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CORNELIS SAFTLEVEN E L’ALLEGORIA DEL PROCESSO

1. Immagini ed esperienza giuridica

Le immagini hanno la capacità di comunicare poeticamente, con il pro- digio dell’immediatezza, sensi, sentimenti e valori, di raffi gurare simboli- camente – per il tramite di illusioni bidimensionali – il signifi cato eterno dell’esperienza, compresa quella giuridica.

Ne costituisce un esempio straordinario, che genera meraviglia e incan- to, il dipinto di Cornelis Saftleven, Allegoria del processo a Johan van

Oldenbarnevelt, del 1663, noto anche con il titolo di Trucidata innocentia,

nel quale è rappresentato il processo, celebrato nel 1619, ad uno dei più grandi statisti olandesi.

Per poterlo comprendere nella sua potenza terribile e spietata, occorre però una breve digressione storica sugli attori di questo dramma.

2. Ascesa e caduta di Oldenbarnevelt

Il protagonista della scena è Johan van Oldenbarnevelt, che a partire dal 1586 era divenuto Avvocato generale (Landsadvocaat) presso gli Sta- ti d’Olanda, la nazione più fi orente della Repubblica delle sette Province Unite dei Paesi Bassi2. Questo incarico politico, in seguito rinominato Gran

1 Ringrazio la dott.ssa Tania De Nile, Ph.D. Sapienza Università di Roma e Univer- sità di Leiden, per avermi fatto conoscere il dipinto di Saftleven e per le profi cue conversazioni che hanno indirizzato le mie ricerche.

2 Sulla vita di Johan van Oldenbarnevelt, v. J.L. Motley, The Life and Death of John of Barneveld, advocate of Holland, 2 voll., Nijhoff, Den Haag 1874; G. Groen van Prinsterer, Maurice et Barnevelt, Kemink et fi ls, Utrecht 1875; W.G. Brill, De Heer van Oldenbarnevelt en Prins Maurits van Nassau, Brill, Leiden 1876; J. den Tex, Oldenbarnevelt, trad. inglese di R.B. Powell, 2 voll., Cambridge University Press, Cambridge 1973; G.H. Janssen, Het stokje van Oldenbarnevelt, Verloren, Hilversum 2001.

Pensionario (Raadpensionaris) e che Oldenbarnevelt mantenne per 32 anni fi no alla sua tragica morte, gli assicurò una signifi cativa infl uenza nel go- verno dell’Unione, che non era dotata di un vero e proprio potere esecutivo centrale.

La Repubblica dei Paesi Bassi, sorta a seguito dell’Unione di Utrecht del 1579, aveva infatti un’architettura costituzionale non a caso defi nita enig- matica3: da un lato, vi erano le sette Province, fra di loro federate, prive di

proprie milizie, ma ciascuna sovrana e indipendente nel proprio territorio;

3 In tal senso, v. M. Prak, The Dutch Republic in the Seventeenth Century. The Gol- den Age, trad. inglese di D. Webb, Cambridge University Press, Cambridge 2005, pp. 1-45; sull’articolata forma di governo dei Paesi Bassi all’epoca, v. inoltre J.L. Price, Holland and the Dutch Republic in the Seventeenth Century, Clarendon Press, Oxford 1994; H.G. Koenigsberger, Monarchies, States Generals and Par- liaments. The Netherlands in Fifteenth and the Sixteenth Centuries, Cambridge University Press, Cambridge 2001, pp. 311-321; A. Clerici, Prove generali di federalismo moderno: la Repubblica delle Province Unite dei Paesi Bassi (1579- 1654), in «http://rivista.ssef.it», 2010, parr. 1-7.

Fig. 1 Cornelis Saftleven, Satire op de berechting van Johan van Oldenbarnevelt, 1663, olio su tela, Amsterdam, Rijksmuseum.

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e, dall’altro, l’Unione, a cui erano affi dati principalmente compiti di difesa e di politica estera, che controllava direttamente l’esercito ed il cui organo principale era l’assemblea degli Stati Generali, che si riuniva a L’Aia e che era composta da delegati scelti da ciascuna delle sette Province.

L’antagonista di questa storia, il grande assente dal dipinto di Saftleven, è invece Maurizio di Nassau4, che tra la fi ne del XVI e l’inizio del XVII

secolo aveva acquisito le cariche di luogotenente generale (Stathoulder) di cinque Province dell’Unione, nonché di Capitano generale della stessa.

