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IL SISTEMA DI PROGRAMMAZIONE E CONTROLLO NEGLI ENTI LOCAL

3.2 Il processo di programmazione e controllo all’interno dell’ente locale

3.2.1 La pianificazione strategica

Procedendo con la disamina di quel processo (o ciclo) di programmazione e controllo caratteristico dell’ente locale, così come appena delineato nella fig. 3.1, cominciamo col descrivere e l’analizzare la sua componente primaria rappresentata dalla pianificazione strategica e senza la quale nessuna delle altre fasi potrebbe aver seguito. La pianificazione delle finalità e degli obiettivi strategici costituisce, in concreto, il momento principe dal quale trovano origine le restanti attività di programmazione, misurazione, monitoraggio e valutazione e la mancanza di questa componente all’interno del processo di programmazione e controllo comporterebbe il verificarsi di diversi svantaggi, alcuni dei quali talmente rilevanti da pregiudicare, nel caso di un’impresa privata, l’esistenza stessa dell’organizzazione e, nel caso di un’azienda pubblica, invece, la legittimazione ad agire per conto dei principali portatori d’interesse; in altre parole, si vuol qui sottolineare quanto oggigiorno la qualità delle scelte di governo delle amministrazioni pubbliche dipenda in gran parte dall’aver colto o meno in questi ultimi decenni l’importante opportunità concessa dalla pianificazione strategica (Donna, 2010, p. 2).

La dottrina aziendalistica che tratta prevalentemente la tematica in questione è concorde nel riconoscere l’essenzialità di codesta attività, dalla quale quindi sembra che nessuna azienda possa inevitabilmente prescindere, e nel definirla come «processo di analisi e di decisione orientato al futuro» molto importante in quanto «aumenta la capacità di risposta dell’organizzazione e diminuisce i rischi operativi» (Merchant e Riccaboni, 2001, p. 150). In particolare, in ambito pubblico, la pianificazione strategica può essere vista come «un patto fra amministratori, attori, cittadini e partner diversi per realizzare una visione condivisa del futuro di un dato territorio attraverso una strategia e una serie conseguente di progetti, variamente interconnessi, giustificati, valutati e condivisi» (Tanese et al., 2006, p. 18). Dunque, l’attività pianificatoria si concretizza in un ben progettato e articolato processo volto nello specifico a consentire all’amministrazione pubblica: la percezione del contesto economico, sociale demografico e culturale nel quale l’organizzazione nei prossimi anni dovrà necessariamente muoversi e influire in modo assolutamente decisivo e rilevante, la comprensione dei bisogni e delle urgenze sollevate dalla comunità in un preciso momento epocale, la declinazione delle

strategie in piani d’azione di lungo termine in assoluto determinanti per l’attrattività e la solidità di un territorio.

Talvolta, inoltre, questa attività viene intesa come distaccata dalla procedura attraverso la quale si giunge alla formulazione delle strategie e qualche altra (111) come un tutt’uno di sistemico (Anthony et al., 2005). Ad ogni modo, dall’individuazione e dalla descrizione delle future linee strategiche non possono prescindere la successiva individuazione e fissazione degli obiettivi operativi e delle responsabilità gestionali, condizione per cui la pianificazione deve necessariamente essere sviluppata e pensata in modo tale da coesistere e convergere con le restanti fasi di programmazione e controllo. Si ricorda, infatti, che il processo in questione è circolare ovvero consente sempre di muoversi dinamicamente da un’attività all’altra cercando di condizionarne la buona riuscita.

Nei primi anni in cui la pianificazione strategica è entrata a far parte delle prassi pubbliche concetti come visione (vision)(112) e missione (mission)(113) erano largamente sconosciuti all’interno del settore pubblico. Eppure questi concetti sono particolarmente importanti poiché solamente prendendo coscienza “dell’immagine che l’ente pubblico assumerà in un prossimo futuro” e “delle finalità di fondo che si è posto di conseguire” ci si può attendere un’azione coordinata e diretta alla soddisfazione dei bisogni collettivi, naturalmente in un ottica di sostenibilità economica, sociale e ambientale.

