Paradosso come arma letteraria
CAPITOLO SETTIMO
7.4 Il coraggio dei piccoli nel Signore degli Anelli: Frodo Baggins
Sono i piccoli gesti quotidiani di bontà, che tengono a distanza il male dalla vita di una persona o per lo meno lo tengono lontano nelle sue forme più maliziose. Il paradosso dell’anello del potere, che viene affidato a Frodo, invece che a qualcuno dei grandi della sua epoca, è tipicamente chestertoniano, nonché evangelica.
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I. Fernandez, La spiritualità del Signore degli Anelli, trad. it. di M. Patarino, Elledici, Torino 2003, pag. 40.
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101 I grandi, per la loro sapienza, possono corrompersi prima dei piccoli, alla vista del potere. Questo ad esempio è il destino che spetta a Saruman – il capo del consiglio degli stregoni di cui Gandalf fa parte –, che fa all’amico e consigliere di Frodo la proposta di favorire il male, per poi governarlo: «si tratterebbe soltanto di aspettare, di custodire in cuore i nostri pensieri, deplorando forse il male commesso cammin facendo, ma plaudendo all’alta meta prefissa: Sapienza, Governo, Ordine»185. Questo male viene però rifiutato da Gandalf, come da Frodo, perché questi vivono in una realtà che è buona e della quale in qualche modo si sentono responsabili. I legami che loro hanno con il mondo che li circonda, che essi vedono in chiave positiva, piuttosto che come un mare caotico, li rendono più forti nelle loro scelte individuali. Essi sanno, come Chesterton, che la realtà attorno a loro è buona: non tentano perciò di soggiogarla al proprio volere.
Nel momento in cui nel romanzo bisogna decidere che cosa fare dell’anello, le opzioni messe in tavola dal consiglio di saggi delle varie razze della Terra di Mezzo sono diverse: usarlo, oppure nasconderlo, e continuare a combattere. Ma quando, dopo una lunghissima discussione, i grandi sono giunti ad uno stallo, è Frodo Baggins a prendere la parola: «prenderò io l’anello, ma non conosco la strada»186. Questo messaggio di rinuncia al potere, che va direttamente contro tutto quello che una logica di potenza o dominio suggerirebbe, lascia tutti i grandi riuniti attorno al Mezzuomo con un grande senso di meraviglia. Sarà Elrond, il saggio re degli elfi, a dire: «Frodo, se non trovi tu la via, nessun altro la troverà. È giunta l’ora del popolo della Contea, ed esso si leva dai campi silenziosi e tranquilli per scuotere le torri e i consigli dei grandi. Quale dei Saggi l’avrebbe mai predetto? E perché, se sono veramente saggi, avrebbero dovuto pretendere di saperlo prima che scoccasse l’ora?»187.
Il rinunciare al potere, che diventa qui il rinunciare al male, è una scelta personale che Frodo compie, anche in virtù del bene che vede attorno a sé. Si può dire che Frodo compia il suo dovere di buon “uomo”188, nel senso di un creatura responsabile che porta a termine il suo compito. Lo stesso Tolkien sottolinea come quello di Frodo fosse un dovere: «mi sembra ovvio che il dovere di Frodo era ‘umano’, non politico. Naturalmente egli pensava per prima cosa alla Contea, perché lì erano le sue radici, ma la sua impresa
185 J. R. R. Tolkien, Il Signore degli Anelli, pag. 297. 186
Ivi, pag. 309.
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Ibidem.
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A questo proposito, si può confrontare E. Feser, The Last Superstition, St. Augustine’s Press, South Bend 2008. Nel libro, egli fa un interessante excursus dove spiega che un “buon essere umano” è una persona che esprime con successo le facoltà che ha ricevuto in dono dalla natura o dalla virtù. Compito del buon uomo è quindi cercare la verità ed evitare l’errore.
102 aveva come obbiettivo […] la liberazione da una malvagia tirannia di tutti gli ‘umani’, compresi quelli […] che erano ancora schiavi della tirannia»189.
