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convenzioni internazionali e la legislazione italiana

GERMANA BERTOLI,(AVVOCATO DEL FORO DI TORINO, PRESIDENTE DELLA SEZIONE DI TORINO DELL’OSSERVATORIO)

VALERIO LIPRANDI,(DOTTORE IN GIURISPRUDENZA)

L’ascolto del minore nei procedimenti civili costi-tuisce un particolare mezzo che consente al sog-getto minorenne di esprimere le proprie opinioni, esigenze ed aspettative nell’ambito del processo, di modo che il magistrato, nell’individuare le scelte de-cisionali più opportune ai fini del conseguimento del suo superiore interesse, sia guidato anche da tali elementi.

Prima di addentrarsi nella disamina dell’argo-mento sarà bene premettere che la tematica oggetto della presente trattazione trascende, per sua natura, dall’ambito del meramente tecnicistico per giungere a cingere campi che lambiscono il diritto minorile e di famiglia, quali le scienze psicologiche e della for-mazione. È bene tener presente fin da subito tale aspetto poiché risulta doveroso accostarsi all’audi-zione dell’infradiciottenne senza tralasciare gli ap-porti extragiuridici forniti da tali discipline.

La più rilevante dimostrazione di quanto appena argomentato può essere tratta dal dibattito che ha accompagnato nell’ultimo venticinquennio l’in-gresso dell’istituto in questione nell’ordinamento giuridico italiano, e che ha visto fronteggiarsi - su posizioni non di rado dicotomicamente inconcilia-bili - istanze più protezionistiche e maggiormente focalizzate sugli aspetti più traumatici dell’ascolto nei riguardi del fanciullo contrapposte a visioni che attribuiscono all’audizione un irrinunciabile valore di civiltà teso a consentire al minore di divenire in una qualche misura parte attiva del processo deci-sionale che lo riguarda1. Proprio nelle riserve (per non pochi versi anche del tutto legittime) espresse dalla prima delle due fronde vanno ricercate le ra-gioni delle resistenze frapposte dapprima dal legi-slatore e poi dalla magistratura ad accogliere nel-l’alveo ordinamentale italiano l’istituto de quo. Prova ne sia la circostanza che il principale elemento sol-lecitatore all’introduzione dell’ascolto del minore in Italia è stato costituito senza dubbio dal diritto in-ternazionale di fonte convenzionale.

La Convenzione internazionale sui diritti del fan-ciullo, approvata a New York nel 1989 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite e ratificata in Italia nel 1991, costituisce indubitabilmente il paradigma di tale affermazione: mediante il suo art. 12 («Gli stati

parti garantiscono al fanciullo capace di discerni-mento il diritto di esprimere liberamente la suo opi-nione su ogni questione che lo interessa, le opiopi-nione del fanciullo essendo debitamente prese in conside-razione tenendo conto della sua età e del suo grado di maturità. A tal fine, si darà in particolare al fanciullo la possibilità di essere ascoltato in ogni procedura giudiziaria o amministrativa che lo concerne, sia di-rettamente, sia tramite un rappresentante o un or-gano appropriato, in maniera compatibile con le re-gole di procedura della legislazione nazionale») per la prima volta faceva ingresso, seppur a livello decla-matorio, il diritto generalizzato del minore ad essere ascoltato in ogni procedimento che lo riguarda.

L’art. 3 della Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei minori, approvata a Strasburgo dal Consi-glio d’Europa nel 1996 (ratificata in Italia nel 2003), ha costituito un’ulteriore e successiva specificazione di tale proclamazione, avendo imposto agli stati con-traenti di garantire ai minori considerati dai singoli diritti nazionali come dotati della capacità di discer-nimento non solo di essere consultati onde espri-mere la propria opinione in tutte le procedure ad essi inerenti, ma pure di ricevere ogni informazione per-tinente all’ascolto e di essere resi edotti delle even-tuali conseguenze che tale opinione comporta.