La declinazione delle visione e della missione permettono al vertice politico di basare l’individuazione delle finalità strategiche su una solida base informativa e comunicativa, diretta ad agevolare la formulazione dei percorsi d’azione dell’attività amministrativa per gli anni a venire. Ai fini pubblici, poter agire strategicamente significa aver attentamente ragionato e deciso come l’intera organizzazione si muoverà o, meglio, in direzione di quali particolari obiettivi si dirigerà tutta in modo unitario e armonioso nei prossimi anni. Con una metafora “serve una bella strada asfaltata per consentire ad un pullman di trasportare i passeggeri al luogo

(111) Nel presente lavoro si accoglie quest’ultima impostazione secondo la quale la pianificazione è un momento fondamentale sia di pensiero strategico che d’implementazione strategica.

(112) «La vision rispecchia gli ideali, i valori e le aspirazioni degli organi di governo» (Fontana e Rossi, 2007.a, p. 6), che in modo assai decisivo influiranno sulle prospettive future dell’ente locale. In sostanza attraverso la definizione della visione si vogliono anticipare le caratteristiche e l’identità dell’amministrazione ancor prima che queste abbiamo manifestazione.

(113) In letteratura numerose e diverse sono le definizioni espresse in merito al concetto di mission dell’impresa. Anche per la corposa ricerca e analisi svolta intorno al termine da parte dell’autrice, si richiama qui quanto scritto da Mio C. (2005, p. 27), secondo la quale «la missione aziendale può essere impiegata come strumento che serve per identificare e rendere riconoscibile la specifica vocazione economica e gestionale di una organizzazione». È inoltre «patrimonio cognitivo di tutti i dipendenti e collaboratori esterni all’impresa e […] guida lo sviluppo strategico di tutta l’organizzazione». In sintesi, la missione specifica in che modo avrà realizzazione la visione dell’ente (Fontana e Rossi, 2007.a).

ardentemente desiderato” e così al comune o alla provincia serve una strategia (114) specifica e complessa per adempiere alla propria missione istituzionale e aziendale (115) e assicurarsi che il personale pubblico unitariamente si adoperi in funzione di essa, ovvero percorra la medesima strada. Inutilmente spesso all’interno dell’ente locale l’organo politico e la componente tecnica sono portati a credere soprattutto sulla necessità di un buona gestione ordinaria, tralasciando di interrogarsi su quanto invece sia doveroso attendersi nel lungo termine e credendo che basti esser bravi ad assolvere quotidianamente le proprie funzioni. Le condizioni in cui versa attualmente l’economica del nostro Paese e, in generale, del mondo sviluppato nonché la perturbabilità e la complessità del mercato globale esaltano con maggior vigore l’essenzialità dell’identificazione di strategie volte, ad esempio, a sviluppare competenze non ancora possedute e servizi non ancora offerti, a ridurre sprechi e lentezze mediante l’utilizzo di nuove tecnologie informatiche, a ridurre od abbandonare servizi e attività dallo scarso valore aggiunto. Insomma, la strategia diviene cruciale per l’ente locale ed il personale che in esso vi opera, non solo guidando quest’ultimo ad intervenire precisamente e coordinatamente con raffinamenti e miglioramenti in ambiti prioritari, ma anche con l’eliminazione dei contenuti lavorativi irrilevanti, concentrando energie e innanzitutto risorse su aspetti legati alle variabili critiche individuate (Donna, 2010).

