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CAPITOLO QUARTO

4.1 Fisionomia del pazzo

Chesterton scriverà nelle prime righe di Ortodossia di aver avuto un dialogo con un editore londinese durante una passeggiata. Questo editore stava elogiando quella che pensava fosse la virtù cardinale di ogni essere umano, cioè: il credere in sé stessi. Credere in noi stessi è appunto un fattore molto importante per la riuscita di un qualsiasi progetto, a partire da una tesi di laurea; ma credere troppo in se stessi? Quello è ben altro discorso. Chesterton stesso si troverà a rispondere all’editore, mentre la passeggiata li portava vicino ad una casa di cura per malati mentali: «Vuoi sapere – chiesi – dove sono gli uomini che credono più in sé stessi? Te lo dico subito. Conosco uomini che hanno più di Napoleone e di Cesare una fiducia colossale in se stessi. So dove splende la stella fissa della certezza e del successo. Posso guidarti fino ai troni dei superuomini. Gli uomini che credono veramente in se stessi sono tutti nei manicomi. […] Se tu consultassi la tua esperienza di affari, invece della tua cattiva filosofia individualistica, vedresti che il credere in se stesso è una delle caratteristiche più comuni degli imbecilli»64. Le ubriacature dell’astrazione portano l’uomo a credere più in una visione di se stesso che nella realtà circostante; il problema di certuni, è che la loro visione è talmente allucinante da portarli anche a salire sulle cattedre per seminare a destra e a manca la loro follia.

Se prendessimo come esempio la maggior parte degli uomini che vengono stimati come figure storiche, o gli stessi santi, ci troveremmo di fronte a delle persone che hanno sempre sostenuto un punto di partenza molto pragmatico nella loro vita. Ne sono un esempio la pacificazione nella Germania voluta da Konrad Adenauer, quando sostenne che per ricostruire la sua nazione, avrebbe avuto bisogno anche dell’acqua sporca che proveniva dall’esperienza nazista, come ne fu un grande esempio Nelson Mandela, quando decise di appoggiare gli Springboks nel mondiale di rugby contro il parere del suo intero partito. Il dato profondo che lega questi uomini è la loro conoscenza dell’animo umano e di quanto la sua fallibilità possa portare a enormi sofferenze. Quello che si vuol negare ai giorni nostri, o che alcuni filosofi vorrebbero negare, è che nell’umano ci sia qualche cosa di imperfetto, o più specificatamente che ci sia qualche cosa di imperfetto in loro.

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36 Il problema delle mode intellettuali dell’ultimo secolo sta per Chesterton in questo: «come una volta ogni pensiero e teoria si giudicava in quanto ne dipendesse la salute dell’anima, così ogni pensiero o teoria moderna può giudicarsi in quando corrisponda o meno ad uno stato di sanità dello spirito»65. Certo, la pazzia per qualcuno può essere il pensare che la gente creda che le cose possano diventare qualcosa a partire dal nulla, oppure che possano scomparire nel nulla. La perfetta e poetica eternità di un mondo perfettamente immobile può apparire, così, bella solo a chi è immune da ogni possibilità di vedere qualcos’altro. La pazzia è così perfetta, plausibile e bella proprio perché per il pazzo quella è la realtà. Dice ancora lo scrittore inglese a proposito dei pazzi: «un uomo che crede di essere un galletto, è come se fosse davvero un galletto. Uno che crede di essere un pezzo di vetro, è stupido come un pezzo di vetro. La coerenza del suo spirito è quella che lo rende stupido e pazzo allo stesso tempo»66.