L’unico ostacolo frapposto dal trattato all’audizione dell’infradiciottenne capace di discernimento è rap-presentato dalla clausola generale della manifesta contrarietà agli interessi del minore (art. 6).

Nel medesimo solco tracciato dalle convenzioni di New York e Strasburgo si collocano altre fonti pat-tizie di diritto internazionale, talvolta anche ante-cedenti, che impongono l’obbligo di ascoltare il mi-norenne ad essere ascoltato in singoli contesti ap-plicativi: è possibile citare a riguardo l’art. 5 della Convenzione dell’Aja del 1970 sul rimpatrio dei mi-nori, l’art. 15 della Convenzione di Lussemburgo del 1980 sul riconoscimento e l’esecuzione delle deci-sioni in materia di affidamento dei minori e di ri-stabilimento dell’affidamento, l’art. 13 della Con-venzione dell’Aja del 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale dei minori, gli artt. 4 e 21 della Convenzione dell’Aja del 1993 sulla tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione in-ternazionale e l’art. 6 della Convenzione di Oviedo sulla protezione dei diritti dell’uomo e la dignità del-l’essere umano riguardo alle applicazioni della bio-logia e della biomedicina.

A costituire un’ulteriore ragione per dar corso al-l’ascolto nei procedimenti civili contribuisce poi il Regolamento CE n. 2201/2003 (che investe la tema-tica della competenza, del riconoscimento e del-l’esecuzione delle decisioni in materia coniugale e di responsabilità genitoriale), enunziando agli artt.

23, 41 e 42, tra i motivi che impediscono il ricono-scimento negli stati membri dell’Unione Europea delle decisioni relative alle responsabilità

genito-riali, al diritto di visita di un genitore ed al ritorno del minorenne, l’eventualità che quest’ultimo non abbia usufruito della possibilità di essere ascoltato.

All’interno del quadro legislativo italiano l’istituto dell’audizione del minore risulta ormai praticamente presente nella quasi totalità dei procedimenti che in-teressano l’infradiciottenne: a latitare, semmai, è una norma generale che ne illustri linee-guida o principî applicativi (in ordine, ad esempio, al grado di discre-zionalità del giudice nel disporre l’ascolto, all’età ri-chiesta ai fini dello stesso, alla vincolatività dell’opi-nione espressa dal minore e via di questo passo)2, tanto che, stante la stretta interdipendenza tra il tipo di audizione e la procedura nell’ambito della quale è previsto, almeno da una prospettiva strettamente formalistica non dovrebbe costituire un azzardo di-scutere di “ascolti” anziché di “ascolto”.

Il Codice civile dispone così che, nel caso di di-saccordo tra i coniugi relativamente all’indirizzo della vita familiare (art. 145 co. 1 c.c.), il giudice rac-colga anche le opinioni, «per quanto opportuno», dei figli ultrasedicenni conviventi; che i figli ultraquat-tordicenni debbano essere ascoltati qualora sorgano controversie sull’esercizio della potestà genitoriale (art. 316 co. 5 c.c.); che si debba interpellare il mi-nore che ha compiuto sedici anni prima di proce-dere alla nomina del suo tutore (art. 348 co. 3 c.c.); e che, sempre in caso di apertura della tutela, il mi-nore che ha raggiunto i dieci anni debba essere sen-tito prima di deliberare «sul luogo dove […] deve es-sere allevato e sul suo avviamento agli studi o al-l’esercizio di un’arte, mestiere o professione» (art.

371 co. 1 n. 1) c.c.).

In tema di filiazione e legittimazione peraltro un non esiguo numero di norme, lungi dal limitarsi a prevedere il semplice obbligo di dar voce al minore, giunge ad attribuire un valore decisivo e vincolante alle opinioni da questi espresse3.

