1.2 L’evoluzione del concetto di controllo e l’introduzione del controllo di gestione
1.2.2 Il sistema dei controlli interni dell’ente locale
1.2.2.2 Il controllo di gestione
Al secondo posto il controllo di gestione, del quale se ne sente parlare per la prima volta nel 1990 con l’art. 57 della legge n. 142 che contemplava la facoltà per gli enti locali che lo desideravano di avviare forme di controllo economico interno sulla gestione, attualmente organicamente disciplinato dagli articoli 196, 197, 198, 198 bis del Testo Unico, le uniche e semplici norme che ne regolano le modalità di esecuzione. Di interessante rilievo sono le prescrizioni che ammettono la derogabilità dei principi contenuti in due degli articoli citati (197 e 198) e che riconoscono un’ampia autonomia alle autonomie locali; a tal riguardo si ravvisa come una delle condizioni che avrebbero assicurato la buona riuscita dell’avvio di un rinnovato sistema dei controlli sia stata percepita dal legislatore, il quale ha infatti scelto di non vincolare le novità in imbastiture rigide favorendo invece la successiva diffusione di linee guida (23), andando pertanto contro l’approccio tipico della realtà italiana.
In sostanza, il comune e la provincia vengono lasciati liberi di attuare il sistema di controllo interno con modalità diverse così come previsto dal proprio statuto e dai regolamenti di contabilità, tenuto conto delle particolarità del contesto interno ed esterno ove è insediata l’organizzazione. D'altronde, nemmeno fra gli innumerevoli casi di imprese private è possibile riscontrare l’applicazione di modalità e strumentazione di controllo di natura manageriale completamente uguali, ovvero l’esistenza di una versione del meccanismo operativo con una valenza universale (Riccaboni e Busco, 1999, p. 20) (24).
Il legislatore, con l’intento di rendere meno incerti e più razionali i processi decisionali, ha così deciso di incentivare l’avvio di un sistema operativo di supporto all’attività dirigenziale. Questo tipo di controllo non dovrebbe avere carattere ispettivo, bensì dovrebbe esser visto come un meccanismo utile per prestare assistenza a tutti i componenti dell’amministrazione consentendo loro di adempiere efficacemente alle loro responsabilità tanto più quanto questo, di fatto, interessa e coinvolge tutti coloro che all’interno dei singoli servizi e centri di costo avranno delle indicate responsabilità correlate a precisi obiettivi. In modo aderente con le definizioni ad esso riservate dalla dottrina economico-aziendale all’articolo 196 il controllo di gestione viene identificato come «la procedura diretta a verificare lo stato di attuazione degli
(23) Sono molte le critiche che da tempo gli studiosi riservano al caso italiano, una delle quali è l’eccessivo ricorso alla produzione legislativa visto come unico strumento di governo e di cambiamento.
(24) Gli stessi autori scrivono inoltre: «Rimangono validi, invece, nelle più diverse tipologie organizzative, altri elementi qualificanti delle analisi in materia di controllo, ovvero: le logiche alla base degli strumenti e dei meccanismi nei quali si sostanzia tale pratica operativa; la necessità di considerare con attenzione le condizioni di efficacia ed i limiti nell’uso di tali ausili gestionali; l’esigenza, infine, che il sistema di controllo debba essere sempre definito e implementato sulla base dei tratti, operativi e culturali, che caratterizzano l’organizzazione ove esso è utilizzato nonché lo scenario economico- aziendale di riferimento» (Riccaboni e Busco, 1999, p. 20).
obiettivi programmati e, attraverso l’analisi delle risorse acquisite e della comparazione tra i costi e la quantità dei servizi offerti, la funzionalità dell’organizzazione dell’ente, l’efficacia, l’efficienza ed il livello di economicità nell’attività di realizzazione dei predetti obiettivi».
Con questo articolo viene messo in evidenza come il distacco dai principi basilari dell’economia aziendale che aveva caratterizzato le modalità di decidere e di agire degli operatori pubblici viene abbandonato ed, al contempo, si manifesta con fermezza il bisogno di un’azione amministrativa e gestionale maggiormente rispettosa dei criteri di efficienza, efficacia ed economicità.