La componente politica, sindaco o presidente di provincia insieme alla giunta, rappresenta in questo caso il soggetto al quale spetta il diritto e il dovere di domandarsi e ricercare quali siano le future prospettiva di crescita e prosperità del territorio di riferimento e quali, di conseguenza, siano le modalità per mezzo delle quali cercare di alimentare effetti benefici e al contempo di attenuare probabili conseguenze negative. Similmente a quanto accade all’interno di una qualsiasi impresa privata, anche in ambito pubblico esiste un destinatario preposto a pensare in ottica strategica e creativa per rispondere alle esigenze aziendali e ambientali corrispondente all’organo di governo; diversamente da quanto abitualmente accade nel mondo privato, invece,

(114) Le strategie rappresentano le linee guida fondamentali per l’organizzazione in merito alle modalità di impiego delle risorse umane, finanziarie e strumentali per raggiungere i fini prefissati. Merchant K.A. e Riccaboni A. (2001, pp. 8-9) descrivono le strategie come dei vincoli di cui i manager si servono al fine di condizionare il proprio e l’altrui operato, in modo tale da focalizzarne l’attenzione sulle variabili che comportano un vantaggio competitivo per l’azienda. In breve «le strategie, che devono sempre risultare dall’analisi dei punti di forza e di debolezza dell’azienda sui mercati di riferimento costituiscono per i manager una guida assai preziosa nella direzione e nel controllo delle loro organizzazioni».

(115) Questa duplice declinazione è riconducibile alla duplice veste, istituzionale e aziendale, che l’ente pubblico può rivestire. Nel primo caso l’ente pubblico «nell’esercizio delle proprie funzioni istituzionali, cerca di influenzare e di regolare il sistema economico e sociale esterno, ossia il sistema delle aziende pubbliche e private e delle reciproche relazioni»; nel secondo caso invece «gestisce risorse economiche per produrre servizi o comunque risposte ai bisogni, contribuisce a realizzare il piano e a perseguire i suoi obiettivi» (Borgonovi, 2005, p. 319).

esistono casi in cui la pianificazione assume una prospettiva più ampia, ossia riferita a un territorio allargato (area metropolitana, agglomerati o distretti, regioni), e nella quale secondo molti (D’Aries e Nonini, 2011; Tanese et al., 2006) si devono coinvolgere anche coloro i quali intrattengono rapporti di tipo collaborativo o di partenariato, oppure sono destinatari immediati o indiretti dell’offerta di beni e servizi, insomma il complesso dei soggetti coinvolti a diverso modo dall’operatività pubblica e dagli esiti della stessa. Dunque, insieme vertice politico e

stakeholder, partecipano al lungo percorso di pianificazione per concludere con la formulazione

di una strategia precisa, ovvero chiara, ben definita e condivisa, quindi accettata nel suo complesso. Questa apertura che dovrebbe caratterizzare le realtà locali pubbliche durante la fase di pianificazione delle strategie si rende fondamentale nell’assicurarsi che le previsioni sull’andamento incerto e futuro del contesto di riferimento e sull’operato pubblico si realizzino o quanto meno non trovino invece di fronte a sé eventuali contrasti o difficoltà sensibilmente dannose (Tanese et al., 2006).

Quanto concertato in questo momento è inevitabilmente vincolante in ogni previsione e decisione appositamente ritagliate successivamente dalla componente tecnica dell’ente pubblico, la dirigenza, nel corso della definizione delle previsioni di bilancio e durante la gestione amministrativa. Maggiori sono le dimensioni assunte da un’organizzazione e maggiori sono i problemi di coordinamento e integrazione riguardanti l’attività amministrativa; all’interno delle aziende pubbliche le persone hanno bisogno di linee di indirizzo in modo tale da potersi muovere nella giusta direzione, altrimenti ogni decisione e azione non potrà che essere condizionata e influenzata dai valori individuali dei singoli (Bergamin Barbato, 1992, p. 157) e causare così un compromettente disallineamento fra outcome pubblici e bisogni collettivi.