Nelle procedure inerenti alla separazione, al di-vorzio, all’annullamento del matrimonio ed in ge-nerale alla frattura della coppia genitoriale la ne-cessità d’individuare un punto d’equilibrio tra il di-ritto del minore ad esprimere volontà ed opinioni in un momento così importante per il prosieguo della sua esistenza e la necessità di preservarlo dalle con-seguenze di un suo ingresso troppo diretto nel-l’arena del conflitto parentale.

Dopo più di sette lustri4la legge 54/2006 ha defi-nitivamente uniformato le disposizioni in tema di ascolto nell’ambito di separazione, divorzio e rego-lamentazione delle condizioni di affidamento e vi-sita nei casi di figli naturali mediante l’introduzione dell’art. 155 sexies c.c., il quale prescrive che, «prima dell’emanazione, anche in via provvisoria, dei prov-vedimenti di cui all’articolo 155, il giudice può as-sumere, ad istanza di parte o d’ufficio, mezzi di prova. Il giudice dispone, inoltre, l’audizione del fi-glio minore che abbia compiuto gli anni dodici e

an-che di età inferiore ove capace di discernimento».

La riforma dell’affidamento condiviso ha così in-dotto la dottrina ad intavolare un acceso dibattito che ha visto fronteggiarsi coloro che ritengono che l’art. 155 sexies c.c. imponga un autentico obbligo in capo al magistrato di ascoltare il minorenne5ed i so-stenitori della facoltatività dell’audizione, la cui ne-cessità andrebbe di volta in volta valutata dal giu-dice alla luce del superiore interesse del minore6.

A favore della prima soluzione paiono in effetti de-porre l’analisi letterale del testo - il verbo “disde-porre”

è coniugato al modo indicativo e dovrebbe a tal ca-gione assumere una valenza imperativa - il contesto normativo e giurisprudenziale di riferimento (in spe-cial modo l’art. 12 della Convenzione di New York e l’art. 3 della Convenzione di Strasburgo, e così pure la sentenza 1/2002 della Corte Costituzionale - oggetto di trattazione in futuro), nonché la disamina dei la-vori parlamentari preparatori della l. 54/2006. Un sif-fatto ragionamento ha addirittura indotto taluni stu-diosi ad arguire che non dar voce al minore nei pro-cedimenti in esame configurerebbe un’autentica causa di nullità degli stessi, salvo che tale scelta sia sorretta da un’adeguata motivazione, idonea a di-mostrare che nel caso concreto l’audizione collide col suo superiore interesse, posto comunque che una prevalutazione della compatibilità di quest’ultimo con l’ascolto sarebbe già stata effettuata dal legisla-tore nel momento in cui ha indicato l’età di dodici anni come quella a partire dalla quale è richiesto al magistrato di dar voce al minore.

Su posizioni divergenti si collocano viceversa i so-stenitori di un’interpretazione meno formalistica e maggiormente sistematica della norma: facendo leva sulla clausola generale dell’interesse del mi-nore parte della dottrina (e, per il vero, la quasi to-talità degli operatori) ritiene infatti che non sussi-sta un assoluto obbligo di procedere all’audizione dell’infradiciottenne, potendo questa essere rimessa alla discrezionale valutazione del Presidente.

Altra cagione di dibattito è costituita dall’appar-tenenza o meno dell’ascolto ex art. 155 sexies c.c. alla categoria dei mezzi istruttori: secondo l’interpreta-zione prevalente il tenore letterale della norma de-pone a sfavore dell’inclusione dell’audizione nel no-vero delle fonti di prova (laddove era stata invece in-serita e dall’art. 6 della precedente l. 74/1987 e dai lavori preparatori della stessa l. 54/2006), e ciò per via delle circostanze che l’articolo di legge menzioni i due istituti processuali separatamente («il giudice può assumere […] mezzi di prova. Il giudice dispone, inoltre, l’audizione del figlio minore […]») e che la rubrica dell’articolo adotti la denominazione “Poteri istruttori del giudice e ascolto del minore”, dove la congiunzione copulativa “e” assolverebbe la fun-zione di distinguere i due elementi.

