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Contiamo infiniti cadaveri Siamo l’ultima specie umana.[V, 45].

Da Variazioni (1960 – 1961), in Variazioni Belliche, in A. Rosselli, L’opera

poetica, Milano, Mondadori, 2012. Due strofe di dieci versi e di tre versi. Solamente i

versi 10 (con sinalefe) e il verso 13 sono endecasillabi. I versi 2 e 11 hanno venti sillabe, mentre i restanti hanno diciassette (i versi 5 e 9), diciotto (3, 4 e 7) e diciannove versi (1, 6, 8 e 12).

1 Contiamo infiniti cadaveri. Siamo l’ultima specie umana. Siamo il cadavere che flotta putrefatto su della sua passione! La calma non mi nutriva il sol-leone era il mio desiderio. Il mio pio desiderio era di vincere la battaglia, il male, 5 la tristezza, le fandonie, l’incoscienza, la pluralità

dei mali le fandonie le incoscienze le somministrazioni d’ogni male, d’ogni bene, d’ogni battaglia, d’ogni dovere d’ogni fandonia: la crudeltà a parte il gioco risposto attraverso il filtro dell’incoscienza. Amore amore che cadi e giaci 10 supino la tua stella è la mia dimora.

Caduta sulla linea di battaglia. La bontà era un ritornello che non mi fregava ma ero fregata da essa! La linea della demarcazione tra poveri e ricchi.

v. 1, Contiamo infiniti cadaveri. Siamo l’ultima specie umana: tono lapidario che si apre in /k/,«rigetto, la pulsione di distruzione»1 e che ripropone il desiderio di

fusione materna in /m/, un desiderio rallentato con /t/. La /p/ indica accumulo,

ricchezza. La /ʧ/ fa «sì che domini la quiete e impongono una connotazione di godimento»2. Il verso è formato da due enunciati separati da un punto fermo: è come se

entrasse sulla scena una calca indistinta, un ammasso di malati, di matti, l’ultima specie

umana: i pazzi. Il soggetto è di seconda persona plurale: l’Io lirico si divide in una

moltitudine di individui indistinti, si sdoppia in un’infinità di cadaveri.

Il SV apre il verso e l’intera lirica, seguito da due SN. La stessa procedura avviene nel secondo enunciato, SV + SN + SN. Gli impulsi espressi sono legati ai referenti cadavere, specie umana, bassezza, inferiorità.

v. 2, Siamo il cadavere che flotta putrefatto su della passione: la /m/ indica inferiorità, debolezza, collera.3 pienezza in /p/, e poi il suono diventa stridulo, difficile

da pronunciare e insopportabile all’udito: il nesso t + r crea disarmonia e riferisce l’impulso di stallo, sosta, arresto. La f richiama la necessità di una stretta forte e ferma, rallentata della /t/. L’Io lirico non accetta la propria situazione di cadavere putrefatto, richiede aiuto, richiede affetto, richiede salvezza.

Il soggetto è ancora di seconda persona plurale: l’Io poetico è ancora sdoppiato in una infinità di individui, di soggetti, di pazzi, di malati, di disadattati, tanto squallidi quanto possono essere i corpi morti in decomposizione.

Il verso di apre con un SV seguito da un SN – cadavere; la relativa si apre con un SV a cui seguono due SN: putrefatto e passione.

v. 3, la calma non mi nutriva il sol-leone era il mio desiderio: ristagno nella /l/, la /k/ accentua l’impulso di distruzione, la nasale /m/ indica inferiorità, debolezza, collera.4 La /v/ fa «sì che domini la quiete e impone una connotazione di godimento»5.

La doppia dentale /d/ denota stallo, arresto, sosta. Il verso presenta due soggetti di terza persona singolare, calma e sol-leone. In apertura c’è un SN seguito da un SV; la seconda parte del verso non è divisa da alcun segno di interpunzione: presenta un SN, un SV e si chiude con un altro SN. I referenti a cui sono legati gli impulsi sono perciò

2 Ivi, p. 236. 3 Ivi, p. 228. 4 Ibidem. 5 Ivi, p. 236.

collegabili ai referenti calma, con accezione negativa – non mi nutriva, sol-leone e desiderio.

v. 4, battaglia: in /b/ sono racchiuse la fertilità, la fecondità, la maternità. La doppia occlusiva dentale sorda racchiude lentezza e riflessione, mentre il tono si addolcisce nella costrittiva palatale sonora /ʎ/.

vv. 4 – 7, male […] mali […] male: la fusione materna è racchiusa nella fonte stessa del male, rallentata dalle laterali. Il ricordo che l’Io lirico conserva della propria genitrice è accompagnato dal dolore, dalla sofferenza, dal male vero e proprio, così ingombrante da occupare tre diverse posizioni: il verso 4, il verso 6 e il verso 7.

