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Il contributo di altri studiosi ottocenteschi alla complessa ricostruzione della pianta e dei monumenti del Foro Traiano: Fea, Richter e Canina

Fig 67 Pianta generale del Tempio e relativa

III.6 Il contributo di altri studiosi ottocenteschi alla complessa ricostruzione della pianta e dei monumenti del Foro Traiano: Fea, Richter e Canina

III.6.1 Le fasi salienti della biografia e dell’attività di Carlo Fea nel panorama storico del periodo

Fea prima di appassionarsi alle antichità era stato annoverato fra gli avvocati della

Curia romana. Non sorprende pertanto che la sua prima opera (1781211) risentisse

della sua formazione giuridica (Vindiciae et observationes iuris212..., Romae).

209 Loc. cit., dove viene indicata una somiglianza, per esempio, con il colonnato di Piazza San Pietro. 210 Ibid., p. 188, dove si dice che Guadet ricostruisce il recinto del Tempio in modo diverso rispetto ai porticati

della piazza, contrariamente a quanto aveva fatto Canina. Inoltre aggiunge che i resti di trabeazione dell’ordine inferiore del recinto del Tempio sono custoditi nel Foro, precisamente nel Museo Gregoriano Profano e nel chiostro del Museo Nazionale Romano e a tal proposito rinvia a Bertoldi, art. cit. (tavv. VIII, IX, XII).

211 Anno in cui fu anche ordinato sacerdote.

212 R.T. Ridley, The pope’s archaeologist. The life and times of Carlo Fea, Roma, 2000, cap. II, p. 25, dove

dice che avrebbe dovuto uscire un secondo volume di tale opera, in realtà mai pubblicato. Inoltre il libro Fig. 68e. Particolare di una delle colonne onorarie sormontate da Vittoria alata immaginata da Guadet su ciascun lato del Tempio. Sullo sfondo la ricca ornamentazione della parete interna della recinzione sacra. (Da Guadet, ut supra).

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Una svolta decisiva nella sua carriera avvenne però nel 1783 quando il principe Sigismondo Chigi lo nominò assistente del suo bibliotecario E.Q. Visconti213.

Questo episodio rappresentò la fortuna di Fea, che ottenne così, al tempo stesso, un impiego intellettuale con enormi mezzi a sua disposizione e la familiarità con un potente mecenate.

Le pubblicazioni successive riflettono i suoi molteplici interessi che spaziavano dalla storia dell’arte214 alla filologia215 (critica e antiquaria216) all’archeologia217. Fea

manifestò inoltre un’attenzione per le antichità etrusche218, risalente al tempo della

sua edizione di Winckelmann.

Le maggiori fatiche di quegli anni furono però da lui spese nella pubblicazione di alcune grandi opere di consultazione.

In lui vita e attività si intrecciano strettamente con le vicende storico-politiche del periodo.

Il 10 febbraio del 1798 le armate francesi, al comando del generale L. Berthier, occuparono Roma e il 15 febbraio fu proclamata la Repubblica (per la prima occupazione francese a Roma vedi III.1.1 p. 57 nota 2). Solo cinque giorni dopo Pio VI fu costretto a lasciare la città219. Coinvolto in questi avvenimenti ed esiliato da

segna l’inizio della collaborazione con la casa editrice Pagliarini a Roma. Il tema verteva su nove questioni legali, trattate sia dal punto di vista del diritto canonico sia da quello civile.

213 Ibid., p. 27 sgg. Per consentire a quest'ultimo di dedicarsi ai propri studi. A p. 29 si dice che Visconti aveva

il primato nella disciplina antiquaria in Europa. A p. 433, nota 8 Ridley rinvia all’opera di Ferri intitolata “Elogio degli aspetti positivi di Ennio Quirino Visconti”.

214 Ibid., p. 32 e sgg., dove Ridley dice che la fama di Fea fu però assicurata dall'edizione della Storia delle arti del disegno presso gli antichi di J. J. Winckelmann, pubblicata a Roma in tre volumi nel 1783-84. L’opera

era dedicata al ministro spagnolodella Santa Sede, un uomo famoso nella storia dell’archeologia romana per le sue depredazioni sul Palatino. Forse contribuì alla risonanza dell’opera la polemica furibonda che essa scatenò con Onofrio Boni, cfr. sull’argomento ibid., p. 41 e sgg.