I rapporti fra Maurizio e Oldenbarnevelt – inizialmente ottimi, tanto che il secondo favorì la carriera politica del primo – subirono una pro- fonda incrinatura a causa di divergenze riguardanti questioni economiche e militari, che emersero in particolare a seguito della pace con la Spagna fi rmata nel 1609, favorita dalle abilità diplomatiche di Oldenbarnevelt e con la quale si pose fi ne alla guerra dei dodici anni. La tregua fi niva, in- fatti, per favorire gli Stati d’Olanda, che avrebbero meglio potuto sfrut- tare i commerci sui mari tramite la Compagnia delle Indie Orientali, ma penalizzava gli interessi delle Province interne, che non potevano avere accesso a tali ingenti profi tti, e pregiudicava altresì le ambizioni militari dello stesso Maurizio5.

In questo fragile contesto, nel 1610, sorse una disputa religiosa fra due fazioni calviniste: da un lato gli Arminiani, calvinisti liberali, che presenta- rono agli Stati d’Olanda una petizione, i c.d. cinque articoli di Rimostranza (da cui anche il nome di Rimostranti); e, dall’altro, i Gomaristi, calvinisti ortodossi, che replicarono con una Contro-Rimostranza in sette articoli (da qui il nome di Contro-Rimostranti).

Tale confl itto religioso assunse ben presto natura politica, fi nendo per innescare una serie di eventi che condussero alla caduta di Oldenbar- nevelt6. Sorsero infatti rivolte in alcune città olandesi e quest’ultimo,

appoggiando la causa dei Rimostranti, chiese al Capitano generale

4 V., oltre ai riferimenti di cui alla nota 2, A.T. van Deursen, Maurits van Nassau (1567-1625): de winnaar die faalde, Bakker, Amsterdam 2000; J.G. Kikkert, Maurits van Nassau, Aspekt, Soesterberg 2008.

5 F. De Michelis, Le origini storiche e culturali del pensiero di Ugo Grozio, La nuo- va Italia Editrice, Firenze 1967, p. 93; C. Tommasi, La “libertà dei mari”. Ugo Grozio e gli sviluppi della talassocrazia olandese nel primo Seicento, in «Scienza & Politica», vol. 9, n. 16, 1997, pp. 44-45; M. Prak, The Dutch Republic in the Seventeenth Century, cit., pp. 33-34.

6 Sui fatti relativi a tale periodo, v. J. den Tex, Oldenbarnevelt, cit., pp. 423-645; J. Israel, The Dutch Republic. Its Rise, Greatness and Fall. 1477-1806, Clarendon Press, Oxford 1998, pp. 433-449; M. Prak, The Dutch Republic in the Seventeenth Century, cit., pp. 34-37; A.T. van Deursen, The Dutch Republic, 1588-1780, in

dell’Unione, Maurizio di Nassau, di intervenire con la forza per sedare i tumulti, ma questi si rifi utò, sostenendo invece le ragioni dei Contro- Rimostranti.

Gli Stati d’Olanda, sotto l’infl uenza di Oldenbarnevelt, adottarono al- lora la c.d. Risoluzione Sherpe nel 1617, con la quale dettero ordine alle città olandesi di prendere al loro servizio delle truppe mercenarie (waard-

gelders) sotto il comando delle autorità locali. Ciò apparve una minaccia

all’unità della Repubblica, che condusse gli Stati Generali a decretare la convocazione di un sinodo nazionale – che poi si svolse Dordrecht nel 1618-16197 – per la risoluzione della questione religiosa e, contestualmen-

te, a dare ordine a Maurizio di Nassau di far sciogliere i waardgelders al fi ne di garantire l’unità civile.

All’arrivo di Maurizio alla testa dell’esercito ad Utrecht, le guarnigioni locali deposero le armi, arrendendosi spontaneamente. Il 29 agosto 1618 Maurizio fece inoltre arrestare Oldenbarnevelt, insieme ai suoi principali sostenitori, fra cui il fi losofo e teologo Ugo Grozio, per sottoporli a giu- dizio. La giustifi cazione dell’arresto, piuttosto vaga, era quella di evitare ulteriori inconvenienti, di garantire la sicurezza dello Stato e di ricondurre all’unità civile i cittadini.

Si trattò, in verità, di un atto assolutamente arbitrario e contrario alla legge perché gli Stati Generali non avevano alcun titolo per esercitare po- teri sovrani sul territorio delle singole Province8. Fu, insomma, un atto rivoluzionario.

