• Non ci sono risultati.

Paradosso come arma letteraria

CAPITOLO SESTO

6.1 L’Uomo Vivo come un vento che cambia l’aria

Il romanzo di cui stiamo per parlare inizia con un vento che viene descritto come: «un’onda di irragionevole felicità, [che] si slanciò verso oriente sull’Inghilterra, portando seco il nevoso aroma delle foreste e la gelida ubriachezza del mare. In mille buchi e cantucci ristorò la gente come un boccale di vin fresco e la sorprese come una percossa. […] E dappertutto suscitò drammi in esistenze senza dramma, e suonò come le trombe della crisi sul mondo»118. Lo stesso libro fu, per chi scrive, un vento del genere.

Mentre consumavo gli anni del percorso di laurea triennale nello studio delle opere di Emanuele Severino e di Umberto Galimberti, avevo cominciato ad adottare un modo di vedere il mondo fortemente influenzato dalla loro prospettiva. Il tempo stava diventando per me il tempo ciclico, o meglio il tempo astorico della civiltà greca, quello che per il singolo è «destino irreversibile che non ritorna» mentre per l’umanità è: «ritmo ciclico, che non prevede quel passato e quel futuro che noi conosciamo come scansioni della storia»119. Ero del tutto affascinato da quest’idea che l’uomo sparisse, che la vita del singolo si dissolvesse nella ciclicità del tempo e dall’idea del poeta greco che «canta per descrivere l’ordine divino che è prima del tempo, per strappare la memoria degli eroi alla dissolvenza del tempo e per riprodurre in terra le regole rituali in cui si riflette l’ordine che il tempo non scalfisce»120. Nel mondo che mi veniva descritto, l’umanità “perdeva la sua storia” in favore di questo grande nemico che era il tempo. Era riservata però ai grandi veggenti, ai poeti, la possibilità di farci rivivere i ricordi di chi se ne era andato. Il problema della morte, nella prospettiva tracciata da questi autori, deve essere considerato in una prospettiva superiore a quella dell’individuo. L’umanità secondo Galimberti si muove in maniera ciclica; come la storia ci dimostra, infatti, ogni civiltà e associazione umana vede un epoca di sviluppo, una di fioritura, una di stagnazione per poi infine arrivare alla decadenza e alla morte.

Se è vero che le dediche nei libri indicano qualche cosa dell’autore e di quello che sarà il percorso del libro stesso, è significativo che la dedica di Psiche e Techne, sia proprio a Emanuele Severino «che, nel nostro

118 G. K. Chesterton, Le avventure di un Uomo Vivo, trad. it. di Emilio Cecchi, Club degli Editori, Milano 1974, pag. 5. 119

U. Galimberti, Psiche e Techne, pag. 503.

120

65 tempo, ha pensato nel modo più radicale il problema della tecnica»121. L’immagine di questo poeta greco che strappa alla ciclicità del tempo le vite dei singoli, facendole permanere nel tempo sotto forma di ricordi, mi aveva convinto di molte cose.

Per il protagonista Uomo Vivo, Innocenzo Smith, la vera illusione è quella invece di un destino ineluttabile. Dopo essere entrato nel giardino di “Casa Beacon”, il piccolo albergo dove alcuni giovani passano le loro giornate a Londra, il giovane mette in subbuglio le vite degli abitanti della casa, addomesticati da quella che è la monotona vita della media borghesia inglese, che è fatta di rituali: siano essi il bere, le conversazioni monotone, il fare sport in maniera oziosa o anche solo il parlare di ferie come unica salvezza della propria esistenza. Ciò che Innocenzo porta agli ospiti della casa, è la consapevolezza che il mondo dove vivono è un luogo dove non vi sia spazio per alcuna novità: egli comincia a suggerir loro che il loro mondo è un luogo d’incanto. Dice Michele Moon ad Inglewood, dopo che Smith li ha portati a fare uno spuntino sul tetto del piccolo albergo: «È come se egli potesse entrare, quando vuole, in una specie di paese delle fate, soltanto uscendo un passo fuor della via maestra. Chi ci avrebbe pensato a questa botola? E chi ci avrebbe mai pensato che questo vinaccio potesse diventare eccellente, bevuto qui fra gli abbaini? Forse è questa la vera vita del paese delle fate. E le disgustose sigarette di Mosé Gould, probabilmente, bisognerebbe fumarle stando sui trampoli, o qualcosa del genere»122.

