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Gli anni del Governatorato 18 (1926-1944)

Fig 67 Pianta generale del Tempio e relativa

IV. 2 Gli anni del Governatorato 18 (1926-1944)

IV.2.1 Quadro storico-politico del periodo

I cosiddetti anni del Governatorato vengono ricordati nella storia per l’elaborazione del Piano Regolatore di Roma, attuato in città nel 1931.

Per comprenderne i punti salienti, bisogna soffermarsi sugli antefatti.

Il primo Piano Regolatore del XX secolo venne approvato con il Regio Decreto il 29 agosto del 1909 e adottato dal 10 febbraio dello stesso anno. Tale piano, che fu il primo ad ispirarsi ad esperienze europee, fu proposto dal nuovo sindaco Ernesto Nathan e redatto dall’ingegnere Edmondo Sanjust di Teulada.

L’occasione per la stesura del piano si presentò nell’anno del cinquantenario dell’Unità d’Italia. La ricorrenza impose un tempestivo intervento per predisporre la città ad accogliere degnamente la celebrazione dell’anniversario. In primo luogo il piano si sviluppava per la prima volta al di fuori delle Mura Aureliane, inoltre, rispetto ai progetti passati, intendeva attuare delle modifiche nella struttura della città.

Questo secondo obiettivo prevedeva pertanto l’introduzione di novità nella viabilità. Due erano i risvolti positivi del rinnovamento dell’assetto stradale: il primo consisteva nella realizzazione di un grande viale di circonvallazione intorno alla città che avrebbe ridotto l’attraversamento del centro storico, evitando in questo modo di intasare il traffico cittadino. Inoltre una via di circonvallazione avrebbe consentito al tempo stesso un rapido collegamento sia tra i punti più importanti di Roma sia tra i nuovi quartieri sorti a est e ad ovest. Il secondo constava nel vantaggio non solo di trasferire il traffico all’esterno, ma anche di ridurre al minimo indispensabile le demolizioni.

Altro aspetto innovativo riguardava lo sviluppo urbanistico che perseguiva tre intenti. In primo luogo il progetto incentivava un’estensione ad ampio raggio dei nuovi quartieri, non più relegata ad un unico settore della città, ma libera di spaziare verso le più diverse direzioni.

In secondo luogo nell’ambito dell’edilizia rientrava anche l’inserimento delle nuove tipologie costruttive dei fabbricati e dei villini nelle aree adibite a parchi e giardini. Nell’ottica di Sanjust infatti la differenziazione dei tipi edilizi era il modo più efficace per tenere sotto controllo la crescita della città: imponendo vincoli tipologici infatti si sarebbe ottenuta un’alternanza di zone più o meno densamente abitate. Inoltre, proprio tenendo conto della diversa densità abitativa, sarebbe stata studiata

18 R. Meneghini, R. Santangeli Valenzani, “Il Foro di Traiano dall’antichità a oggi. L’interpretazione dei dati

dagli scavi recenti (1998-2007)”, in EphemDac, XVI, 2014, pp. 29-43. A p. 29, nota 1 i due archeologi spiegano: “Così venne chiamato l’Ente che solo nominalmente aveva sostituito il Comune durante il periodo fascista”.

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la disposizione della rete fognaria, delle sezioni stradali e delle attrezzature pubbliche.

Di pari passo con l’incremento dell’area edificata veniva pianificato l’ampliamento delle aree verdi che dovevano concentrarsi in due grandi zone distinte.

Infine il piano suggeriva innovativamente di adoperarsi per il miglioramento dei settori secondario e terziario dell’economia cittadina, dotandola di grandi attrezzature adatte rispettivamente alla zona industriale e a quella ostiense dei servizi.

Purtroppo solo alcuni degli interventi pianificati da Sanjust furono realizzati. Infatti nel 1916 venne nominata dall’Amministrazione Capitolina una commissione tecnica per riesaminare il piano di Sanjust. Tra i membri della commissione vi era Gustavo Giovannoni, autore di una relazione nel 1918 con cui correggeva il piano di Sanjust in alcuni punti: il primo aspetto ad essere rivisto fu la sostituzione dei villini con le palazzine.