3. Il processo a Oldenbarnevelt e la sua condanna a morte

L’istruttoria preliminare del processo9 fu affi data a magistrati inquiren-

ti fra i quali comparivano anche avversari di Oldenbarnevelt. Dopo uno

History of the Low Countries, a cura di J.C.H. Bloom e E. Lamberts, trad. inglese di J.C. Kennedy, Berghahn Books, New York-Oxford 2006, pp. 159-167. 7 V., in proposito, J. Israel, The Dutch Republic, cit., pp. 460-465.

8 La sorpresa per l’arresto di Oldenbarnevelt e dei suoi sostenitori è, ad esempio, sottolineata da J. den Tex, Oldenbarnevelt, cit., p. 646; v. anche M. Prak, The Dutch Republic in the Seventeenth Century, cit., p. 35, che parla al riguardo di “fl agrant violation of the law”.

9 Per una dettagliata descrizione del processo a Oldenbarnevelt, v. M. Siegenbeek, Verslag van de verhooren door Johan van Oldenbarnevelt ondergaan in die afdeelingen, Kruseman, Haarlem 1849; J.L. Motley, The Life and Death of John of Barneveld, cit., cap. XX; J. den Tex, Oldenbarnevelt, cit., pp. 646-689; Id., Le procès d’Oldenbarnevelt fut-il un meurtre judiciaire?, in «Tijdschrift voor

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stretto e prolungato isolamento del prigioniero, iniziò il dibattimento, che si svolse davanti ad un “tribunale” speciale, ossia dinnanzi ad una commis- sione istituita ad hoc su ordine degli Stati Generali e composta da venti- quattro giudici, in parte olandesi e in parte provenienti dalle altre Province, scelti anche fra i suoi nemici politici10.

L’accusa mossa contro Oldenbarnevelt ed i suoi sostenitori consisteva nell’alto tradimento, sia nella forma del tradimento esterno (c.d. crimen pro-

ditionis), per aver tramato a danno della Repubblica d’intesa con la Spagna,

sia nella forma del tradimento interno diretto contro l’ordine sociale e politi- co della civitas (c.d. perduellio), consistente in particolare nell’aver esacer- bato il dissidio religioso, determinando così il rischio di una guerra civile.

Oldenbarnevelt contestò innanzitutto la potestas iudicandi della com- missione straordinaria nominata dagli Stati Generali; dedusse, in sostanza, un difetto assoluto di giurisdizione, rivendicando il diritto di essere giu- dicato da un tribunale appartenente alla sovrana provincia d’Olanda. La difesa nel merito si basava invece sul fatto che egli era un rappresentante olandese e che la sua politica doveva pertanto perseguire e tutelare gli in- teressi degli Stati d’Olanda, a cui doveva fedeltà, e non invece quelli degli Stati Generali. Egli negava inoltre in radice qualsiasi trama o macchinazio- ne in favore di nemici esterni e in pregiudizio dell’Unione.

La commissione giudicante respinse però l’eccezione di difetto di giu- risdizione e, nel corso del processo, interrogò a lungo Oldenbarnevelt su tutta la sua vita politica, impedendo allo stesso di farsi assistere da un av- vocato, di accedere alle carte processuali e di presentare memorie scritte.

Per tali motivi, il processo a Oldenbarnevelt è stato defi nito dagli storici un processo illegale, che condusse ad una condanna a morte annunciata11.

Rechtsgeschiedenis», vol. XXII, 1954, pp. 137-168; H. Gerlach, Het process tegen Oldenbarnevelt en “de maximen in de staet”, Diss., Leiden 1965; F.C. Gerretson, Moord of recht? Twee studies over Johan van Oldenbarnevelt, Toren, Baarn 1969; G.H. Janssen, Het stokje van Oldenbarnevelt, cit., pp. 65-74; M. Prak, The Dutch Republic in the Seventeenth Century, cit., pp. 35-36; B. Knapen, De man en zijn staat: Johan van Oldenbarnevelt, 1547-1619, Bakker, Amsterdam 2005, pp. 307-327.

10 I nomi dei giudici del processo a Oldenbarnevelt sono stati tramandati dalle cro- nache: si veda la fi gura 2, ove è riprodotta l’incisione anonima con testo a stampa del Portret van Johan van Oldenbarnevelt, omringd door de namen van de vie- rentwintig rechters die hem ter dood hebben veroordeeld, del 1619, conservata presso il Rijksmuseum di Amsterdam.