I territori delle città e delle aree metropolitane stanno diventando assai più difficili da governare: la complessità e il dinamismo dei fenomeni e delle relazioni economici e sociali complicano di continuo il contesto in cui operano le amministrazioni pubbliche chiamate a governare quei territori. L’attività di pianificazione da questo punto di vista può comportare un certo vantaggio competitivo per l’impresa privata così come per l’amministrazione pubblica, supportando l’organizzazione lungo un processo in grado di permettere al management non soltanto di programmare ma anche di anticipare i mutamenti del territorio. Di per sé questo processo obbliga a riflettere ed a ragionare sugli anni a venire e ad anticipare ogni decisione sull’attività del domani. Attraverso un buon piano strategico di lungo termine non si dimostra più essenziale la gestione delle urgenze emergenti di giorno in giorno, in quanto si dice che «i processi di pianificazione rendono proattivo e non solo reattivo il sistema di controllo» (Merchant e Riccaboni, 2001, p. 150) così da avvantaggiare i manager con la possibilità per

loro di incidere in maniera significativa sui prossimi accadimenti. L’anticipazione del futuro, fatta per mezzo di piani e programmi attentamente ipotizzati, consente alla dirigenza di spendere meno tempo e risorse nell’affrontare le problematiche quotidiane.

In generale, da una lettura approfondita dei testi aziendali e secondo quanto ampliamente assodato in essi, per qualsiasi tipologia di impresa, è utile pianificarepoiché:

 è necessario ragionare in ottica di medio-lungo termine e riflettere al di fuori dagli schemi logici convenzionali e dai confini tipici dell’organizzazione interna per anticipare gli accadimenti importanti o battere l’offerta dei competitors;

 è necessario comunicare un indirizzo generale, destinato per grandi aree strategiche a tutta l’organizzazione, chiaro e coerente con la cultura e l’identità aziendale (Merchant e Riccaboni, 2001, Bergamin Barbato, 1992);

 è necessario ricondurre e raccordare ad essa l’operato annuale dei singoli e delle strutture in termini di efficienza, efficacia e livelli di soddisfazione da raggiungere.

In modo correlato a queste considerazioni, l’attività di pianificazione, incorporata in un buon sistema di programmazione e controllo, consente all’amministrazione territoriale, comune o provincia, di:

 raccogliere evoluzioni e variabilità delle sensazioni e delle aspettative della collettività, accrescendo il supporto informativo a disposizione del vertice politico e del management pubblico soprattutto a fronte di una pressante scarsità di risorse finanziarie che obbliga questi ultimi a cercare scenari di evoluzione diversi e nuovi;

 impostare il sistema di bilancio secondo un approccio del tutto nuovo e tale per cui è possibile superare la cultura del burocrate a fronte di un diverso modo di pensare e di agire principalmente basato su processi di individuazione di obiettivi e valutazione di risultati (D’Aries e Nonini, 2011; Tanese et al., 2006), promuovendo il cambiamento proprio in quelle amministrazioni maggiormente refrattarie (Donna, 2010, p. 13);

 implementare il terzo dei controlli interni dell’art. 147 del T.U.E.L., ossia il controllo strategico, in maniera integrata o meno con il controllo di gestione (116), contribuendo a sviluppare una sorta di apprendimento strategico da parte degli operatori particolarmente utile nel migliorarne il processo decisionale durante ogni singola fase del ciclo in precedenza descritto.

Le finalità e i vantaggi ritraibili da un suo inquadramento all’interno del processo di programmazione e controllo sono pertanto conosciuti ai molti autori, esperti in materia e

(116) Di comune accordo con quanto affermato da Fontana F. e Rossi M. (2007.a, p. 4) il controllo strategico e quello di gestione sono tra loro logicamente e strettamente interconnessi, sebbene sia possibile impostare il sistema dei controlli secondo alternative strutturali diverse.

consulenti aziendali abituati a trattare l’argomento, ma molto meno appresi e sfruttati dal comparto pubblico italiano. L’attuale livello di considerazione della pianificazione all’interno del contesto cittadino è ancora piuttosto riduttivo e soprattutto localizzato nelle grandi realtà, seppure al riguardo esistano abbastanza esperienze (117) di città (o province), le quali da anni hanno avviato processi e adottato strumentazioni manageriali inerenti in tal senso. Spesso l’incapacità di riconoscere e accettare le logiche ad essa sottostanti e la carenza di attori particolarmente vicini e interessati alla tematica rappresentano le principali fonti della sua assenza nei processi gestionali dell’ente locale.