Di lì a poco, nel 1920, venne emanato un Decreto Regio che modificava il Regolamento edilizio del 1912 nel quale l’art. 1 stabiliva: “sulle aree destinate a

villini dal Piano Regolatore potranno costruirsi palazzine”. Pertanto venne

introdotto un nuovo tipo edilizio che ebbe fortuna tanto da diventare la forma edilizia prediletta dalla borghesia romana20.

Nel 1923 Filippo Cremonesi21, il sindaco allora in carica, ricoprì il ruolo di

Commissario del Governo fascista. Nello stesso anno venne studiato un progetto di riforma del Piano Regolatore di Roma che avrebbe dovuto subentrare a quello steso nel 1909.

Dal momento che i lavori della commissione del ’23 si sarebbero conclusi l’anno

successivo (1924), dobbiamo far risalire al 1925-26 la “Variante Generale”22 messa

a punto dall’ufficio tecnico comunale. Di fatto questa modifica influirà sullo sviluppo cittadino23 pur non essendo mai riconosciuta a livello legale.

Anche la Variante doveva fronteggiare le difficoltà inerenti l’urbanistica, la viabilità e la necessità di disporre di un efficiente settore secondario e terziario.

A proposito dell’edilizia urbanistica la Variante privilegiava le palazzine considerate il principale modello edilizio, mentre ridimensionava i progetti di villini. In questo frangente storico Mussolini propagandava l’idea della “romanità”,

20 Vedi I. Insolera, Roma moderna. Un secolo di storia urbanistica 1870-1970, Roma, 2001, p. 96; vedi anche

S. Garano, “La città consolidata”, in Urbanistica, n. 116.

21 P.O. Rossi, Roma. Guida all’architettura moderna 1909-2000, Bari, 2000, p. 63.

22 Vedi C.M. Travaglini, “Tra Testaccio e l’Ostiense. I segni di Roma produttiva. Un paesaggio urbano e un

patrimonio culturale per la città”, in Roma moderna e contemporanea, XIV, 2006, 1-3, pp. 343-380 e R. D’Errico, C.M. Travaglini, “Territorio, popolazione e proprietari nell’area ostiense”, in Roma moderna e contemporanea, 2004, 1-2, pp. 11-47, dove gli autori prendono in esame alcuni provvedimenti previsti nella Variante Generale. Questa variante rappresenta il secondo Piano Regolatore della città, dopo quello del 1909. Sia il precedente sia questo sono Piani Regolatori provvisori, propedeutici a quello definitivo del ’31 che conobbe anch’esso tre versioni prima di assumere l’aspetto definitivo.

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cercando di presentare la capitale del Fascismo come un riflesso dello splendore dell’antico impero. Perseguendo questa ideologia il Duce caldeggiava la demolizione di quanto risaliva ai “secoli della decadenza”. Per la viabilità cittadina si progettarono tre anelli concentrici e quello più esterno avrebbe definito il confine delle edificazioni previste. Fu proprio a partire da quegli anni (‘25/’26) che si iniziò a lavorare all’apertura di via dell’Impero.

Infine la Variante stabiliva di riservare ampie aree all’attività industriale sulle rive del Tevere. A tutto questo si aggiunse il proposito di inaugurare un nuovo porto fluviale a valle della Basilica di S. Paolo.

La definizione del Piano Regolatore degli anni ’30 venne preceduta da una diatriba tra due gruppi di urbanisti che non riuscivano a trovare un accordo sugli interventi

da attuare a Roma: un gruppo fu il GUR24, che avrebbe voluto decentrare a est il

centro cittadino, l’altro25, composto da accademici, era propenso ad una pesante

opera di distruzione del centro storico barocco così da poter realizzare un duplice asse cardo-decumano26.

IV.2.2 Premesse alla prima redazione del Piano Urbanistico di Roma del 1931 e alla successiva revisione dello stesso in due varianti. Attuazione del progetto: i saggi di scavo condotti da Corrado Ricci ricordati da autori vari

Nel 1930 il governatore Boncompagni Ludovisi (di questa figura e del suo operato parlerò in modo approfondito più avanti, ut infra, Appendice I, p. 397 e sgg.) decise di istituire una Commissione, da lui presieduta, per redigere un nuovo Piano Regolatore. Tra i vari membri che ne facevano parte c’erano Muñoz, Piacentini e altri rappresentanti della categoria di ingegneri e architetti.