215 Ibid., cap. III, p. 51, dove Ridley dice che una delle più preziose opere di Fea fu costituita dalla Miscellanea filologica, critica e antiquaria (Roma, 1790; un secondo volume, postumo, fu curato da Antonio Fea, ibid.

1836), contenente documenti archivistici e memorie inedite, che gli erano utili come puntello storico di molti dei suoi lavori.

216 Loc. cit., dove si dice che il volume è dedicato al più interessante dei suoi patroni, Domenico Azuni, un

esperto internazionale di leggi marittime, senatore di Vittorio Amedeo III e titolare di un alto ufficio a Nizza. Tra le altre cose Ridley aggiunge che la Miscellanea ristampò le inaccessibili Memorie di F. Vacca, le Vestigia di F. Ficoroni, le note storiche di Winckelmann, tra cui quelle sulla Statua di Roma di Ulisse Aldrovandi del 1556 e le Memorie di P.S. Bartoli. Interessante poi la prefazione dove Fea fece l’elenco delle imminenti opere filologiche.

217 Ibid., cap. 3, p. 50 e sgg., dove Ridley dice che gli anni tra il 1790 e il 1796 videro la pubblicazione di una

serie di lettere nell’Antologia romana su diversi problemi, specialmente quelli inerenti gli scavi nel Lazio. Questa viene presentata come la più importante rivista dal 1775 fino al 1797, fondata da Giovanni Bianconi insieme a Giovanni Amaduzzi, professore di greco alla Sapienza. Dal 1781 fu edita da Gioacchino Pessuti, professore di matematica.

218 Cfr. ibid., cap. 17, p. 323 e sgg., dove risulta chiaro che tuttavia l’apporto di Fea in quel campo era rimasto

piuttosto limitato fino a quando non avvennero i cospicui ritrovamenti di ceramiche a Vulci (1828). Ibid., pp. 336-337, si dice che Fea, respingendo lo scetticismo di B.G. Niebuhr, accettò e ribadì con fervore la tesi dell'immigrazione dei Lidi dall'Asia in Italia, ma distinse questi dagli Etruschi. A p. 466, nota 17 si rinvia su questo argomento alle brillanti osservazioni di Domenico Musti, Tendenze nella storiografia Romana e Greca

su Roma arcaica, Urbino, 1970, che dimostra che Dionisio, che fu il solo a negare un’origine orientale agli

Etruschi e a rivendicarne l’autoctonia, in tal modo stava semplicemente asserendo la loro inferiorità rispetto ai Greci e ai Romani.

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Roma come tutti gli ecclesiastici "stranieri" (aprile 1798), Fea si stabilì per breve tempo a Firenze. Rientrato in novembre, mentre le truppe napoletane si avvicinavano alla città, fu imprigionato come controrivoluzionario. Nuovamente arrestato dopo la partenza dei Napoletani, nel marzo del 1799 fu condannato all'esilio in Dalmazia220. Ma la sua più nota reclusione, in Castel Sant'Angelo, avvenne dopo la ritirata dei Francesi, quando fu arrestato per un'insussistente accusa di giacobinismo e detenuto per alcune settimane fino al processo che si concluse con una piena assoluzione221.

Con la Restaurazione del Governo papale sotto Pio VII (1800), Fea venne confermato Commissario delle Antichità il 10 aprile del 1801, ruolo che egli aveva occupato dall'inizio dell’anno e che avrebbe rivestito per il resto della vita, mantenendolo più a lungo di qualsiasi altro titolare. L'ufficio, istituito da Paolo III nel 1534, aveva incluso, tra i suoi predecessori, illustri personalità quali Winckelmann, G. B. Visconti e il figlio di questo, Filippo Aurelio.

La caduta in disgrazia della famiglia Visconti e l'influenza del protettore di Fea, Agostino Chigi, ne favorirono la nomina, databile sul principio del 1800 per sua espressa allusione222.