Se nei procedimenti relativi alla frantumazione della coppia genitoriale il punto nodale in tema di

ascolto del minore risulta fondamentalmente foca-lizzato sull’an, una simile questione non si è pone invece per l’affidamento preadottivo e l’adozione, nelle cui procedure le opinioni e le prospettive dei minori sono ormai divenute un elemento per così dire ontologico: se sin dalla sua formulazione origi-naria la l.184/983 prevedeva in diverse norme il ri-corso all’istituto de quo, seppur nell’ottica di una

«prospettiva diffidente»7, la legge di riforma 149/2001 ha determinato una consistente imple-mentazione degli spazi deputati a consentire al mi-nore di esprimersi8.

In tema di adozione nazionale il legislatore indivi-dua due fasce di età a partire dalle quali dar corso al-l’audizione: i dodici anni (con possibilità di deroghe legate alla capacità di discernere) ed i quattordici.

Così l’ultradodicenne - e l’adottando che, pur non avendo ancora raggiunto tale età, risulta capace di discernimento - dev’essere ascoltato in una molte-plicità di ipotesi: prima che venga disposto l’affida-mento familiare nel caso in cui esso sia accompa-gnato dal consenso dei genitori (art. 4 co. 1), prima dell’adozione di eventuali ulteriori provvedimenti richiesti dal giudice tutelare alla scadenza del pe-riodo di affidamento (art. 4 co. 6), prima che venga disposto il provvedimento di adozione (art. 7 co. 3), nel procedimento necessario ad accertare lo stato di abbandono del minorenne sia prima dell’assun-zione dei provvedimenti provvisori (art. 10 co. 3) sia prima della dichiarazione dello stato di adottabilità (art. 15 co. 2), prima che sia disposto l’affidamento preadottivo (art. 22 co. 6), e ancora prima dell’ema-nazione del decreto di revoca dell’affidamento prea-dottivo (art. 23 co. 1).

In tutte le ipotesi or ora menzionate risulta asso-data l’esistenza di un autentico obbligo del magi-strato di far luogo all’audizione dell’ultradodicenne, pena la nullità dell’eventuale provvedimento adot-tato senza avervi proceduto, come testimoniano dalla giurisprudenza di merito9e, dopo alcune pro-nunzie di segno opposto10, pure dal giudice nomofi-lattico con la sentenza n. 6899 del 23 luglio 199711.

La seconda fascia di età rilevante nel procedimento

ex l. 184/1983 è quella dei quattordici anni, superati i quali in due frangenti (inerentemente all’emana-zione della sentenza che dispone l’adoall’emana-zione ex artt.

7 co. 2 e 25 co. 1 ed in sede di affidamento preadottivo ex art. 22 co. 6) non solo l’ascolto del minore è obbli-gatorio in quanto può fornire informazioni utili alla decisione, ma all’opinione del soggetto viene ricono-sciuta pure una forza vincolante. Rappresentando l’ascolto un fattore costitutivo della validità degli atti per i quali è richiesto e quindi previsto ad substantiam actus, «un elemento imprescindibile per la realizza-zione del nuovo status»12di figlio adottivo, l’adozione e l’affidamento preadottivo sono da ritenersi radical-mente nulli qualora il minorenne non abbia manife-stato il proprio consenso13.

La ratifica della citata Convenzione dell’Aja del 1993 (l. 476/1998) ha riformato il quadro normativo interno dell’adozione internazionale, quantomeno in relazione alla fase in cui il minore straniero ha ef-fettuato il suo ingresso nel territorio italiano: in me-rito ad essa la l. 476/1998, novellando il testo della l.