Dopo esser stato sottoposto all’attenzione di Mussolini nell’ottobre del ’30, il piano fu approvato nel 1931. Il progetto teneva conto delle dimensioni della popolazione27,

24 Acronimo che sta per Gruppo Urbanisti Romani. Sull’argomento vedi G. Occhipinti, “Idee e piani per il

territorio romano al tempo di Luigi Piccinato”, parte I, p. 59 e sgg. e “Il programma urbanistico di Roma, 1929”, parte III, p. 127 e sgg., in AA.VV, Idee e piani per il territorio romano: un contributo dell’Archivio

Luigi Piccinato, Roma, 2016.

25 Che ebbe la denominazione de “La Burbera”. Vedi G.P. Consoli, “Dal primato della città al primato della

strada: il ruolo del piano di Armando Brasini per Roma nello sviluppo della città fascista”, in V.F. Pardo,

L’architettura nelle città italiane del XX secolo: dagli anni Venti agli anni Ottanta, Milano, 2003, p. 208,

dove l’autore dice che nel contesto dei Piani Regolatori del ’29 l’elaborazione dei due piani contrapposti della Burbera e del Gur esprime la rivalità tra i due governatori Giovannoni e Piacentini. L’esposizione di tanti piani e progetti di architetti diversi sembra indicare la volontà del governatore di gestire direttamente lo sviluppo della città. Inoltre cfr. la bibliografia indicata a p. 210, nota 33, dove si fa riferimento per l’argomento a V. Testa, “La Prima Mostra Nazionale dell’abitazione e dei piani regolatori”, in Capitolium, V, 10, 1929, pp. 489-501; L. Piccinato, “Il momento urbanistico alla Prima Mostra Nazionale dei Piani Regolatori”, in Architettura e Arti Decorative, IX, 5-6, 1930, pp. 65-84; V. Fraticelli, Roma, 1914-1929. La città e gli

architetti tra la guerra e il fascismo, Roma, 1982. 26 Sul modello dell’antica Roma.

27 Vedi A. Bianchi, “Le vicende e le realizzazioni del Piano Regolatore di Roma Capitale”, in Capitolium,

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prevedendone un raddoppio nell’arco di 25 anni che corrispondeva al periodo di validità del piano.

Possiamo riassumere in 6 punti i traguardi che esso si prefiggeva: 1) Massimo sfruttamento dei suoli.

2) Realizzazione di una strada di circonvallazione più ampia rispetto a quella del 190928 che, oltre ad agevolare la circolazione stradale, avrebbe anche

segnato il limite per l’espansione dell’area edificabile.

3) Crescita sparsa29, non regolamentata mediante quartieri riconoscibili e

caratterizzata dallo sviluppo intensivo di palazzine a est30 e di villini a ovest31; a sud32 invece si sarebbero dovute condensare aree industriali.

Infine si proponeva di inserire dei parchi sparsi in luogo delle due grandi aree verdi già esistenti.

4) Numerosi sventramenti volti soprattutto ad isolare33 i monumenti e a

mettere in comunicazione reciproca i quartieri esterni.

5) Incremento e miglioramento della rete ferroviaria con l’aggiunta, per esempio, di nuove stazioni al posto di Termini, ridotta a punto di snodo di una linea metropolitana che avrebbe dovuto collegare le due nuove stazioni. Si sarebbe reso necessario inoltre un anello ferroviario di congiunzione tra le stazioni del nodo. Il progetto decadde a causa delle difficoltà principalmente finanziarie.

6) Realizzazione del piano generale attraverso piani di esecuzione particolareggiati, espropriando anche aree di pubblica utilità.