11 V., ad esempio, S. Schama, Il disagio dell’abbondanza. La cultura olandese dell’epoca d’oro, trad. it. di V. Sperti, Mondadori, Milano 1993, p. 267, il quale ritiene che Oldenbarnevelt sia stato “vittima di un delitto giudiziario”.

Fig. 2 Anonimo, Portret van Johan van Oldenbarnevelt, omringd door de namen van de vierentwintig rechters die hem ter dood hebben veroordeel

(dal dipinto di Michiel Jansz. van Mierevelt), 1619, incisione con testo a stampa, Amsterdam¸ Rijksmuseum.

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Ciò infatti puntualmente avvenne: Johan van Oldenbarnevelt fu giudicato colpevole e fu giustiziato per decapitazione il 13 maggio 1619. Le crona- che riportano che il vecchio Oldenbarnevelt abbia pregato il boia di as- solvere senza indugio il penoso ed orribile compito, commentando inoltre amaramente che quella era la ricompensa per aver servito il proprio paese per oltre quaranta anni12.

4. Il Palamede di Joost van den Vondel

L’eco di questi terribili eventi deve essere stato poderoso, se è vero che ha profondamente infl uenzato l’arte e la letteratura13 e, in particolare,

ispirato un’importante tragedia del drammaturgo olandese Joost van den Vondel. Nel 1625, poco dopo la morte di Maurizio di Nassau, egli infatti pubblicò il dramma Palamede o l’innocenza assassinata, che trattava della vicenda di Palamede, mitico comandante dell’esercito greco, tradito e giu- stiziato durante la guerra di Troia in seguito ad un intrigo.

Ulisse, con l’aiuto di Diomede, costrinse un prigioniero a scrivere una lettera che desse l’impressione che il re troiano Priamo avesse offerto una ricompensa a Palamede per il suo tradimento e contemporaneamente na- scose del denaro sotto il letto di quest’ultimo, facendo in modo che Aga- mennone, che era il capo supremo della spedizione e che vedeva in Pala- mede un possibile concorrente del suo potere, lo sottoponesse a giudizio di fronte a tre dei suoi nemici ed avversari, che lo condannarono a morte, in virtù delle prove false così formate.

Nel dramma di J. van den Vondel era ovviamente chiaro il riferimento allegorico alla vicenda di Oldenbarnevelt14, che veniva accostato alla fi gura

di Palamede, metafora e simbolo di colui che è ingiustamente condannato

12 V. J. den Tex, Oldenbarnevelt, cit., p. 686; J.L. Motley, The Life and Death of John of Barneveld, cit., capp. XXI-XII, ove si narra anche la vicenda di Ugo Grozio, che fu invece condannato all’ergastolo da trascorrere nel Castello di Loevenstain e che, dopo due anni, riuscì a fuggire rocambolescamente dalla sua prigione na- scondendosi in una cassa di libri.

13 In proposito, v. G.H. Janssen, Het stokje van Oldenbarnevelt, cit., pp. 74-81; M.A. Schenkeveld, Dutch literature in the age of Rembrandt, Benjamins, Amsterdam 1991, pp. 7-9.

14 In proposito, v. N. Geerdink, Politics and Aesthetics. Decoding Allegory in Pala- medes (1625), in Joost van den Vondel (1587-1679). Dutch Playwright in the Gol- den Age, a cura di J. Bloemendal e F.W. Korsten, Brill, Leiden 2012, pp. 225-248; F.S. Korsten, Sovereignity as Inviolability. Vondel’s Theatrical Explorations in the Dutch Republic, Uitgeverij Verloren, Hilversum 2009, pp. 17-18; W.S. Damsté,

a morte; inoltre, nella fi gura di Agamennone poteva riconoscersi quella di Maurizio di Nassau, sul quale veniva così gettato un profondo discredito, anche alla luce delle sue ambizioni politiche, senza dubbio ostacolate dalla politica di Oldenbarnevelt15.

5. L’allegoria del processo di Cornelis Saftleven

La tragedia di J. van den Vondel, che ebbe un grande successo di stampa, fu rappresentata per la prima volta a Rotterdam soltanto nel 166316. Proprio

in tale anno, Cornelis Saftleven17 dipinse l’Allegorie auf die Verurteilung von J. van Oldenbarnevelt18.

Van Oldenbarnevelt en Palamedes, in Literatuur en recht, a cura di A. van der Feltz, J.M.A. Biesheuvel et aliud, Ars Aequi, Nijmegen 1984, pp. 705-715. 15 Anche nella successiva tragedia di A. Verwey, Johan van Oldenbarnevelt.