184/1983, ha introdotto l’art. 35 co. 4 (poi ulterior-mente riformato dalla l. 149/2001), il quale dispone che, prima che il tribunale per i minorenni emetta la sentenza con cui dispone l’adozione - o viceversa revochi l’affidamento preadottivo stabilito succes-sivamente all’emissione di un provvedimento estero di affidamento in vista di adozione - l’adot-tando ultraquattordicenne debba prestare il proprio consenso, l’ultradodicenne debba essere obbligato-riamente ascoltato e l’infradodicenne possa essere sentito « se di età inferiore può essere sentito ove sia opportuno e ove ciò non alteri il suo equilibrio psico-emotivo, tenuto conto della valutazione dello psicologo nominato dal tribunale».

Anche la procedura di adozione in casi particolari prevede infine la necessità di raccogliere consenso prestato dall’adottando ultraquattordicenne e l’ob-bligatorietà di dar voce minore che ha compiuto do-dici anni (o anche di età inferiore se capace di di-scernimento, art. 45 l. 184/1983), così come l’audi-zione del minore è prevista nei casi di revoca l’adozione per fatto dell’adottato (art. 51) e

del-Note

1Una sorta di minuta e riassuntiva classificazione tassonomica essenziale delle ragioni del non ascolto è riscon-trabile in P. PAZÉ, L’ascolto del minore, pp. 4-5, in www.minoriefamiglia.it, 2004 ed in G. CESARO, L’ascolto, l’assistenza e la rappresentanza del minore, p. 2, in www.cameraminorilemilano.it, 2004.

2Per citare alcuni esempi significativi della contraddittorietà della normativa, si mediti sul fatto che il figlio ultra-quattordicenne va obbligatoriamente sentito a norma dell’art. 316 c.c. nel caso di controversie sull’esercizio della potestà, ma il suo apporto non è minimamente menzionato nei ben più gravi procedimenti di decadenza o limi-tazione della stessa potestà; e si potrebbe ancora confrontare lo stesso art. 316 c.c. con la precedente disciplina della separazione e del divorzio, vigente fino al 2006, la quale non prevedeva l’audizione nel primo caso mentre l’ammetteva solo in casi di stretta necessità. O ancora il fatto che non sia prevista l’audizione dei figli legittimi nel qualora i genitori intendano adottare un bambino, mentre invece il consenso dei figli legittimi e conviventi ultrasedicenni risulta rilevante nella circostanza dell’inserimento del figlio naturale nella famiglia legittima di una dei genitori.

3E così il riconoscimento del figlio naturale non può perfezionarsi qualora il figlio che ha compiuto sedici anni non

l’adottante (art. 52).

presti il suo assenso (art. 250 co. 2 c.c.). Dispone altresì la medesima norma che, nel caso in cui il genitore che ab-bia già riconosciuto il figlio infrasedicenne si opponga al riconoscimento, qualora l’altro genitore presenti ricorso, dev’essere «sentito il minore in contraddittorio con il genitore che si oppone e con l’intervento del pubblico mi-nistero» (art. 250 co. 4 c.c.). Il consenso dei figli legittimi e conviventi che abbiano compiuto sedici anni è inoltre determinante per l’inserimento del figlio naturale nella famiglia legittima di uno dei genitori (art. 252 c.c.). Infine, tra i requisiti necessari alla promozione od al proseguimento dell’azione «per ottenere che sia giudizialmente di-chiarata la paternità o la maternità naturale» figura, a norma dell’art. 273 c.c., il consenso del figlio sedicenne, così come il consenso del figlio legittimando ultrasedicenne (salvo che sia stato già riconosciuto) risulta condizione determinante per la concessione della legittimazione giudiziale del figlio nato al di fuori del matrimonio a norma dell’art. 284 c.c. (peraltro il secondo comma della medesima disposizione impone al presidente del tribunale di ascoltare gli altri eventuali figli legittimi o legittimati se di età superiore ai sedici anni).