Da quanto riportato è evidente che erano soprattutto i punti 2 e 3 a riprendere questioni già affrontate nei precedenti piani provvisori, cercando di mettere a punto delle soluzioni ottimali. I restanti punti si prefiggevano scopi per certi versi nuovi. Sulle tipologie edilizie, trattate nel punto 2, possiamo fare una precisazione: le palazzine costituivano i principali tipi edilizi suggeriti dal piano in quanto atte a

ovviare ad un simile incremento demografico fu stabilito di edificare terreni pari, nel complesso, a 4000 ha con una densità territoriale media di 250ab/ha.

28 Cfr. M. Pietrolucci, La città del Grande Raccordo Anulare, Roma, 2015, capp. 1-2, p. 73 e sgg. Questa via

aveva lo scopo di collegare i nuovi quartieri abitativi e di limitare il traffico di attraversamento del centro storico.

29 L. Cardilli, op. cit., p. 109 e sgg. e a p. 114, nota 31 rinvia a E. De Bufalo, “La via Imperiale e il suo

significato storico e politico”, in Quaderni della Roma di Mussolini, X, Roma, 1940 e dice: “La direzione di sviluppo a Est sarà tra poco (1935) contraddetta dalla realizzazione dell’E42 e dall’esplicita assunzione dello sviluppo di Roma verso il mare”. Cfr. anche nota 40 dello stesso libro.

30 L. Villani, Le borgate del fascismo. Storia urbanistica, politica e sociale della periferia romana, Milano,

2012, cap. III, p. 90 e sgg. e cap. V, p. 267 e sgg. dove l’autore sottintende l’area compresa tra la Salaria e l’Appia.

31 Tra la Flaminia e la via Portuense.

32 Tra le due anse del Tevere, più precisamente tra il Testaccio e la Magliana.

33 Per l’argomento vedi F. Salsano, “Gli sventramenti nella Roma fascista: famiglie, proprietari e attività

commerciali nelle aree demolite”, in Dimensioni e problemi della ricerca storica, 2005, 1, pp. 162-169. Questi interventi dovevano conferire un particolare risalto ai monumenti preservati dalla distruzione.

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contenere la maggior parte della popolazione prevista dopo l’aumento. Per gli abitanti ad alto reddito34 si ricorse a tre nuovi tipi edilizi:

1) villini signorili; 2) ville signorili; 3) case a schiera.

In definitiva con questo Piano Regolatore del ’31, tecnicamente mediocre, l’espansione edilizia arrivò ad invadere ogni area circostante la città in maniera particolare a nord, est e sud.

Si trattò di un’estensione a “macchia d’olio”: ovunque si potevano trovare enormi distese territoriali contenenti all’interno le tipologie edilizie più intensive.

Fu sempre del ’31 l’idea di presentare un secondo piano particolareggiato, attento alle limitazioni circa la demolizione e ricostruzione di zone segnalate nel piano precedente.

Infine nell’anno successivo (1932) seguì la stesura di un terzo piano particolareggiato. La sua prima preoccupazione fu la sistemazione dell’area del Campidoglio e della zona archeologica portata alla luce, in secondo luogo l’isolamento delle chiese di S. Luca e S. Adriano.35

Questo fu il percorso attraverso cui si giunse alla versione definitiva del Piano Regolatore del ’31, concentrando l’attenzione soprattutto sul problema dell’organizzazione urbanistica.

IV.2.3. Il contesto archeologico

Fatta questa premessa storico-politica del periodo, non possiamo trascurare gli sforzi messi in atto dal Regime per la salvaguardia e la valorizzazione dei beni archeologici antichi. Tra le prime aree di interesse del Governo fascista vi fu proprio l’antico Foro Traiano. In realtà fino al 192436 non si mise mano ai lavori decisi tredici anni

34 L. Villani, Le borgate del fascismo. Storia urbanistica, politica e sociale della periferia romana, Milano,

2012, cap. III, p. 90 e sgg. Queste tipologie si concentravano soprattutto nei territori occidentali esterni.

35 Cardilli, op. cit., a p. 38, nota 24 riporta la documentazione a disposizione: “D.L. 11 maggio 1924; Variante

Generale al P.R.G. 1909, pubblicata nel 1925; idem, pubblicata nel 1926; P.R.G. 1931 e Piano Generale di massima 1931; P.R.G. 21 ottobre 1931; P.R.P. 20 novembre 1931”.