vv. 4 – 9, Il mio pio desiderio era di vincere la battaglia, il male, la tristezza, le

fandonie, l’incoscienza, la pluralità dei mali le fandonie le incoscienze le somministrazioni d’ogni male, d’ogni bene, d’ogni battaglia, d’ogni dovere d’ogni fandonia: la crudeltà a parte il gioco riposto attraverso il filtro dell’incoscienza: un

lunghissimo enunciato che presenta solamente due SV, seguiti da due decine di SN. La velocità con cui gli impulsi appaiono sulla pagina è così repentina, che la punteggiatura va svanendo. I referenti appaiono uno accanto all’altro in sequenza, senza l’usuale interpunzione, ripetendosi come una spirale caotica: battaglia, male e bene, tristezza, fandonie, incoscienza, dovere, crudeltà, gioco. Ecco la descrizione della caotica psiche dell’Io lirico: la sua psicosi viaggia attraverso innumerevoli referenti, pensieri vertiginosi che si collegano attraverso la paranoia. La malattia è qui descritta attraverso gli occhi del malato, dello schizofrenico. Si è all’interno della sua mente: si vive l’istante di delirio più profondo dell’Io poetico, fatto di impulsi confusi e aggressivi, incontrollabili, che si appropriano della mente vulnerabile e debole del soggetto.

v. 9, Amore amore: ripetizione del desiderio di fusione materna, di maternità, e innalzamento del tono. La richiesta di soccorso continua, si eleva, si innalza fino a diventare un grido.

vv. 9 – 10: Amore amore che cadi e giaci supino la tua stella è la mia dimora: la /k/ accentua «il rigetto, la pulsione di distruzione»6, e si contrappone alla /ʤ/, che «fa

sì che domini la quiete e impone una connotazione di godimento»7. Le /l/ indicano un

desiderio istintivo che si rallenta, ristagna8.

L’enunciato si apre con due SN, amore amore, a cui seguono due SV, cadi e

giaci, un SN, stella, un SV e si chiude con un SN: dimora. Gli impulsi sono legati ai

referenti amore, stella, dimora, a cui si associano tradizionalmente accezioni positive e romantiche.

v. 11, caduta sulla linea di battaglia: le numerose /l/ indicano ristagno, lentezza, mentre le /t/ accentuano la sensazione di arresto. Battaglia si ripete anche al verso 4: se però nella prima strofa la speranza di vincere la battaglia contro la pazzia era ancora viva, nella seconda strofa l’Io poetico è caduto, è stato sconfitto.

vv. 11 – 12, La bontà era un ritornello che non mi fregava ma ero fregata da

essa: le costrittive labiodentali sorde /f/ indicano uno stallo. Le due occlusive velari

sonore /g/ accentuano «il rigetto, la pulsione di distruzione»9. Il nesso /f – r/ indica

l’impulso di lotta o avversione10. Il soggetto è una terza persona singolare, bontà,

referente in cui si sdoppia l’Io lirico. Due SN sono seguiti da due SV, il verso si chiude con un ultimo SN, che si riferisce alla bontà.

vv. 12 – 13, la linea della demarcazione tra poveri e ricchi: le /l/ indicano ristagno, un impulso arrestato. I poveri godono dell’ampollosità, della ricchezza di /p/, mentre i ricchi dell’elevazione di /r/. Protagonista di questa chiusura è la bontà, che sembra essere la linea di demarcazione tra disagiati e agiati, tra matti e sani, tra la pazzia e la normalità. L’Io lirico appartiene al primo gruppo: quello degli infelici, dei disadattati, degli schizofrenici, dei malati, dei privi di bontà. La bontà non conquista la personalità del soggetto, ma marca ulteriormente la differenza che esiste tra la malattia e la purezza, la ragione, la tranquillità.

L’Io lirico è l’ultima specie umana, un cadavere in decomposizione, morto a causa della sua malattia, della sua psicopatia. Un Io lirico che chiede solo la tranquillità,

7 Ivi, p. 236. 8 Ivi, p. 228. 9 Ivi, p. 234. 10 Ivi, p. 228.

chiede solo un pio desiderio di sole, di vita, di pace. Un Io lirico che chiede disperatamente aiuto, che vuole vincere le proprie paure, le proprie passione, che vuole sconfiggere la schizofrenia, la pazzia, che chiede giudizio e criterio per fuggire alle fandonie, al male che cresce nell’anima, alla tristezza, alla bugia. I mali della vita sono prima separati da virgole, e poi vigorosamente scagliati senza soluzione di continuità: la

pluralità dei mali le fandonie le incoscienze le somministrazioni d’ogni male. Forse c’è

un modo per salvarsi dalla pazzia, per fuggire alla schizofrenia, forse l’unico modo in cui salvarsi è l’amore, l’essere amata, l’essere desiderata: Amore amore che cadi e

giaci / supino la tua stella è la mia dimora. Quasi a chiamarlo, quasi a implorarlo di

prestare soccorso. Nonostante queste ultime righe di speranza, la lirica ricade irrimediabilmente nell’inutilità della vita, marcando la sua essenziale caratteristica: la vita che frega, che imbroglia, che deruba.