Innocenzo non si estranea dal suo mondo, né si estraniano dal mondo coloro che sono toccati dalla sua visione. Ciò che invece estrania dal mondo è proprio l’«uscire dai limiti della finitezza, innalzandosi, al di sopra del nulla, nel divino e nell’eterno, nell’infinito»123. La rivelazione che invece propone Chesterton dalle pagine di Uomo Vivo è quella dell’entusiasmo per il gettarsi nei propri panni, non si tratta di illudersi o raccontarsi delle favole: ma di scoprire che il mondo non è una prigione semantica o sensoriale. Severino sposa la tesi che sia il pianto a rasserenare l’uomo dallo sconforto. Chesterton ci fa vedere che ciò che solleva dallo sconforto può essere anche un banale vino bianco alla spina, se viene accompagnato da una gioiosa compagnia.

121 U. Galimberti, Psiche e Techne, pag. 5. 122

G. K. Chesterton, Le avventure di un Uomo Vivo, pag.37.

123

66 6.2 Casa Beacon e la ritrovata vitalità dei suoi abitanti

Dopo l’arrivo di Innocenzo, gli ospiti della casa sembrano tutti presi da un’inesauribile energia e voglia di approfondire tutti quegli aspetti monotoni della loro vita che prima non gli era mai capitato di prendere in considerazione.

Innocenzo si mette in maniera metodica ad esplorare tutte le manie e le piccole caratteristiche del carattere di ciascuno degli abitanti della casa, facendole diventare una sorta di istituzione per tutti gli altri: le canzonette di Rosamunda vengono prese in considerazione allo stesso modo in cui si prende in considerazione l’opera lirica, le battute di Michele diventano colonne portanti di una rivista e persino il pessimista Inglewood comincia a guardare alla sua passione per la fotografia come le sue foto potessero essere esposte al Guggenheim o alla National Gallery. Innocenzo sta pian piano cercando di mostrare agli abitanti della casa quali siano le loro caratteristiche; cerca soprattutto di prendere quelle caratteristiche e tramutarle in un segno distintivo della presenza di ciascuno nel mondo, tanto da cominciare a suscitare delle vere e proprie emozioni negli abitanti della casa. Queste emozioni e l’improvvisa gioia ed allegria che essi provano, corrisponde al loro rendersi conto di essere vivi, e che la loro esistenza può essere fonte di gioia.

La ritrovata vitalità degli abitanti di casa Beacon nasce come una piccola rivoluzione di prospettiva sulle faccende delle quali essi si preoccupavano. Questa nuova visione della vita li mette davanti alla possibilità di capire che in loro c’è già tutto quello di cui hanno bisogno, che i loro comportamenti, per quanto bizzarri, li rendono le persone che sono. Questo è in aperta contraddizione con ogni prospettiva necessitarista, secondo la quale, gli inquilini dell’ostello non potrebbero essere padroni delle proprie scelte, in quanto la loro “libertà” di cambiare opinione rispetto a loro stessi, andrebbe contro la “verità”, intesa «come Ordinamento immutabile a cui è sottoposto l’essere diveniente – la “verità” come Unità e cioè come Connessione necessaria che lega tra loro gli stati e gli aspetti della realtà»124. Seguendo le parole di Innocenzo Smith, vogliamo forse credere che non sia tutto oro quello che luccica di fronte agli occhi della nostra esperienza? «Tutto è oro quel che riluce, specie adesso che ci siamo costituiti in Stato Sovrano. A che cosa servirebbe d’essere Stato Sovrano, se non si potessero neanche stabilire ad arbitrio i valori sovrani? Tutto possiamo far diventare metallo prezioso, come già fecero gli uomini nell’infanzia del mondo. I quali non scelsero l’oro per la sua rarità, giacché i vostri scienziati possono indicarci venti specie di

124

67 fanghiglie molto più rare. Lo scelsero per la sua lucentezza; perché era cosa difficile sì a trovare, ma bellissima una volta trovata»125.