36 R. Meneghini, “Il Foro ed i Mercati di Traiano nel Medioevo attraverso le fonti storiche e d’archivio”, in

AMediev, XX, 1993, a p. 79, nota 1 consiglia di consultare A. Cederna, Mussolini urbanista, Roma-Bari, 1979, pp. 167-208 per avere un’idea della bibliografia del periodo fascista riguardante gli sterri e le demolizioni per l’apertura di via dell’Impero (attuale via dei Fori Imperiali) e per la sistemazione delle zone limitrofe.

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prima37. Solo dal ’26 fu avviato il vero e proprio piano di isolamento e scoprimento

dei Mercati38 e dell’emiciclo orientale del Foro Traiano.39

Per quanto riguarda i Mercati, la prima fase di restauro40 dell’intera area dell’esedra

dei medesimi partì proprio nel ’26 dopo aver apportato una variante al piano del 190941. Tuttavia la massiccia opera di restauro si svolse più tardi (ut infra, fig. 98, p. 174, fig. 106, p. 182), quando il nuovo Governo fascista aveva trasformato il progetto in legge provvedendo al finanziamento necessario. Solo a quel punto fu designato come direttore generale dei lavori di scavo lo stesso ideatore del progetto, Corrado Ricci42, che non si limitò a circoscrivere la sua attenzione all’area del Foro e dei Mercati di Traiano, ma rivolse il suo sguardo anche al Foro di Augusto e a quello di Nerva. L’archeologo ritenne inoltre necessario abbattere gli edifici preesistenti lungo la via Alessandrina in direzione del Quirinale e demolire il sito di formazione medievale, che mostrava edifici sullo stesso livello del Foro Traiano. Tra le costruzioni medievali rientrava la chiesa di S. Maria in Campo Carleo43 (vedi cap. I.2.1, p. 24 sgg.).

37 S. Rizzo, Tra Damasco e Roma. L’architettura di Apollodoro nella cultura classica 20 dic. 2001- 20 genn. 2002, khan Assad Bacha, Damasco, Roma, 2001, alle pp. 38-39 dice che nel progetto del ’24 si decise di

agire anche sul Foro di Augusto.

38 Cardilli, op. cit., p. 46, nota 1: “In realtà la denominazione “Mercato di Traiano” fu coniata da C. Ricci, il

suo “scopritore” e tale si è mantenuta, estendendo a tutto il complesso una funzione che solo in parte può aver assolto. Cfr. C. Ricci, “Il Mercato di Traiano”, in Capitolium, 5, 1929, pp. 514-555; per aggiornamenti cfr. P. Giusberti, L. Ungaro, A. Rava, “L’intervento di restauro delle cortine in laterizio dell’emiciclo dei Mercati di Traiano a Roma”, in Le superfici dell’architettura: il cotto. Caratterizzazione e trattamenti (Atti Convegno di studi; Scienze e Beni Culturali, 8), Bressanone, 1992, pp. 561-577; R. Meneghini, “Il Foro ed i Mercati di Traiano nel Medioevo attraverso le fonti storiche e d’archivio”, in AMediev, XX, 1993b, pp. 79-120; P. Giusberti, L. Prisco, A. Rava, L. Ungaro, “Emiciclo dei Mercati Traianei. Interventi di restauro delle cortine laterizie”, in BCom, XCV, 2, 1993, pp. 181-199”.

39 L. Ungaro, “I Fori Imperiali: l’età moderna, XV-XX secolo”, in E. La Rocca, L. Ungaro, R. Meneghini (a

cura di), I luoghi del consenso imperiale. Il Foro di Augusto. Il Foro di Traiano. Introduzione storico-

topografica, Roma, 1995, a p. 35 dice che è in quegli anni che il complesso dei Mercati rivela questa

denominazione convenzionale e risulta ancora inframezzato da parti di conventi, una caserma e aree private adibite a orti e giardini. Vedi L. Ungaro, “I Daci”, in BCom, XCV, 2, 1993, pp. 145-162 e L. Ungaro, “I materiali rinvenuti nell’emiciclo orientale del Foro”, in BCom, XCV, 2, 1993, pp. 162-171.