7.4.1 L’aiuto che viene dalla Misericordia
Nella battaglia per il bene che c’è nel nostro mondo non siamo mai soli. Questo è palese in Chesterton, e nei suoi eroi che corrono a destra e a manca per mostrare quanto la realtà sia buona e che l’allontanamento da essa non può portare altro che il male. Questa realtà è buona, perché è ordinata; ed in quanto ordinata, secondo lo scrittore inglese, è palese frutto di una volontà divina. Chesterton lega la sanità dell’essere umano proprio al suo rimanere attaccati alla realtà, mentre la follia è il disancoramento dalla stessa.
Frodo alla fine del libro, fallirà. Nonostante il suo eroismo, i suoi tentativi di resistere al male ad un certo punto verranno meno, e nel momento in cui dovrà distruggere l’anello del potere, egli lo indosserà, diventando invisibile. L’anello verrà quindi distrutto da Gollum, una creatura che un tempo era un Mezzuomo; il quale, corrotto dall’anello prima delle vicende fin qui narrate, ne aveva seguito il portatore fino al vulcano dove l’anello doveva essere gettato. Frodo fa tutto il possibile per salvare il mondo, ma alla fine cede. Ciò che lo salva allora è la Misericordia, poiché Gollum gli strappa l’anello e, nel farlo, cade nella voragine del vulcano. Questa Misericordia non arriva però dal nulla. Tolkien ci spiega, al riguardo, che «esiste la possibilità di essere messi in una posizione al di là delle proprie forze. Nel qual caso (io credo) la salvezza dalla rovina dipenderà da qualcosa di apparentemente slegato: la santità generale (e l’umiltà e la pietà) della persona sacrificale»190. Frodo viene salvato dalla Pietà che egli aveva avuto per Gollum in precedenza, ordinando che non venisse ucciso, nonostante avesse tentato di prendergli l’anello.
Quest’idea della Misericordia che salva le persone, si può intravvedere nei racconti di Chesterton, e compare specialmente nelle tematiche delle Avventure di Uomo Vivo, dove è rappresentata dalla pistola di Innocenzo Smith. L’azione della Misericordia è quella di intervenire a salvare l’uomo nei momenti in cui da solo non ce la può più fare, e la conseguenza sarebbe la sua morte definitiva. La salvezza però giunge solo con il sacrificio della vita precedente, che bisogna lasciar andare. La differenza tra i due scrittori sta nel fatto che, per i personaggi di Chesterton, lasciar andare la vita precedente è come svegliarsi da un sogno in cui essi erano come intorpiditi; mentre, per i personaggi di Tolkien, comporta l’abbandono a qualche cosa di più grande di loro: l’iniziativa del principio primo del bene, piuttosto che la ricerca di un’illuminazione. Dirà
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J. R. R. Tolkien, Lettere 1914/1973, pag. 382.
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103 infatti Frodo, nel momento di lasciare il suo grande amico Sam, alla fine del libro: «sono stato ferito troppo profondamente, Sam. Ho tentato di salvare la Contea, ed è stata salvata, ma non per merito mio. Accade sovente così, Sam, quando le cose sono in pericolo: qualcuno deve rinunciare, perderle, affinché altri possano conservarle»191.
Frodo è uno sconfitto, nei fatti; ma non perché non sapesse quale fosse il bene. Tutta la sua vita, infatti e le azioni precedenti alla sua sconfitta, erano state volte verso quel bene. È l’umiltà ad averlo salvato: la stessa umiltà di chi guarda il mondo con meraviglia e capisce di essere solo una piccola parte di esso. Chesterton compare indirettamente nelle pagine di Tolkien, ed è lo stesso scrittore a indicare come si manifesti questa presenza: «viviamo in un mondo terribile, oscurato dalla paura, oppresso dal dolore […]. Chesterton una volta disse che è nostro dovere tenere alta la bandiera di Questo Mondo: ma per farlo, ora serve un patriottismo più risoluto e sublime di allora. Gandalf ha aggiunto che non sta a noi scegliere i tempi in cui nasciamo, ma che dobbiamo fare il possibile per ripararne i mali»192.
Più cupo forse di Chesterton, Tolkien ha però saputo offrirci una narrativa che ha scosso e fatto innamorare milioni di lettori in tutto il mondo. Un buon combattimento per tenere alta quella bandiera di cui aveva parlato Chesterton.