Sempre nel 1801 fu nominato presidente del Museo Capitolino, succedendo a E. Q. Visconti anche nell'ufficio di prefetto della Biblioteca Chigiana223 (ut supra, p. 124). Una delle sue prime iniziative archeologiche fu il sopralluogo nella città di Ostia224.

Il Commissario Fea diede un contributo significativo al Chirografo Pontificio del 10 ottobre del 1802 sulle Antichità225. Al pari di tanti editti precedenti, esso vietava

ogni esportazione di reperti antichi dagli Stati Pontifici, salvo speciale licenza, e proibiva qualsiasi loro danneggiamento. Tutti gli oggetti antichi in mani private

220 Per i suoi tre arresti cfr. ibid., pp. 72-74.

221 Ibid., pp. 76-78, dove Ridley ricorda che durante questa prigionia Fea scrisse un resoconto delle sue

esperienze sotto la Repubblica Francese, che ancora sopravvive negli archivi. A p. 440, nota 21 Ridley aggiunge che l’arresto di Fea era anche riportato nei dispacci degli agenti della Repubblica di Lucca - “un tal Fea” era stato preso insieme al senatore Colli e al fratello del console Visconti - l’intero episodio era l’argomento di uno dei più importanti articoli su Fea ad opera di Re, “Brumaio dell’abate Fea”, del 1828.

222 Ibid., cap. 5, p. 79 e sgg, dove Ridley dice che Luigi Cardinali, necrologista di Filippo Visconti, descrisse

la carica di Commissario come un posto invidiato. Cardinali definì Fea un collega non inferiore a Visconti per il suo amore per gli antichi monumenti e per l’integrità della sua vita. Cardinali così come aveva già fatto per Visconti difese Fea dai detrattori descrivendoli come rissosi, ignoranti e ipocriti.

223 Ibid., p. 91. A p. 443, nota 35 Ridley dice che Agostino Chigi nel suo diario, ricordando la morte di Fea,

disse che era stato il suo bibliotecario per 36 anni. La Biografia Universale va avanti asserendo che il salario di Fea era frutto del suo “piccolo posto” e della pubblicazione dei suoi scritti, trascurando completamente la sua posizione di Commissario. Frati, nel Dizionario bio-bibliografico dei bibliotecarii, cataloga Fea come bibliotecario di Chigi “fino alla morte”, ma non conosce la data della nomina.

224 Ibid., pp. 95-99. A p. 444, nota 52 Ridley dice che Meiggs parla della storia degli scavi di Ostia e accredita

a Fea l’inaugurazione degli scavi di governo. L’unico altro resoconto diverso di Fea era Monumenti inediti

per l’anno 1805. Nella nota 53 ricorda che Calza negli Scavi di Ostia, vol. I, Topografia generale, non presta

attenzione a Fea. Alla nota 55 poi dice che a fornirci la data esatta degli scavi condotti da Fea è il diario del Principe Chigi: 5 aprile 1801, 24-26 marzo 1805.

225 Ibid., cap. 6, p. 101 e sgg., dove Ridley dice che alcune vecchie regole erano state rinnovate e altre nuove

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dovevano essere dichiarati e ogni nuova scoperta denunciata. Inoltre tutti gli scavi dovevano essere preventivamente autorizzati: venivano assegnati 10.000 scudi annui per acquisti a favore dei musei e per la promozione delle Belle Arti. Con lo stesso editto veniva nominato Ispettore Generale di tutte le Belle Arti per Roma e lo Stato Pontificio lo scultore Antonio Canova.

Sebbene fossero coinvolti vari architetti (G. Camporesi, T. Zappati, R. Stern, G. Palazzi) il nuovo impulso all'attività archeologica, dentro e attorno al Foro, fu dato in modo particolare da Fea226: l'Arco di Settimio Severo, l'Arco di Costantino, lo sterro dell'area del Colosseo. Ma anche lo stesso Fea, sia pur affiancato da Giuseppe Valadier, diresse personalmente scavi per esempio presso l'angolo destro della facciata del Pantheon (1804), impiegando dei condannati ai lavori forzati.

