CAPITOLO TERZO
3.2 A proposito della ragione impazzita e di cosa mangiano le mucche
John Henry Newman, parlando delle questioni nelle quali la ragione può legittimamente intervenire, faceva presente che essa deve operare partendo dalle cose di cui si ha esperienza. La ragione è uno strumento utile quando, senza pretendere di sostituirsi alla percezione, ne integra la funzione. I paradossi di una ragione che non tiene conto dei sensi, o dei sensi che non tengono conto della ragione, sono piuttosto ilari: nessuna persona dotata di amor proprio getterebbe della pastasciutta in una pentola d’acqua nella quale non ci sono ancora le bolle, perché convinta scientificamente che ha raggiunto i 100°.
La condizione di chi fa lavorare la ragione prescindendo dall’evidenza sensibile, è paragonabile a quella della cecità. La cecità rispetto alla ragione e al buon senso è quella di chi ragiona semplicemente in base ad argomentazioni astratte, quali quelle di coloro – per fare un esempio volutamente estremo – che vi dicono di uccidere vostra madre non appena questa vada in pensione, perché sarebbe un costo per lo stato mantenerla; o quelli che, sostengono, magari in un aula universitaria, che la crescita del volontariato sociale
44 J.H. Newman, Quindici Sermoni predicati all’Università di Oxford fra il 1826 e il 1843, contenuto in Scritti Filosofici,
trad. it. di M. Marchetto, Bompiani, Milano 2005, pag. 51.
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E. Severino, Essenza del Nichilismo, Adelphi, Milano 2010, pag. 19.
28 è sintomo di decadenza di uno Stato. Affermazioni simili, anche se fossero condite da un linguaggio colto e raffinato, resterebbero testimonianza di una cecità morale. Newman fa l’esempio del cieco che ragiona sui problemi di ottica, ma parla anche di maestri che sono ciechi in ambito morale. «Sfortunatamente il maestro cieco in fatto di morale può assicurarsi un uditorio cieco, al quale può tranquillamente rivolgere i propri paradossi, che a volte sono accettati anche da persone religiose, in virtù di quelle felici congetture, avanzate di tanto in tanto dalla sua acuta ragione, che esse possono verificare»47. Questa cecità è
inevitabilmente data dalla scarsa o quasi assente capacità di stare al mondo se non dentro un ufficio o un appartamento, senza aver mai preso in mano un rastrello o aver dovuto armeggiare con le prese elettriche in casa propria. Cresciuti in ambienti lontani da tutto ciò che fosse una conoscenza pragmatica di quello che avevano attorno, alcuni uomini hanno sviluppato una fortissima capacità teorico analitica ma hanno perso il contatto con la realtà. Newman, in proposito, dice che gli «uomini che conoscono soltanto poco, proprio per questa ragione sono per lo più sotto il potere dell’immaginazione, che colma per loro a piacimento quegli ambiti della conoscenza ai quali essi sono estranei; e, poiché l’ignoranza delle menti abiette indietreggia davanti agli spettri che vi coltiva, l’ignoranza del presuntuoso è ignorante e piena di sé»48. Newman sa bene che le sofisticazioni della mente producono degli inganni: la logica, costruisce percorsi razionali ineccepibili, ma spesso richiede che le vengano concesse delle premesse totalmente arbitrarie. Il modo di procedere della logica, se non se ne curano le premesse, arriva a schiacciare quella che è la realtà effettiva, per piegarla alle proprie regole. Le teorie che vengono così costruite, non sono altro che opinioni su un determinato argomento, per le quali facciamo ben poca autocritica. Come Newman afferma: «talvolta prendiamo per principio primo la fiducia che accordiamo alle nostre capacità di ragionare e ricordare, ossia l’assenso implicito che diamo all’ipotesi che queste nostre capacità ci dicano la verità; in realtà non si può dire che ci fidiamo di loro come delle capacità vere e proprie. Al massimo ci affidiamo ad atti particolari di memoria e di ragionamento»49.
Fidarsi del ragionamento è chiaramente una cosa giusta, ma bisogna che il ragionamento sia fondato su delle buone premesse. La differenza fra un ragionamento basato su delle buone premesse e uno che invece non è basato su buone premesse, è facilmente riscontrabile. Posso credere che il mio vicino di casa, il quale da dieci anni torna nella propria abitazione ogni sera alle 19:55, e ogni sera accende la luce del salotto alle 20:00, abbia avuto un incidente perché alle 20:30 la luce non si vede ancora dalla finestra del suo salotto. Totalmente diverso sarebbe invece credere che il mio vicino di casa, di cui non conosco gli orari, abbia avuto un incidente perché alle 20:30 la luce del suo salotto non è ancora accesa. L’esperienza è importantissima per il ragionamento, perché gli fornisce dei dati su cui basarsi: gli fornisce la solidità del reale. L’apertura all’esperienza consente di capire il funzionamento del mondo attorno a noi; il confronto
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J.H. Newman, Quindici Sermoni predicati all’Università di Oxford fra il 1826 e il 1843, pag. 143.
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Ibidem, pag. 151.
29 con esperienze differenti dalla nostra ci mostreranno che non siamo onniscienti e che dobbiamo sempre rimescolare le carte in tavola, se vogliamo arrivare alla verità.
Sull’importanza della concretezza nella capacità di apprendere, o in generale nella capacità di padroneggiare un argomento, citerò quindi l’esempio del bambino che chiede che cosa sia l’erba medica, esempio che si trova nelle prime pagine della Grammatica dell’Assenso50:
Supponiamo che un bambino chieda «Cos’è l’erba medica?», che gli rispondano che «L’erba medica è la Medicago sativa, della classe dei diadelfi e dell’ordine dei decandri» e che lui obbediente, ripeta «L’erba medica è la Medicago sativa, ecc.». Bene, questo bambino non compie nessun atto di assenso alla proposizione che pure enuncia; parla come un pappagallo. Se invece gli dicono che «L’erba medica è il foraggio per il bestiame» e gli fanno vedere le mucche al pascolo nel prato, allora, anche se non ha mai visto l’erba medica e non ne sa niente di più di quello che ha imparato dal predicato, il bambino è perfettamente in grado, basandosi sulla parola del suo informatore, di dare alla proposizione «L’erba medica è il foraggio per il bestiame» un assenso non meno genuino di quello che darebbe se sapesse tutto dell’erba medica.
L’importanza dei dettagli, del “mettere le mani in pasta” quando si affronta un qualsiasi argomento, è molto simile all’importanza che i bambini danno alle loro domande. Non vedrete un bambino chiedere che cosa sia un drago, o se questo esista, per aprire una discussione sulla valenza mitologica della figura del drago: il bambino vi chiederà dei draghi perché voi lo rassicuriate che non ne arrivi uno per mangiarlo. I concetti più semplici possono servire a costruire discorsi ben più ampi: il bambino che chiedeva che cosa fosse l’erba medica si troverà ora in grado di costruire delle frasi e dei discorsi riguardo al cibo delle mucche e al tipo di lavoro che bisogna fare per far crescere il cibo per questi animali. Ciò che manca in molti casi è proprio la conoscenza diretta di questi elementi.