Laddove non è stata ancora colta la reale valenza della pianificazione, questa assume purtroppo i contorni di una pura prassi formale (118), imperniata in una logica adempimentale e funzionale alla semplicistica redazione della documentazione richiesta, senza che i piani e i programmi in quest’ultima contenuti assumano un sostanziale significato agli occhi dei responsabili degli stessi programmi e tanto meno aiutino nel miglioramento delle proprie

performance l’amministrazione territoriale. L’ente locale intenzionato ad accogliere e attuare

correttamente un sistema di programmazione e controllo non può assolutamente impiegare proiezioni pluriennali di piani basate su dati storici, bensì diviene opportuno lo sviluppo da parte dello stesso di un lavoro diretto a formulare ipotesi di scenari multipli e complessi sul futuro incerto, in alcuni casi partendo ogni volta anche “da zero” (Anthony et al., 2005, pp. 256- 257). La pianificazione non è un processo stabile e soprattutto che non porta a strategie rigidamente incanalate in precisi binari, è piuttosto un qualcosa di dinamico e continuamente soggetto a repentine rivisitazioni e riprogrammazioni specie ogniqualvolta si verifichi un fenomeno imprevisto o un accadimento talmente rimarchevole da doversene avvantaggiare e tale per cui si rende d’obbligo riadeguare le linee strategiche al mutare degli scenari (Anthony et al., 2005; Mussari, 2001.a).

Quindi, qualora alcuni agenti si facciano mobilitatori dell’interesse verso la pianificazione strategica da parte dell’amministrazione pubblica è bene che questi prestino particolare attenzione nel garantirsi che l’innovazione non scada a un mero assolvimento, evidenziando le

(117) Il manuale La pianificazione strategica per lo sviluppo dei territori (2006) elaborato nell’ambito dei progetti di innovazione del Dipartimento della Funzione Pubblica è ricco di esemplificazioni riferite a diverse città d’Italia che, in particolar modo, si sono avvicinati al tema della pianificazione. Limitatamente al Veneto spiccano i casi del comune di Venezia e Verona e quello della provincia di Treviso. Per un interessante approfondimento sulle città italiane coinvolti in progetti innovativi a tal riguardo si veda la pagina web http://www.recs.it.

(118) Attualmente, ancora troppo frequentemente è riscontrabile nel mondo degli enti locali un insieme di procedure e documentazioni profondamente distanti da quello che legittimamente si intende per pianificazione strategica. Di fatto, si constata la presenza di quella che in passato è stata definita come pianificazione formale (Bergamin Barbato, 1991; Borgonovi, 2005; Donna, 2010, Tanese et al., 2006), in quanto fondata sulla predisposizioni di piani molto simili a budget e contenenti semplicemente previsioni quantitative riferite ad un arco temporale pluriennale.

motivazioni alla base della proposta, le difficoltà prevedibili e gli errori dai quali cautelarsi, i vantaggi complessivi e soggettivi da ottenere.

Al contempo, sembra opportuno ricordare come le analisi ambientali, le formulazioni strategiche, l’attuazione, il controllo e la valutazione dell’orientamento strategico di fondo nell’ente locale richiedono di essere supportati con appositi modelli e strumenti. Decisamente rilevanti appaiono, innanzitutto, le indagini sul territorio urbano di riferimento, le evoluzioni degli scenari economici caratteristici, le specifiche sociali e culturali. A tal riguardo due tecniche manageriali note e ormai in uso anche in ambito pubblico sono (Fontana e Rossi, 2007.a, p. 5):

a) «la stakeholder analysis, focalizzata sui soggetti di bisogno, portatori di interessi, interlocutori chiari, partner a vario titolo, sui loro bisogni, interessi, attese/aspettative, sinergie, importanza, influenza, e sui conseguenti servizi, interventi, trasferimenti, opere, azioni regolatrici, utili;

b) la swot analysis, avente a oggetto i punti di forza (strenghts) e di debolezza (weaknesses) che caratterizzano l’ente, nonché le opportunità (opportunities) e le minacce (threats) dell’ambiente di riferimento».