Fu proprio il Pantheon ad essere oggetto di uno dei più noti interventi compiuti da Fea a difesa dei monumenti.

Durante la seconda occupazione (vedi III.1.1 p. 57 e sgg.) i Francesi istituirono nuovi Enti per sovrintendere all'archeologia e al Piano Regolatore della città, mantenendo Fea al suo posto. I nuovi regolamenti227 relativi alle Antichità,

pubblicati il 20 dicembre 1809 e il 9 luglio 1810, dovettero molto a Fea. Questi era divenuto membro della Commission des Monuments e consigliere di Miollis (il cui ambiente culturale era frequentato da Fea), di J.M. De Gerando e del prefetto C. De Tournon.

Insieme a Valadier Fea sovrintese allo sgombero del Tempio di Vesta nel Foro Boario (1809-10)228 e della Domus Aurea (1810)229.

226 Per i vari interventi di Fea nel campo dell’archeologia vedi sempre R.T. Ridley, The pope’s archaeologist

…, op. cit., cap. VII, p. 125 e sgg.

227 Ibid., p. 150, dove Ridley sottolinea che le normative erano molto più severe che in passato, inoltre tutti i

monumenti dovevano essere mantenuti a pubbliche spese.

228 Loc. cit., dove emerge che l’identificazione del tempio rotondo sul Tevere con il Tempio di Vesta non era

sicura. Tale attribuzione veniva ascritta a Flavio Biondo. Il tempio, secondo Fea, poteva essere dedicato a qualsiasi divinità. Egli aggiunge che Orazio stava parlando dell’alluvione in città e non del tempio vicino al fiume, inoltre il Tempio di Vesta era lontano dal Tevere. Tutti gli scrittori classici lo collocavano nel Foro, presso l’angolo del Palatino, dove le iscrizioni delle Vestali erano state trovate alla fine del XV secolo. Gli argomenti sembravano irrefutabili, pertanto si tentarono altre attribuzioni, per esempio a Cibele sulla base del motivo dei pini presenti sui capitelli (Piranesi), in realtà attestato anche per altri templi. Fea, nella sua guida di Roma del 1820, suggerì che il tempio fosse dedicato ad Ercole e recenti opinioni sembrano supportare la sua tesi. A questo proposito a p. 451, nota 19 si fa riferimento a Fea, Nuova descrizione, e Nibby, Roma

nell’anno 1838, che senza paura accettarono espressamente di sbagliare il nome tradizionale, Platner-Ashby, Topographical dictionary, lo considerano invece il Tempio di Portuno, così forse Nash, Pictorial dictionary,

mentre Lugli, Roma antica, lo attribuisce a Iuventus, F. Coarelli, Il Foro Boario, 1988, lo associa a Ercole

Victor o a Ercole Olivario. Una lettera sul Tempio di Vesta a Guattani, editore de Memorie enciclopediche romane sulle belle arti, fu pubblicata in vol. 5 (1810?), pp. 23-26. Questa soluzione è stata proposta da

Raffaello di Volterra, Fulvio, Donato, Desgodets e fu seguita da Piale.

229 Loc. cit., a questo proposito si rinvia a p. 451, nota 13 dove Ridlley dice “Antonino e Faustina: La Padula, Roma e la regione 102 richiede che Fea insieme a Canova e Visconti dirigessero il lavoro per l’Accademia

di Francia. Gli scavi furono condotti da J.F. Menager, che vinse il “Gran Premio” dell’Accademia di Francia a Roma nel 1800, ma non arrivò fino al 1805 (Roma Antiqua. L’area archeologica centrale, 92f.). Così come i suoi disegni e ricostruzioni, anch’egli lasciò disegni del podio e della scala sull’angolo destro del tempio.

The eagle and the spade, 185f. Albano: Fea, Varietà di notizie, 10. Il Tempio rotondo e la Domus Aurea: The eagle and the spade, 205f., 123”.

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Una volta rifondata l'Accademia di Archeologia nel 1810230, egli fu accolto fra i soci

fondatori231.

