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Il soggiorno in inferno era di natura divina [V, 62]

Da Variazioni (1960 – 1961), in Variazioni Belliche, in A. Rosselli, L’opera

poetica, Milano, Mondadori, 2012. Un’unica strofa di dieci versi. La lunghezza dei

versi varia dalle diciotto sillabe (versi 3 e 9), alle sedici (versi 2, 5 e 7), alle quindici (versi 1, 6 e 8) fino ad arrivare alle 14 (4 e 10).

1 Il soggiorno in inferno era di natura divina ma le lastre della provvidenza ruggivano nomi retrogradi e le esperienze del passato si facevano più voraci e la luna pendeva anch’essa non più 5 melanconica e le rose del giardino sfioravano

lentamente al sole dolce. Se sfioravo il giardino esso mi penetrava con la sua dolcezza nelle ossa se cantavo improvvisamente il sole cadeva. Non era dunque la natura divina delle cose che scuoteva 10 il mio vigoroso animo ma la malinconia.

v. 1, il soggiorno in inferno era di natura divina: si può presumere si tratti del soggiorno nella casa di cura psichiatrica. Le doppie affricate palatali sonore /ʤ/ addolciscono il tono, che contrasta fortemente con il termine inferno, terribile e quasi demoniaco. Il nesso /f – r/ infatti indica un impulso di lotta o avversione11. Il primo

personaggio a calcare la scena è la degenza nell’ospedale psichiatrico, che è vissuta come una operazione divina. Quattro SN divisi nel mezzo da un unico SV: i referenti a cui si collegano gli impulsi sono soggiorno, inferno, natura, divinità.

v. 2, ma le lastre della provvidenza ruggivano nomi: la /m/ indica inferiorità,

debolezza, collera.12 Le laterali /l/ accentuano la sensazione di ristagno. Le /v/ e la /ʤ/

«fanno sì che domini la quiete e impongono una connotazione di godimento»13. Anche

qui l’Io lirico si sdoppia in un oggetto inanimato: le lastre della benedizione, termine ricollegabile alla divinità del verso uno.

v. 3, retrogadi: elevazione nella polivibrante, stallo in /t/, e colpo secco nella occlusiva velare sonora /g/. La dentale sonora /d/ ferma la tensione, e porta il componimento in una dimensione senza tempo.

vv. 3 – 4, e le e s perienze del pa ss ato si f a c e v ano più v ora c i : le sibilanti indicano

tensione, aggressività14. La /f/, la /v/ e la /ʧ/ «fanno sì che domini la quiete e impongono

una connotazione di godimento»15. Il protagonista di tale verso sono i ricordi, che

aggrediscono l’Io poetico. Due SN a cui seguono un SV e infine un ultimo SN: gli impulsi qui espressi sono legati ai referenti ricordi, voracità, passato. Qui sono riproposti i ricordi, come se pulsassero ancora nell’inchiostro della pagina, e fossero vivi, circondassero davvero l’Io lirico, fino ad avvolgerlo e riportarlo nel passato.

vv. 4 – 6, e la luna pendeva anch’essa non più melanconica e le rose del

giardino sfiorivano lentamente al sole dolce: le costrittive alveolari sonore /l/ rallentano

il tempo. L’Io lirico sta effettivamente rivivendo i propri ricordi, innalzati nella polivibrante /r/. Non si tratta solo di un istante in cui ricompaiono le vicissitudini passate, ma è un vero e proprio ritorno del rimosso: l’inconscio libera le immagini e le sensazioni in esso contenute, e permette al conscio di viverle come se si trattasse del presente. La sequenza sintattica è così formata: SN – SV – SN – SN – SN – SV – SN – SN. Gli impulsi qui espressi sono legati ai referenti luna, malinconia, rose, giardino, sole, dolcezza. I soggetti di questo enunciato sono la luna e le rose del giardino.

v. 6, se sfioravo il giardino: forse si tratta del giardino della casa di cura.

vv. 6 – 8, Se sfioravo il giardino esso mi penetrava con la sua dolcezza nelle

ossa se cantavo improvvisamente il sole cadeva: due protasi che precedono due apodosi.

12 Ibidem. 13 Ivi, p. 236. 14 Ivi, p. 232. 15 Ivi, p. 236.

La vertiginosa e caotica esistenza dell’Io lirico si riempie, quasi con regolarità, dei dubbi esistenziali. Il sole è da intendere come spinta vitale, essenza di vita, voglia di vita. Qui il sole cadeva, la speranza e la voglia di vivere cessavano. La /k/ accentua «il rigetto, la pulsione di distruzione»16. SN + SV, il soggetto è una terza persona singolare.

L’Io lirico si riappropria della scena, diventando il soggetto delle due protasi.

vv. 8 – 9, Non era dunque la natura divina della cose che scuoteva il mio

vigoroso animo ma la malinconia: le /k/ induriscono il tono, battono ritmicamente sui

versi della lirica, che viene rallentato dalla occlusiva dentale sorda /t/. /vigo’rozo/, la costrittiva labiodentale sonora si presenta come l’anticipazione di un momento importante, segnalato infatti dalla occlusiva velare sonora /g/: è una presa di posizione dell’Io lirico, che riconosce la forza del proprio animo, lo eleva nella polivibrante /r/ e si permette di rilassarsi della costrittiva alveolare sonora /z/. La malinconia la chiave di tutto il componimento è racchiusa in questo termine. L’Io lirico soffre di malinconia: soffre per la mancanza della madre, sentimento racchiuso in /m/ e /n/. I ricordi durissimi sono rappresentati dalla /k/, che si pone nel bel mezzo del termine, quasi come un cardine, fino poi a salire nella /i/, e innalzarsi. La struttura sintattica è formata da SV + SN + SN + SN + SV + SN + SN + SN. Gli impulsi sono qui legati ai referenti natura, divinità, cose, vigoria, animo, malinconia. I soggetti sono entrambi alla terza persona:

natura divina e malinconia.

Sembra la descrizione del soggiorno nella clinica psichiatrica: l’inferno. Le visite che venivano fatte sui pazienti, le lastre e i colloqui psichiatrici, sembrano belve feroci che ruggiscono. L’unico momento di quiete avveniva durante al sosta la giardino, una dolcezza che penetrava fino alle ossa. L’enunciato finale sembra quasi condannare l’inutilità delle cure subite dai pazienti, ed esaltare la malinconia che ogni paziente provava.