schiavisti né di abolizionisti e anzi può avvertire una lontananza dal problema, anche se lontano non è. Un museo può difficilmente contenere aspetti specifici della storia della tratta e della schiavitù: narrazioni ufficiali e narrazioni subalterne.670 Sulla tratta mediterranea non si trovano molti spazi di memoria all’interno

dei musei, ad esempio L’International Slavery Museum di Liverpool, osservando la struttura del catalogo on line, contiene la voce European traders in cui vengono citati i maggiori paesi coinvolti nella tratta e l’area italiana viene esclusa. Però alla voce Black

People in Europe troviamo scritto che, dopo il 1450, i portoghesi trasportarono schiavi

anche nell’area italiana. Viene correttamente scritto che le persone schiave nel continente europeo fino al XIX secolo avevano uno statuto legale non chiaro, problema che non si era risolto in Inghilterra neanche a seguito dell’abolizione del 1833.671 In

Francia il museo Mémorial de l’abolition de l’esclavage di Nantes è piuttosto incentrato sul dramma della tratta atlantica e cerca di mettere in rilievo l’importanza dei diritti dell’uomo e della solidarietà umana. In questo museo il problema della tratta mediterranea non è segnalato.672

In Italia, dal punto di vista del patrimonio artistico, le tracce di memoria sono ben presenti, per la città di Livorno un simbolo della presenza di schiavi in età moderna è il

Monumento a Ferdinando I dè Medici, detto “dei Quattro Mori” al centro di Piazza

Micheli (si veda figura 8). Il monumento è uno dei monumenti pubblici con una

669 Ivi, p. 174. 670 Ivi, p. 176.

671 http://www.liverpoolmuseums.org.uk/ism/slavery/europe/black_people.aspx. (consultato il 5 Marzo

2016).

notevole rilevanza politico-sociale per il tema che affronta: al centro il Gran Duca Ferdinando I dè Medici e ai lati una monumentale statua bronzea rappresentante quattro schiavi ottomani, dei quali uno è un nero africano.673 Il motivo dei captivi su statua non

aveva precedenti nella storia europea. Raffigurare schiavi neri, turchi nell’arte europea significava rappresentare la realtà della tratta mediterranea nel XVII secolo, nello specifico il coinvolgimento dell’area italiana. Inoltre, come afferma Steven F. Ostrow, fu la prima volta che vennero raffigurati schiavi in catene, dunque la rappresentazione dell’altro, non europeo e di colore, come visione propagandistica della corte medicea. La statua di Ferdinando I (1599) venne progettata da Giovanni Bondini su commissione del duca medesimo. Nella raffigurazione il Duca Ferdinando I rappresenta il simbolo dei Cavalieri di Santo Stefano, dei quali era il Gran Maestro dell’Ordine. Dunque la statua simboleggiava il potere mediceo e il ruolo in primo piano dei cavalieri in difesa delle coste toscane contro i pirati berbareschi, in più con l’obiettivo di liberare gli schiavi cristiani. La statua inizialmente venne portata a Livorno nel 1601 e depositata in piazza della Darsena, ma non venne eretta. La statua rimase dunque incompiuta fino al 1617 quando Pietro Tacca aggiunse i mori nel basamento. Probabilmente l’idea dei quattro mori venne a Ferdinando I in seguito a una vittoria in battaglia contro le navi ottomane nel 1602 in cui incontrò un padre con i suoi tre figli tra i cattivi turchi. Dunque Ferdinando I decise di mettersi tra loro. Secono altre interpretazioni storiografiche l’idea di includere i mori nel basamento fu successiva e venne concepita da Cosimo II, figlio del Duca Ferdinando.674 Secondo tale interpretazione, Tacca visitò il Bagno di Livorno

perché stava lavorando al Monumento Equestre di Enrico IV di Francia, come membro del gruppo del Giambologna. La statua per il re francese venne completata nel 1618 e installata sul Pont-Neuf a Parigi. Nel basamento aveva statue bronzee raffiguranti schiavi legati. La statua venne però distrutta negli anni della Rivoluzione francese ma la parte con gli schiavi sopravvisse e oggi è conservata al Museo del Louvre.675 Secondo il

parere di Steven F. Ostrow la statua parigina in realtà appare similare a quella livornese ma la datazione suggerirebbe che Tacca prima costruì i mori e Livorno e poi i cattivi a Parigi. La cronologia finale ipotizzata dalla ricerca di Ostrow pone l’ingaggio di Tacca

