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settanta pezzenti e una camicia che si rompeva [SO, 218]

Da Serie Ospedaliera (1963 – 1965), in Serie Ospedaliera, in A. Rosselli,

L’opera poetica, Milano, Mondadori, 2012. Una sola strofa di diciassette versi. Le

strofe variano dalle dodici sillabe (verso 2), alle quattordici sillabe (verso 17), alle quindici sillabe (versi 1, 4, 12 e 15), alle sedici sllabe (versi 6, 8, 9 e 13), alle diciassette sillabe (versi 3, 11 e 14) fino alle diciotto sillabe (versi 5, 7 e 16).

1 settanta pezzenti e una camicia che si rompeva nel nulla, per un capriccio io mi stendevo nel nulla e tutto era alloro e beneficenza, benefatto il re dei poveri, cammello che strisci. Una pioggia 5 dura, sottile, penetrava, per un bisogno d’assistenza

io penetravo in camere arredate ad una vera vita che con le maiuscole si scostava dalla mia, gentilmente servizievoli erano i condannati a morte. Inviti

strisciavano per i cardini piovosi d’una città 10 permeabile: nessuna bestia nascosta spolverava

le capre che marciavano estasiate per i monti della Trinità: un cammello, due indiani e la gente maestra di tutte le arti, musica e matematica, il furore di sogni realizzabili. Perduta nella vasca d’ombre 15 le ragnatele bianche e la polvere per le ciglie,

granelli e piccole perle sotto una pioggia miserissima decidevano per il meglio una vita chiusa.

vv. 1 – 2, settanta pazienti e una camicia che i rompeva nel nulla, contrasto numerico tra il numero elevato dei pazienti e un unica camicia, come se quella camicia

– presumibilmente una camicia di forza – non fosse quella reale, ma si trattasse della calma precaria e limitata di cui possono godere i malati di mente. La tranquillità precaria è fragilissima, e si rompe in assenza di qualsiasi cosa. Anche l’Io lirico prende parte di questo nulla, per motivi futili, per capriccio.

vv. 2 – 3, per un capriccio io mi stendevo nel nulla e tutto era alloro e

beneficenza, benefatto il re dei poveri, cammello che strisci: la doppia occlusiva nasale

labiale sonora restituisce il desiderio di fusione materna, un desiderio che vuole essere goduto, rallentato in doppia /l/, a cui è legata però la nota negativa della morte in /k/, e che viene trasportato fino alla fine dell’enunciato in /ʃ/.

vv. 4 – 5, Una pioggia dura, sottile, penetrava: la /p/ trasporta l’impulso di accumulo, ricchezza. La /d/ crea uno stallo, una sosta. La /s/ marca la tensione, l’aggressività1. Il soggetto è la pioggia, che è sottile e dura come un chiodo. La

costruzione sintattica è formata da SN + SV + SN + SN.

vv. 5 – 6, per un bisogno d’assistenza io penetravo in camere arredate ad una

vera vita che con le maiuscole si scostava dalla mia: la degenza nella struttura

psichiatrica dovrebbe condurre l’Io lirico ad una vera vita, priva perciò di difficoltà psicologiche, di deliri, di vertiginoso caos. La vita giusta, però, non coincide con la vera essenza dell’io: una regolarità che si scosta dall’irregolarità che lo caratterizza.

vv. 7 – 8, gentilmente servizievoli erano i condannati a morte: la /ʤ/ e la /m/ «fanno sì che domini la quiete e impongono una connotazione di godimento»2. La /s/ e

la /ʦ/ marcano la tensione, l’aggressività3. La /k/ accentua «il rigetto, la pulsione di

distruzione»4. La /m/ indica inferiorità, debolezza, collera5. L’io lirico si sdoppia in una

infinità di condannati, di malati, di degenti, di matti. Servizievoli, buoni, premurosi, volenterosi: dissociati il cui animo è buono, che sono puri e gentili. La struttura sintattica è formata da SN + SV + SN + SN.

1 J. Kristeva, La rivoluzione dal linguaggio poetico, p. 232. 2 Ivi, p. 236.

3 Ivi, p. 232. 4 Ivi, p. 234. 5 Ivi, p. 228.

vv. 8 – 9, Inviti strisciavano per i cardini piovosi d’una città permeabile: appare di nuovo la sibilante con il nesso t + r, impulso di fiducia, stabilità, seguiti subito dalla /ʃ/, suono della quiete, della calma. Come il cammello – desiderio di fusione materna – striscia, così gli inviti strisciano.

vv. 10 – 12, nessuna bestia nascosta spolverava le capre che marciavano

estasiate per i monti della Trinità: la occlusiva labiale sonora, maternità, fecondità,

gravidanza, seguita dal nesso s + t, sibilante che trascina l’impulso e lo rallenta fino allo stallo in /t/.

v. 12 – 14, un cammello, due indiani e la gente maestra di tutte le arti, musica e

matematica, il furore di sogni irrealizzabili: una sequenza di animali, persone di etnie

diverse, di sentimenti e moti d’animo: ecco che cosa ruota vertiginosamente nella mente dell’Io lirico. La sua malattia è fatta di fantasia e morte e dubbio e terrore verde come la

paura. La /k/ accentua «il rigetto, la pulsione di distruzione»6. La /m/ indica inferiorità,

debolezza, collera7. La /ʤ/ e la /ɲ/ «fanno sì che domini la quiete e impongono una

connotazione di godimento»8. Il nesso /f – r/ indica lotta o avversione9. L’enunciato è

composto di soli SN: è qui riproposto il delirio vero e proprio.

vv. 14 – 17, Perduta nella vasca d’ombre le ragnatele bianche e la polvere per

le ciglie, granelli e piccole perle sotto una pioggia miserissima decidevano per il meglio una vita chiusa: è questo lo spettacolo a cui assiste l’io lirico durante la degenza

in ospedale. Sembra stia piovendo sabbia, ma non solo: perle, preziose perle, che si uniscono però alla miseria del momento. La pienezza della occlusiva labiale sorda è portata all’apice massimo in /r/ e rallentata nella laterale. La vita chiusa è la parola chiave dell’intero componimento. È questo quello che percepisce l’Io lirico nella casa di cura: la limitatezza, lo spazio chiuso, l’impossibilità di fuoriuscire non solo dalla clinica, ma anche dal proprio destino.

6 Ivi, p. 234. 7 Ivi, p. 228. 8 Ivi, p. 236. 9 Ivi, p. 228.

Entrare nell’ospedale psichiatrico, tra le cure dei medici che sembrano dare carità e donare sussidio. La vita che si prospetta all’interno della clinica è la vita corretta, si prospetta come quella giusta, una vita vera che si discosta dalla vita alterata dell’Io lirico. Pioveva, come una penetrante traccia del ricordo, una pioggia fittissima,

miserissima, che avvolge il ricordo sublimato in poesia. L’io lirico è perduto nelle vasche d’ombre, quasi che vivesse in uno stantio mondo ricoperto di polvere. La vita

migliore è all’interno della clinica, al chiuso, un calvario che forse ricorda quello biblico. Tracce di memoria sono racchiuse in questa lirica: la sensazione di essere perennemente sbagliati, di dover cambiare, di poterlo fare. La costante sensazione, in fondo, di non poterci riuscire.