40 Cardilli, op. cit., a p. 45 dice che è bene precisare quali sono gli elementi che indiziano un restauro recente.

Una volta chiarito questo punto sarà possibile evitare confusioni tra le parti originarie e le aggiunte moderne, dettate, queste ultime, dal desiderio di avere un’idea generale dei monumenti giunti lacunosi.

Si può considerare probante di un intervento moderno sia l’attestare il ricorso a differenti forniture di laterizi sia il constatare il diverso trattamento riservato ai laterizi di una stessa fornitura. Pertanto il criterio distintivo di restauri recenti consiste nell’analizzare il tipo di lavorazione dei laterizi: infatti negli interventi moderni i laterizi possono essere messi in opera lisci, già scalpellati o venire graffiati in superficie dopo il montaggio in parete. Solo considerando questo aspetto si è in grado di distinguere i restauri moderni dalla tessitura antica.

41 Ibid., p. 31, dove la Cardilli ricorda che il progetto del 1909 venne reso noto solo nel ’25.

42 L. Mignanelli, “I Fori Imperiali. Il Foro di Traiano”, in F. Coarelli (a cura di), “Gli scavi di Roma 1922-

1975”, in LTUR, Supplementum II, 2, p. 43, dove per l’inizio dei lavori diretti da Ricci nell’area del Foro di Traiano rimanda a BCom, 1930, p. 105; pp. 200-201; J.E. Packer, The Forum of Trajan in Rome. A study of

the monuments, Berkeley, 1997; per una breve biografia di Corrado Ricci vedi A. Cederna, Mussolini urbanista - Lo sventramento di Roma negli anni del consenso, Bari, 1979, p. 22.

43 Vedi M. Medri, “Il Medioevo: la chiesa di S. Maria in Campo Carleo e la chiesa di S. Urbano”, in A.

Carandini, M. Medri, R. Volpe, Roma. Archeologia nel centro 1. L’area archeologica centrale 2. La città

murata, Roma, 1985, a p. 289 dice che nella fase originaria mostrava un’unica navata terminante ad abside.

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Al periodo di vita medievale rinviavano anche alcuni muri di edifici posti ai due lati di via di Campo Carleo: queste costruzioni pertanto subirono demolizioni in modo da svelare i resti44 antichi che racchiudevano in sé. Se con questo progetto potevano

essere messi in risalto tali resti, si correva però il rischio di perdere le stratigrafie intermedie tra la Roma antica e la contemporanea.

La principale accusa mossa agli esploratori degli anni del Governatorato è stata la fretta imposta dalle scadenze di Regime e la mancanza di una metodologia sistematica nel condurre le operazioni di scavo. La conseguenza di un simile atteggiamento fu la cancellazione di molte informazioni, che avrebbero permesso di seguire le vicende della zona dopo il periodo classico45. Le energie degli scavatori

furono canalizzate in un primo momento nel disseppellimento delle strutture romane, per lo più di età imperiale, tra cui annoveriamo una parte dell’emiciclo orientale del Foro non ancora completamente svelato dai sondaggi del XIX secolo. Una volta riportate alla luce le antiche vestigia, gli archeologi passarono a radere al suolo le costruzioni di fasi più recenti e a ripristinare le cortine46. Si prospettò quindi l’opportunità di stabilire il vero limite del Foro, di rinvenire al suo interno pezzi scultorei e architettonici e infine di sistemare il perimetro sotto via Alessandrina

prima e dopo la distruzione del quartiere omonimo47. Premessa necessaria per tali

operazioni fu l’esproprio48 di terreni dapprima di basso costo, poi di quelli più

impegnativi siti per esempio su via Alessandrina e via di Campo Carleo: queste sono state le principali vie in cui sono state viste costruzioni medievali (fig. 94) a seguito delle demolizioni di costruzioni di epoche successive.

Foro di Traiano”, in AMediev, XXVI, 1999, p. 47, dove informa che la chiesa fu sconsacrata e demolita nel 1862, poi ritrovata e definitamente distrutta durante i lavori del Governatorato nel 1932.