Mentre la prima di fatto consente di disegnare un quadro d’insieme dei portatori di interesse con i quali a vario modo l’ente locale può intrattenere rapporti, la seconda è diretta a sostenere l’organizzazione nell’identificazioni di aspetti che amplificano la conoscenza dei soggetti in merito al mondo che li circonda e sul proprio ambiente di lavoro. Attraverso queste analisi l’amministrazione si assicura dall’impostare il processo decisionale secondo i canoni della razionalità economica, specie in riferimento alle scelte attinenti una funzione o un servizio.

Ebbene nel pianificare le amministrazioni pubbliche possono avvalersi nell’ambito del processo appena descritto delle tecniche manageriali contenute nei testi aziendali, ma primariamente sono obbligate a servirsi di quanto i provvedimenti normativi indicano loro. Le disposizioni legislative riferite nello specifico al processo di aziendalizzazione pubblico italiano sono venute in contro all’esigenza di pianificazione delle realtà locali modificando il sistema di bilancio e integrandolo con un ulteriore strumentazione tecnico-contabile di supporto informativo. A livello di indirizzo generale, gli accadimenti futuri ai quali attribuire maggiore o minore probabilità sono oggetto di qualificazione all’interno:

 del programma di mandato introdotto nella realtà pubblica con l’art. 7, settimo comma, della legge n. 142/90, successivamente modificato dall’art. 34, secondo comma bis, della legge n. 265/99;

 delle linee programmatiche e previsionali (LPP) disciplinate per la prima volta al terzo comma dell’art. 46 del testo unico degli enti locali;

 del piano generale di sviluppo (PGS) da predisporre secondo quanto stabilito dall’art. 165 del T.U.E.L..

Questi documenti obbligatoriamente previsti dalla legislazione sono accomunati dal fatto di godere tutti e tre di un’ampia discrezionalità e libertà in merito alla propria forma e ai propri contenuti. Non esistendo prescrizioni rigide e vincolanti riguardanti questi tre documenti, l’Osservatorio per la finanza e la contabilità degli enti locali al principio contabile n. 1 (119) ha ritenuto quindi opportuno fissare tre elementi chiavi da tenere in considerazione nella progettazione del processo di programmazione inerente il sistema di bilancio:

a) la valenza pluriennale del sistema, fondamentale chiave di lettura dell’attività programmatoria, e quindi pianificatoria, essendo la durata annuale insufficiente a garantire il perseguimento dell’efficienza, dell’efficacia e dell’economicità alla luce dei cambiamenti interessanti i compiti e le funzioni delegate agli enti locali, la dipendenza dai trasferimenti statali, i vincoli finanziari discendenti dal patto di stabilità nonché della complessità ambientale crescente attorno alle amministrazioni territoriali;

b) un altro aspetto importante è la lettura dei documenti secondo un orientamento non esclusivamente concentrato sulla dimensione contabile e quindi maggiormente comprendente la ragion d’essere dell’amministrazione (ovvero il soddisfacimento delle necessità della collettività);

c) infine, la necessaria coerenza ed interdipendenza dei vari documenti del sistema di bilancio deve manifestarsi attraverso la corrispondenza dei programmi scorporati, la convergenza degli obiettivi contenuti, la validità e l’attendibilità dei valori e degli elementi descrittivi inclusi.

Procedendo con ordine nella descrizione dei documenti da predisporre, partiamo col descrivere cosa s’intenda per programma di mandato e le motivazioni che lo rendono così interessante ai fini della pianificazione all’interno degli enti locali. Il programma di mandato potrebbe essere definito come una specie di “contratto” tra il candidato sindaco o presidente di provincia e l’elettorato, contenente la dichiarazione di intenti che il futuro vertice politico si

(119) Merita accennare ai compiti ricoperti da questo organismo e dare una breve, seppur adeguata,