A differenza dei pazzi, le persone normali hanno la percezione che la vita scorra e si debba in qualche modo viverla invece che contemplarla. Sono le stesse storie di questi personaggi che, anche se cattivi, hanno meravigliato il mondo nel teatro di Shakespeare: prendiamo ad esempio Falstaff. Ne dirà Charles Moeller: «è un ignobile individuo: menzognero come un guascone, millantatore, spadaccino, ladro, dissoluto, frequentatore di ambienti malfamati, e tutto questo si potrebbe ancora perdonare. […] È una specie di don Chisciotte ripassato col bitume. […] Noi perdoniamo a Falstaff e non sentiamo dinnanzi a lui l’orrore che suscitano in noi Jago e Macbeth, solo perché il cavaliere panciuto pecca per debolezza, e non è solidale col suo peccato: egli conserva la coscienza confusa, ma profonda, di essere un “tristo sire”»67. Questi personaggi possono certo fare orrore a chi si è ubriacato di una certa idea di Grecia, cioè quell’atticismo ateo, il quale pretende di eliminare tutte le altre radici dell’Europa che non siano basate sul puro iper razionalismo; ma non fanno certo orrore al senso della gente normale che riconosce in loro una cosa che i pazzi non conoscono: la debolezza.

Noi amiamo una storia che vede un personaggio comune affrontare un’avventura non comune, perché in quella storia vediamo una cosa che può succedere anche a noi. Ci immedesimiamo in un personaggio, o diciamo che questo è particolarmente ben riuscito, perché egli si mostra debole. Nella taverna del male avviluppata nel pensiero severiniano, si dice che queste visioni sono: «l’alienazione della ragione [che] implica un senso alienato del divenire»68. Questo perché chiaramente chi si arrocca nelle deduzioni logiche ritiene che l’immaginazione e le storie siano elementi pericolosi per l’equilibrio mentale di un individuo, mentre abbiamo notizia che i più grandi poeti e uomini d’immaginazione erano anche persone molto

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G. K. Chesterton, Ortodossia, pag. 23.

66 Ivi. 67

C. Moeller, Saggezza greca e paradosso cristiano, trad. it. di N. Berther, Morcelliana, Brescia 2013, pag. 112.

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37 pratiche: Dante fu politico oltre che cavaliere, Shakespeare aveva fama di essere un bravissimo stalliere, Walt Whitman si occupava di tipografia e lavorava in un ufficio paghe. «Non è l’immaginazione che produce la pazzia; è la ragione. I giuocatori di scacchi diventano pazzi, non i poeti; i matematici, i cassieri possono diventar pazzi; non gli artisti che creano. Con ciò non intendo, come si vedrà, prendere a bersaglio la logica; dico che il pericolo è piuttosto nella logica che nell’immaginazione»69 - spiega Chesterton.

La ragione vuole porre dei confini in una realtà che confini non ne ha, perché ci troviamo sempre nella necessità di rielaborare e ridefinire per il meglio ciò che sappiamo. Quando la ragione fa questo, mette dei confini teorici in un mondo reale che non sempre è in grado di sopportarli. La ragione così si esaurisce, ed esaurisce chi la pratica per cercare questo tipo di scappatoie alla vastità del reale: «il logico cerca di rinchiudere il cielo nella sua testa; e la sua testa scoppia»70.

La logica svincolata dalla realtà fa vivere le persone alla stessa maniera dei pazzi. Questi uomini e donne non riescono a guardare la realtà se non con gli occhi di un paranoico: ogni cosa di cui sono testimoni, sia esso un avvenimento come l’abbattimento di un edificio oppure una loro visione, si muove forzatamente secondo l’ordine prestabilito dalla loro mente. Quest’ordine è un’imposizione del loro ragionare sulla realtà, al quale devono ricorrere ogni volta che incontrano un argomento che non rientra negli schemi precostituiti dalle loro idee. Ogni argomento o fatto che accade loro, per quanto vivido e reale, non verrà quindi registrato come una controprova al loro ragionare svincolato dalla realtà, ma verrà minimizzato, oppure, nel caso in cui minimizzarlo non fosse possibile, verrà preso e rimodellato per entrare nello schema logico a cui queste persone hanno deciso di fare affidamento.

Per il nostro autore: «Il pazzo non è già l’uomo che ha perduto la ragione, ma l’uomo che ha perduto tutto fuorché la ragione»71, e per questo motivo vede il mondo come in preda a un incantesimo che ci impedisce di comprenderlo pienamente.