Ma fu il 1813 uno degli anni più attivi nella sua vita232.

In seguito al ritrovamento di molte nuove iscrizioni nel Colosseo (tra cui quella di

Lampadius e Basilius), nel Foro Traiano e in quello Romano (in particolare

l’epigrafe appartenente alla Colonna di Foca), Fea pubblicò due brevi opere per metterle a disposizione di tutti gli studiosi233 (Vedi § seguente, III.6.2, p. 130 sgg.).

Qualche anno più tardi (1816) fu nominato dal nuovo regime come uno dei primi membri della Commissione Generale Consultiva delle Belle Arti insieme con A. Canova che ne era il presidente, B. Thorvaldsen, Antonio D' Este e F. Visconti nel ruolo di segretario.

La mole di lavoro era enorme: si trattava, tra l'altro, di controllare le domande di autorizzazione per l'effettuazione di scavi e di stimare i reperti offerti in vendita ai musei234.

Fu quindi il 1816235 a dare avvio a una nuova fase di intensa attività archeologica236. Il 7 aprile 1820 venne emanato il celebre editto del cardinale B. Pacca237 sulle opere d'arte, che aveva come obiettivo primario la salvaguardia del patrimonio culturale di Roma, la cui gestazione era stata tuttavia travagliata a causa delle lotte di competenza sorte all'interno della Curia.

In esso veniva sviluppata in maniera più dettagliata la precedente normativa, ma comparivano anche importanti innovazioni inerenti le competenze della

230 Ibid., cap. 8, p. 151, dove Ridley dice che l’Accademia doveva le sue origini a Benedetto XIV nel 1740,

ma sembra che fosse decaduta al tempo della sua morte nel 1758. Ora sotto il patrocinio dei Francesi, soprattutto De Gerando, veniva riaperta nel 1810. Il primo presidente fu De Gerando, seguito da Canova nel 1812. Il segretario era l’instancabile Giuseppe Guattani. Ma Fea diede all’istituzione un grande contributo.

231 Loc. cit., dove Ridley attribuisce l’idea dell'emblema a Fea. Fu scelto a rappresentare l’Accademia quello

del tempio sul Tevere di cui Fea e Valadier si erano occupati e furono proprio loro a suggerirlo. Si presentava quindi appropriato e appariva come un suggestivo tributo alla loro posizione. É per questo motivo che alla solenne apertura dell’Accademia il 4 ottobre 1810 Fea ne diede l’indirizzo che riguardava il Tempio rotondo (a p. 451, nota 17 si dice che fu pubblicato in Prodromo 1816 come Appendice 2, pp. 49-56, ma omesso dalla bibliografia di Fea dovuta a Coppi e Amati). La questione centrale consisteva nella sua identificazione.

Loc. cit., dove, stando a Ridley, a Fea si deve anche il motto "In apricum proferret" ripreso da Orazio, uno

dei suoi autori preferiti, la cui traduzione è: “Lascia che sia portato alla luce”.

232 Ibid., cap. 9, p. 167 e sgg, dove il 1813 viene definito l’anno del Colosseo, anno in cui Fea concentra i

suoi studi e le sue dissertazioni scritte su questo monumento. Le unanimi confutazioni delle sue opinioni sul Colosseo diedero origine alle Ammonizioni critico-antiquarie... a vari scrittori del giorno (Roma, 1813), rivolte in particolare allo spagnolo J.F. Masdeu, continuando un conflitto che presto degenerò in una delle più rissose polemiche della storia dell'erudizione classica.

233 Così che non fossero mal copiate da qualche inesperto e di conseguenza mal interpretate. Ibid., cap. 9, p.

167 sgg., dove si dice che proprio questa sua attività lo portò a un feroce scontro con l’abate spagnolo Masdeu dal quale cercò di difendersi.

234 Ibid., p. 185 sgg.

235 Ibid., cap. 10, p. 187 e sgg.

236 Ibid., cap. 11, p. 207 e sgg. dove a questo proposito si ricorda che qualche anno più tardi, nel 1819, apparve

una delle sue opere più utili, la Nuova descrizione de' monumenti antichi... (Roma), in realtà una guida turistica di maneggevole formato. L’opera si divideva in tre sezioni diseguali: il Vaticano, il Campidoglio e il Foro. I due terzi del libro erano dedicati alla prima sezione. Al di là di quello che sostengono i critici esso contiene molte interessanti osservazioni. In molti casi queste osservazioni erano state fatte prima.