673 S. F. Ostrow, Pietro Tacca and his Quattro Mori: The Beauty and Identity of the Slaves, in «Artibus et

Historiae», 71 (XXXVI), 2015, pp. 145-180, qui p. 145. Sul Monumento a Ferdinando I, detto “dei Quattro Mori” si veda L. Frattarelli Fischer, La città medicea, in O. Vaccari, L. Frattarelli Fischer, C. Mangio, G. Panessa, M. Bettini, (a cura di), Storia illustrata di Livorno, Pisa, Pacini Editore, (2006), 2010, p. 68.

674 Ivi, p. 148. 675 Ibidem.

nel 1607-1608, quando venne autorizzato a visitare il Bagno per studiare gli schiavi. Nel 1626 portò a termine le statue aggiungedole al basamento della statua precedente di Ferdinando I. E’ necessario tenere in considerazione che nel 1622 la popolazione schiavile di Livorno rappresentava il 10% della popolazione totale della città. Sulle galere gli schiavi erano turchi ottomani o provenienti dagli Stati Barbareschi. Gli schiavi erano per la maggior parte proprietà dello stato e venivano impiegati come rematori nelle galere. Due, dei quattro mori raffigurati nella statua, erano Morgiano e Alì. Il primo era un moro turco di Algeri, il secondo un turco originario di Salé.676 Le

espressioni dei volti sono molto incisive e i corpi degli schiavi sono realistici. Morgiano era ritenuto un uomo bellissimo al tempo, dunque l’uomo “nero” non viene considerato demoniaco o non emerge l’aspetto razziale per cui in quanto nero debba avere secondo gli stereotipi labbra grosse e lineamenti non regolari, in contrapposizione con la cosiddetta perfezione dei lineamenti dei “bianchi”. A dimostrazione di come ancora un chiaro concetto di razza non esistesse nel XVI secolo o se esisteva non era necessariamente una categoria totalizzante. Generalmente nella pittura dell’epoca poteva essere la donna “nera” a essere considerata bella, non di certo l’uomo. Basti pensare al quadro La Schiava Turca (1532) del Parmigianino che raffigura Isabella d’Este, una giovane serva nera ritenuta bella tranne che per la sua bocca.677

676 Ivi, p. 154. 677 Ivi, p. 162.

Fig. 8 Monumento a Ferdinando I dè Medici, detto “dei Quattro Mori”

Fonte: Andrea Dani Photography, http://livornot.tumblr.com/page/63

Ritornando al Monumento a Ferdinando I e al problema della memoria, sono interessanti le riflessioni dei posteri del XVIII secolo. Joseph Jérôme de Lalande nel suo

Voyage en Italie, descrivendo Livorno, non può che citare l’imponente statua

affermando che il Duca Ferdinando non è ben fatto, al contrario è positivamente colpito dai quattro schiavi. Il de La Lande definisce eccellente la composizione dei quattro, apprezzando maggiormente il volto dei due schiavi più anziani.678 Ancora sino alla

prima metà del XIX secolo, l’opera di Tacca ricevette dei commenti complessivamente positivi. Invece un commento altamente negativo venne dalle truppe napoleoniche che entrarono in città nel 1799 e che definirono il monumento tirannico e un insulto all’umanità. La critica si allineava giustamente alla visione politica dei francesi che liberarono effettivamente gli schiavi a Livorno nel 1799, anche se contradditoriamente nel 1802 proprio Napoleone ristabilì la schiavitù nelle colonie francesi. Dunque questa statua venne politicamente strumentalizzata nel dibattito a favore o contro la schiavitù nei secoli successivi. Progressivamente dunque nel XIX secolo, con il sorgere e l’evoluzione del pensiero abolizionista, la statua fu oggetto di forti critiche poiché divenne il simbolo di cui gli europei si erano macchiati. Le critiche furono totalmente