In particolare, l’efficienza esprime la capacità di un’organizzazione di ottimizzare l’impiego dei fattori produttivi cercando di minimizzare le quantità di fattori produttivi impiegati, a parità di risultato, oppure di massimizzare il volume delle risorse prodotte, a parità di input. In breve, essa viene solitamente espressa dal rapporto fra input e output (25) a loro volta espressi: in termini fisici (ad es. km), finanziari (se al numeratore di parla di spesa), economici (se al numeratore si parla di costo). Per mezzo delle metriche che si possono identificare e raccogliere sotto tale spettro, si intende concentrare l’attenzione dei soggetti sull’uso corretto delle risorse incentivando al massimo l’eliminazione di sprechi, a garanzia che il contributo monetario prelevato dalla cittadinanza si trasformi, lo si ribadisce, senza alcun sperpero e ritorni sotto forma di servizi utili e di qualità alla stessa. Nessuna organizzazione può permettersi di svolgere attività economiche che distruggano ricchezza.
Mentre con l’efficacia, molto più difficilmente quantificabile, si vuol rappresentare la maestria dell’azienda nel perseguire le finalità che si è posta attraverso il rapporto tra gli obiettivi prefissati ed i risultati raggiunti. Questo concetto economico-aziendale non stenta neppure ad essere rappresentato come il grado di soddisfazione della comunità di riferimento.
In generale, la condizione di economicità è la capacità dell’azienda di resistere nel tempo anche nei confronti di coloro che l’avevano idealizzata, solitamente espressa dal prevalere dei ricavi sui costi, raggiungendo e mantenendo un solido equilibrio economico. Nel caso delle aziende pubbliche locali, però, questo rapporto non è facilmente calcolabile data la particolarità delle cessioni di beni e servizi pubblici caratterizzate dalla mancanza della misura che nel mercato tradizionale è identificata col prezzo. Constatata la mancanza dei proventi e della finalità di profitto, il concetto di economicità dovrebbe assumere caratteristiche diverse ad esse più consoni: in questo caso perseguire l’economicità dovrebbe voler dire operare al meglio per soddisfare i bisogni e, in modo complementare, indagare sulle modalità di impiego più
(25) Questa è la visione che si vuole accogliere, data una certa disomogeneità nei testi consultati. Mentre con il reciproco esprime la produttività, ovverosia il rapporto che prevede l’output al numeratore e l’input al denominatore.
convenienti delle risorse, in sostanza «è sintesi di un efficiente ed efficace modo di svolgere l’attività complessiva» (Farneti, 1998, p. 47).
Le fasi del controllo, così come previste dal secondo comma dell’art. 197 del T.U.E.L., sono le seguenti:
a) «predisposizione di un piano dettagliato di obiettivi;
b) rilevazione dei dati relativi ai costi ed ai proventi nonché rilevazione dei risultati raggiunti;
c) valutazione dei dati predetti in rapporto al piano degli obiettivi al fine di verificare il loro stato di attuazione e di misurare l’efficacia, l’efficienza ed il grado di economicità dell’azione intrapresa».
Il processo del controllo di gestione, così previsto dal legislatore, rispetta quello comunemente accolto dalla dottrina per le aziende private (Propersi, 2006): infatti, il controllo legando l’impiego delle risorse al raggiungimento degli obiettivi è dipendente dalla programmazione, sebbene sia anche vero il contrario, ovverosia che senza controllo i piani sono destinati a non essere realizzati.
In questo processo il piano degli obiettivi predisposto dal direttore generale in accordo con i dirigenti è il documento nel quale si definiscono con il massimo dettaglio le attività operative che i centri di responsabilità dovranno compiere per consentire il raggiungimento dei fini politici. Dal confronto degli obiettivi attesi con i risultati ottenuti si evidenziano gli scostamenti generati che, per mezzo del cosiddetto meccanismo di retroazione, è possibile correggere ricercandone le cause ed intervenendo sul tiro d’azione.
Comunque, a presidiare il corretto funzionamento del sistema deve essere adibita un’unità organizzativa preferibilmente collocata in posizione di staff, con mezzi e personale a propria disposizione. La normativa prevede l’obbligo per tale unità organizzativa di rendere conto agli amministratori e ai responsabili dei servizi dei risultati del monitoraggio attraverso specifici referti (art. 198 T.U.E.L.) e fornire le dovute considerazioni sull’attività svolta alla Corte dei Conti (art. 198 bis T.U.E.L.).