237 Per maggiori approfondimenti sull’argomento vedi ibid., cap. 12, p. 221 e sgg., dove si riportano una ad

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Commissione delle Belle Arti e l'elevazione (al 20%) della tassa d'esportazione delle opere artistiche. Fea era contrario alle riforme del nuovo editto e al tempo stesso egli inspiegabilmente, con grande disappunto di Pacca, sostenne i conservatori di Roma nella loro pretesa di mantenere i propri diritti sui monumenti cittadini238.

Nel 1822 fu la volta di uno dei più noti processi intentati da Fea contro la famiglia Giorgi, scopritrice delle rovine di Veio nel 1811-12239.

Egli dedicò poi attenzione anche alla storia del porto presso il Tevere240 partendo dall’età repubblicana e ripercorrendone le diverse fasi che si legavano principalmente agli imperatori Claudio e Traiano241. Fea illustrò anche con

precisione la sua storia successiva e i vari progetti poco pratici e costosi per la costruzione di ulteriori canali proponendo di riaprirlo e di ripopolare Ostia.

Allo stesso modo in cui aveva esortato di ripristinare il porto romano alle foci del Tevere, Fea più tardi fornirà valide ragioni per il ripristino di quello neroniano di Anzio.

Nel 1829, in occasione della fondazione dell'Istituto di Corrispondenza Archeologica242, ebbe l’onore di essere l’unico italiano ad essere accolto fra i cinque

soci fondatori.

Un tema dominante negli scritti degli ultimi anni fu il tentativo di formulare una nuova interpretazione della storia romana, nella quale il concetto di Provvidenza giocava un ruolo fondamentale243.

238 Cfr. ibid., p. 224.

239 Ibid., cap. 13, p. 241 e sgg. per un resoconto dettagliato dell’accaduto. Il commissario affermò con

successo che gli scavi avevano esorbitato dalle condizioni stabilite nella licenza, in quanto effettuati su un terreno appartenente alla Camera Apostolica (le Vignacce) e che quindi i reperti dovevano essere confiscati. Per quanto concerne le Vignacce vedi p. 460, nota 1 dello stesso libro di Ridley, dove l’autore spiega che esse erano così chiamate perché la terra un tempo era coltivata a vigneti ma dopo un disastroso incendio era stata ridotta a terra molto povera ceduta ad un affitto minimo.

240 Cfr. ibid., cap. 14, p. 276 e sgg. per le controversie circa il porto del Tevere e quello di Ostia.

241 Loc. cit., dove Ridley ricorda che Traiano aveva poi aggiunto la darsena e un canale di collegamento dal

fiume al mare, che da lui prese nome di Fossa Traiana, provvedimento che - secondo Fea - era stato un errore perché aveva provocato l'insabbiamento del porto.

242 Ibid., cap. 18, pp. 346-347, dove Ridley specifica che più tardi sarà denominato Istituto di Archeologia

Germanica. La reale storia che sta dietro a questa fondazione è stata solo recentemente rivelata. La nascita del nuovo Istituto fu ostacolata dalla già esistente Accademia di Archeologia di cui Fea era membro. Era anche contrastata dal Camerlengo Galleffi, il ministro verso cui Fea era responsabile. È probabile che Fea abbia ricevuto diverse pressioni affinchè si ritirasse dall’Istituto. Sicuramente era molto ben valutato dai tedeschi e sicuramente preso in considerazione per le cooperazioni internazionali.

243 Cfr. ibid., cap. 21, p. 403 e sgg. per questa concezione della storia romana e la meditazione di alcuni

importanti passi della Divina Commedia di Dante, specialmente quelli riguardanti l’impero Romano. Secondo Fea, che rovesciava gran parte delle tesi della storiografia illuministica, i due personaggi più grandi di Roma