6.2.1 I dettagli che l’uomo può far diventare più preziosi dell’oro

In una prospettiva necessitarista, non ha senso il “fare”, perché il destino di tutte le cose è quello di “essere”. Tale prospettiva toglie senso all’esperienza umana e neppure può essere coerentemente fatta oggetto di insegnamento. Ciò che Innocenzo grida, invece, è che il fare può esistere. Una volta trovata una cosa difficile da trovare, si può farla diventare una cosa importante.

La poesia, ad esempio, cita un mucchio di piccoli dettagli che, se guardati bene, rendono l’idea di quanto l’uomo sia in un certo qual modo votato a trasformare i piccoli dettagli della sua vita in esperienze fondamentali.

Citerò, per far capire di che cosa parlo, due autori peraltro lontani dalla visione di Chesterton e dei suoi predecessori ideali. Frank O’Hara, poeta e artista newyorkese, scrive in una delle poesie più famose del XX secolo, Having a coke with you, a proposito di bere una coca cola la persona che ama: «Bere una coca con te, è molto più divertente che andare a San Sebastian, Irùn, Hendaye, Biarritz, Bayonne / o avere mal di stomaco sulla Traversera de Gracia a Barcellona»126. Davanti ad un’esperienza che cambia la vita, anche bere una coca cola con una persona può essere preferibile al visitare luoghi che attraggono milioni di turisti ogni anno. Questo perché la possibilità di trovare qualcosa di prezioso, in questo caso una persona, riesce a trasformare le cose insignificanti in realtà grandiose.

Un caso analogo si può trovare in Georg Trakl, il giovane poeta austroungarico morto durante la prima guerra mondiale. Questi descrive vividissime scene di guerra, in preda alla disperazione più nera. I suoi scritti rimarcano però un grandioso amore per la vita, che si riflette nella disperazione per la morte delle persone attorno a lui, nel grido dei bambini che mai nasceranno da tutti quei ragazzi costretti a morire. Questi dettagli che cambiano la nostra prospettiva, assumono un nuovo significato quando riusciamo ad incastrarli nella nostra esperienza. Ciò che viene visto come un senso di narcosi nella nostra vita quotidiana: lo svegliarsi per andare al lavoro, prendendo sempre la stessa strada, mangiando sempre le stesse cose e vedendo sempre le stesse persone è effettivamente qualche cosa che ha a che fare con il sonno. Questa

125

G. K. Chesterton, Le avventure di un Uomo Vivo, pag. 51.

126 “Having a Coke with You is even more fun than going to San Sebastian, Irún, Hendaye, Biarritz, Bayonne or being

sick to my stomach on the Travesera de Gracia in Barcelona” F. O’Hara, The collected poems of Frank O’Hara, Penguin LCC, London, 1999; pag 27. Trad. it. Mia.

68 narcosi viene ben individuata da Arturo Inglewood quando grida, di fronte a Diana Duke: «ci deve essere qualcosa a cui svegliarsi! I nostri atti non sono che preparativi: preparativi la vostra accuratezza, la mia Igiene, e le ricerche scientifiche di Warner. Ci prepariamo sempre per qualcosa, qualcosa che non vien mai. Io do aria alla casa, voi spazzate la casa; ma che cosa dovrà mai dunque succedere alla casa?»127. Per Chesterton questi ragionamenti di Inglewood preparano l’uomo al suo svegliarsi: tutto questo movimento di vite infatti è davvero in attesa di qualcosa. Tutte le vite umane cercano di trovare un senso alla loro esistenza, e quando non lo trovano, producono i risultati sconcertanti del suicidio o della depressione.