decontestualizzate e non tennero conto, invece, di quanto la statua fosse stata all’avanguardia nel XVI secolo.679 Sempre ritornando alle tracce di memoria, ancora

oggi passeggiando per le strade di Livorno, pensiamo a Borgo dei Cappuccini, è facile trovare nei nomi dei negozi tracce della comunità dei turchi a Livorno con le ferramente che portano il nome i turchi ma anche il cinema teatro i 4 Mori. Dunque questa presenza di schiavi sul lungo periodo, talvolta dimenticata dallla storiografia, è sempre stata presente con simboli visibili.

La storia dell’arte è una fonte molto ricca per comprendere il ruolo che rivestivano i musulmani nell’area italiana e per capire fino a che punto poteva anche arrivare l’integrazione, possiamo utilizzare le fonti per comprendere in che modo domestici e schiavi neri venivano raffigurati. In un recente articolo, Maria Vittoria Spissu analizza l’opera d’arte Natività della Vergine di Maestro di Ardara, che raffigura una domestica mora.680 Si tratta dell’unico caso esistente nel panorama pittorico sardo tra XV e XVI

secolo dell’introduzione di una figura altra. Secondo l’autrice la mora potrebbe avere una connotazione esotica, ma potrebbe simboleggiare anche una certa multiculturalità della società in Sardegna, come è emerso per altre realtà geografiche, come quelle che abbiamo preso in esame anche se due secoli dopo. L’autrice prende anche altri casi a sostegno della sua tesi, come la comparsa di ebrei e un musulmano nella Predica della

Porziuncola, o il caso dell’ebreo Giuda dipinto dal maestro di Orzieri cercando di

mettere in luce l’andamento della percezione dell’altro nel mondo cattolico. I tentativi risiedono nel convertire e assorbire la diversità.681 Rimanendo in Sardegna, ancora nel

1812, un visitatore, Francesco d’Austria-Este, vedeva al lavoro nelle strade di Cagliari tra ottanta e cento schiavi turchi non in buone condizioni.682

Sempre nel campo della venerazione religiosa, il culto dei santi neri che si sviluppò in Sicilia, nel mondo Iberico e Portoghese, è strettamente legato al problema della schiavitù. Nel XVI secolo, due santi, Antonio di Noto e Benito da Palermo erano

679 S. F. Ostrow, Pietro Tacca and his Quattro Mori: The Beauty and Identity of the Slaves, in «Artibus et

Historiae», 71 (XXXVI), 2015, pp. 145-180, qui p. 165.

680 M.V. Spissu, Il nemico oltremarino come alterità integrata? Casi di ebrei e musulmani nei retabli di

Sardegna (1492-1556), in B. Franco Llopis, B. Pomara Saverino, M. Lomas Cortés, B. Ruiz Bejarano (a

cura di), Identidades cuestionadas. Corxistencia y conflictos interreligiosos en el Mediterràneo (ss. XIV-

XVIII), València, Universitat de València, 2016, pp. 337-355, qui pp. 337, 355. Sulla rappresentazione

visuale dei moriscos si veda F. Llopis, Identidades “reales”, identidades creadas, identidades

superpuestas. Alguna reflexions artisticas sobre los moriscos, su representaciòn visual y la concepciòn que los cristianos viejos tuveron de ella, in B. Franco Llopis, B. Pomara Saverino, M. Lomas Cortés, B.

Ruiz Bejarano (a cura di), Identidades cuestionadas. Corxistencia y conflictos interreligiosos en el

Mediterràneo (ss. XIV-XVIII), València, Universitat de València, 2016, pp. 281-300, qui p. 286.

681 Ivi, p. 355.