4Sino all’entrata in vigore della l. 54/2006 l’ordinamento italiano presentava un’irrazionale ed ingiustificata con-traddizione in tema di audizione del minore, giacché sussisteva una sorta di “doppio binario” tra i procedimenti di separazione, all’interno dei quali l’ascolto non era contemplato, e quelli di divorzio. La formulazione originaria delle norme in tema di separazione coniugale non conteneva infatti alcun cenno alla possibilità di ascoltare il fi-glio della coppia; viceversa l’art. 4 co. 5 della l. 898/1970 sullo scioglimento del matrimonio prevedeva per il Presi-dente, in sede di comparizione delle parti, la possibilità di sentire i figli minori nel caso in cui uno dei coniugi non si fosse presentato o la conciliazione non fosse riuscita. Allorché nel 1987 la legislazione sul divorzio subì una ri-forma, la disposizione normativa or ora riportata fu corretta in senso limitativo, nel senso che - a norma dell’art.

4 co. 8 l. 898/1970 così riformato dalla l. 6 marzo 1987, n. 74 - il presidente del collegio avrebbe potuto ascoltare, «qua-lora lo [avesse ritenuto] strettamente necessario anche in considerazione della loro età, i figli minori». Regola del tutto analoga era prevista dal successivo art. 6 co. 9 per la fase decisoria.

5Di questo avviso sono L. FADIGA, Problemi vecchi e nuovi in tema di ascolto del minore, in Minorgiustizia, 2006, fasc. 3,, pp. 138-139; G. CESARO, L’ascolto del minore nella separazione dei genitori: dalle convenzioni internazionali alla legge sul-l’affido condiviso, in Legalità e giustizia, 2006 fasc. 1-2, p. 285; M. BRIENZA, L’ascolto del minore: la prospettiva del giudice, in Legalità e giustizia, 2006 fasc. 1-2, p. 245.

6Tra gli altri L. SANGIOVANNI, L’ascolto del minore nella prospettiva del giudice della separazione e del divorzio. Prassi e pro-spettive, in Legalità e giustizia, 2006 fasc. 1-2, p. 258.

7In questo senso si è espresso F. TOMMASEO(Le nuove norme sull’affidamento condiviso: profili processuali, in Famiglia e di-ritto, 2006 fasc. 4, p. 397): «è da ritenere che l’ascolto del minore sia considerato dal legislatore un momento essen-ziale per la formazione del convincimento del giudice, la cui pretermissione, se non motivata con espresso riferi-mento all’interesse del minore, è causa di nullità del procediriferi-mento». Non è del medesimo avviso B. DEFILIPPIS (Affi-damento condiviso nella separazione e nel divorzio, CEDAM, Padova, 2007; citato in M. BRIENZA, art. cit., p. 245), secondo il quale l’ascolto del minore, pur essendo obbligatorio, se non attuato non comporta tuttavia alcuna nullità.

8E. CECCARELLI, L’ascolto del minore nei procedimenti di separazione e divorzio, in www.minoriefamiglia.it, 2006, p. 1; L. FA

-DIGA, art. cit., p. 138, G. CESARO, art. cit., p. 286. Non è invece dello stesso avviso L. SALVANESCHI(I procedimenti di sepa-razione e divorzio, in Famiglia e diritto, 2006 fasc. 4, pp. 366-367), che considera viceversa l’ascolto come un mezzo di prova.

9P. PAZÉ, L’ascolto del bambino nell’adozione nazionale, in Minorgiustizia, 2001 fasc. 1, p. 55.

10E ciò in una triplice direzione: mediante l’incremento delle ipotesi in cui si fa obbligo al magistrato di ascoltare il minore (art. 4 co. 6 ed art. 22 co. 8); tramite l’abrogazione dell’inciso «salvo che l’audizione non comporti pre-giudizio per il minore» che circoscriveva la possibilità di ascoltare l’infradodicenne prima che venisse disposto il

10E ciò in una triplice direzione: mediante l’incremento delle ipotesi in cui si fa obbligo al magistrato di ascoltare il minore (art. 4 co. 6 ed art. 22 co. 8); tramite l’abrogazione dell’inciso «salvo che l’audizione non comporti pre-giudizio per il minore» che circoscriveva la possibilità di ascoltare l’infradodicenne prima che venisse disposto il