Paradosso come arma letteraria
CAPITOLO SESTO
6.7 La reazione contro la morte interiore causata da una certa filosofia.
La cosa che più aveva colpito Innocenzo era che ci fosse gente così morta dentro, da non aver nemmeno paura della morte. Lo colpiva di queste persone il fatto che «non avevano sangue abbastanza nemmeno per essere codardi. Finché non si metteva loro sotto il naso la canna d’una pistola, non si rendevano nemmeno conto di essere nati»152. Nel passato, probabilmente, la vita consisteva più o meno nell’imparare a morire. In un mondo come ad esempio quello medievale, con un altissima mortalità infantile o con così tante possibilità di ammalarsi, la vita terrena aveva dei continui rimandi alla morte, alla quale bisognava prepararsi.
La morte interiore, questo non essere reattivi nei confronti della grande quantità di stimoli che vengono dal mondo che ci circonda, costantemente ed in ogni direzione, è dovuta ad una certa “vaghezza” che è tipica del nostro tempo. Questa “vaghezza” deriva principalmente al fatto che, mentre per secoli i pensatori discutevano e argomentavano su quale fosse il punto di appoggio del mondo, quest’oggi si parla invece di direzioni da prendere. Si può dire che “non bisogna mangiare altri esseri umani”, e questo è enunciare un punto fermo, un limite ed un confine: una dottrina. Chi invece segue una direzione si perde nella “vaghezza” della società e della vita liquide. Dire: “si dovrebbe mangiare sano” porta invece a infinite disquisizioni su che cosa sia il cibo salubre, oppure se la dieta di uno sportivo possa essere adeguata a quella di chi sta seduto in ufficio. Questa vaghezza impone l’impossibilità di costruire delle certezze sulle quali appoggiarsi.
Non è un caso che questo tipo di confini siano aboliti nei vari casi dei pensatori moderni. Chi cerca di decostruire, come ad esempio si fa seguendo un atteggiamento decostruzionista, il quale non si appoggia da nessuna parte, ma prende in analisi un fenomeno, lo scompone in tanti argomenti, tanto che alla fine del fenomeno di per sé non rimane nulla: il decostruzionista smonta la sveglia, ma poi si rende conto che non è più in grado di rimontarla.
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G. K. Chesterton, Le avventure di un Uomo Vivo, pag. 175.
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80 Questa vaghezza è proprio la cosa che ha condannato e condanna gli uomini a svanire come in una nebbia fatta di vaghe indicazioni, dove tutto ad un certo punto sembra uguale. Se questo genere di filosofia vede l’uomo disperso oppure preda della tecnica, questo si deve al fatto che i confini vengano eliminati.
Quando invece poniamo dei confini solidi nel nostro mondo, riusciamo a creare dei sodalizi anche fra persone che a prima vista professano cose completamente diverse. È certo, per esempio, che nonostante la dittatura comunista, nei Balcani sopravvivessero ancora dei nostalgici dell’Impero austroungarico assieme ai comunisti. Non è raro trovare in alcune osterie slovene, ed anche in qualche casa contadina del goriziano, un quadro che rappresenta Tito accanto a quella che rappresenta Francesco Giuseppe. Un comunista ed un sostenitore dell’Impero austroungarico non avevano niente in comune, ma credevano entrambi che ci dovesse essere una guida per i loro popoli, che impedisse lo scorrere di sangue che per tanti secoli aveva funestato quelle terre.
La morte interiore che viene predicata da queste filosofie, che puntano a decostruire o a costruire in astratto, si basa sul fatto che, al contrario dei monarchici e dei comunisti che vivevano in Slovenia,alcuni filosofi contemporanei non fanno mai a scazzottate. Le posizioni della moderna vaghezza impongono che gli uomini non si incontrino mai per discutere, ma che si evitino accuratamente.
Il confine mostra qualche cosa che all’uomo che lo evita accuratamente viene invece nascosto. Non sembrano esserci dei moderni Tadeo Isidoro Cruz. Questi è il protagonista di un racconto scritto da Jorge Luis Borges. Cruz viene arruolato a forza nell’esercito dopo aver compiuto un assassinio e, quando si trova a dover combattere un criminale scopre che questi è come lui. «Questi (il capitano Cruz N.d.R.), mentre combatteva nell’oscurità, cominciò a comprendere. Comprese che un destino non è migliore di un altro, ma che ogni uomo deve compiere quello che porta in sé. Comprese che le spalline e l’uniforme ormai lo impacciavano. Comprese il suo intimo destino di lupo, non di cane da gregge; comprese che l’altro era lui. Faceva giorno nella sterminata pianura; Cruz gettò in terra il berretto, gridò che non avrebbe permesso il delitto che fosse ucciso un coraggioso e si mise a combattere contro i soldati a fianco del disertore Martin Fierro»153. Nell’annullamento dei confini vissuto nell’esercito, dove la sua vita era diventata tutt’una con il gruppo di soldati al quale era stato assegnato, Tadeo Cruz riconquista la propria identità combattendo contro un criminale che si stava battendo come un leone quanto lui.
L’uomo che viaggia nel buio, ad un certo punto prende la sua decisione tramutando la notte in giorno: unico modo per prendere davvero una decisione di qualche tipo. Lo scontro lo illumina ed egli passa dall’altra parte della barricata. Il comandante argentino scopre attraverso un confine ostile che egli aveva una sua identità e quindi un motivo per vivere o morire. Il buio che lo circondava era un po’ come il buio della vaghezza che gli dava qualche indicazione per rimanere vivo su questa terra, ma non lo sosteneva
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81 certo nella sua voglia e necessità di riprendere il controllo di se stesso e della propria vita. Solo durante il giorno, con una luce ben piantata sopra la testa, avrebbe potuto prendere un qualche tipo di decisione su quello che sarebbe stato giusto fare.