Treurspel, Scheltema en Holkema, Amestardam 1895, Oldebarnevelt è presen- tato come un eroe ingiustamente accusato e condannato: v. N.C.F. van Sas, De metaformose van Nederland, Amsterdam University Press, Amsterdam 2005, p. 578; G. Verwey, J.W. Hulst, De Dichter en Het Boek. Albert Verwey (1865-1937) en Het Religieuze Non-Conformisme, Amsterdam University Press, Amsterdam 2012, pp. 58-59.

Di diversa lettura è invece l’opera teatrale attribuita a P. Massinger e J. Fletcher, The Tragedy of Sir John van Olden Barnevalt, rappresentata a Londra nel 1619, in cui Oldenbarnevelt è dipinto come un opportunista politico intenzionato ad estendere la sua infl uenza sugli Stati dell’Unione, al fi ne di suggerire che la caduta del suo regime fu provvidenziale, anche se gli autori – in maniera ambigua – non mancano di evidenziare l’illegalità del processo, generando simpatia per l’accu- sato: v. J. Clare, “Art made tongue-tied by authority”: Elizabethan and Jacobean dramatic censorship, Manchester University Press, Manchester-New York 1999, pp. 195-205; H. Dunthorne, Britain and the Dutch Revolt. 1560-1700, Cambridge University Press, Cambdrige 2013, pp. 48-49.

16 Sul frontespizio delle prime edizioni della tragedia compare un’incisione di Salomon Saverij, Allegorische titelprent voor Vondels Palamedes, del 1625, in cui Palamede sottoposto a giudizio appare minacciato da ogni sorta di animale pericoloso.

17 Sulla vita e sulle opere di Cornelis Saftleven, v. in generale W. Schulz, Cornelis Saftleven. 1607-1681. Leben und Werke mit einen kritischen Katalog der Gemäl- de und Zeichnungen, de Gruyter, Berlin-New York 1978; v. altresì il recente e documentato studio di T. De Nile, Spoockerijen. Tassonomia di un genere della pittura nederlandese del XVII secolo, Diss., Leiden 2013, pp. 181-189.

18 L’opera, attualmente conservata presso il Rijksmuseum di Amsterdam, è ripro- dotta nella fi gura 1: in proposito, v. H.J. Raupp, “Trucidata Innocentia”. Die Ve- rurteilung des Oldenbarnevelt bei Joost van den Vondel und Cornelis Saftleven, in Wort und Bild in der niederländischen Kunst und Literatur des 16. und 17.

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Si nota subito che nella rappresentazione del rito processuale c’è qual- cosa di illusorio, che mette in dubbio le convinzioni dello spettatore: il processo ad Oldenbarnevelt fu davvero un processo o piuttosto un non-

processo?

La risposta di Saftleven è magnifi ca e terribile. L’unico, fra le dramatis

personae, che ha la dignità di essere raffi gurato come un essere umano è

l’accusato, tutti gli altri – i giudici – sono animali, creature mostruose. Il quadro è avvolto in una cupa penombra, l’aula è decrepita, i muri scrostati ed in alto a destra campeggia la riproduzione di un manifesto con la scritta “Trucidata innocentia”. Il vecchio Oldenbarnevelt appare stanco, disorien- tato e ci guarda dritto negli occhi, quasi rompendo lo schema della rappre- sentazione. L’osservatore è osservato, chiamato in causa, coinvolto in quel dramma, che non dà sollievo né spaziale né psicologico, che ci disorienta a nostra volta.

È chiaro innanzitutto che lo sguardo indignato di Saftleven vuole testi- moniare che la sentenza contro Oldenbarnevelt è ingiusta, che insomma è stato condannato un innocente: si potrebbe dire che il quadro è una con-

danna della condanna. Ma questo non esaurisce la potenza del dipinto, nel

quale c’è qualcosa di molto più profondo e universale, ossia una condanna

del processo. Saftleven ci indica infatti che il procedimento giudiziario è

farsa, parodia, simulacro, perché la decisione non è stata resa da giudici neutrali, bensì da nemici politici dell’imputato. Essi hanno invero usurpato il ruolo giudicante e, su tutti, il gigantesco elefante che, con il minuscolo tocco, cerca maldestramente di apparire quello che non è, di dissimulare una realtà che risulta invece macroscopicamente evidente per lo spettatore.

Infatti, per poter riconoscere il processo come legittimo, il soggetto giu- dicante, oltre a preesistere all’oggetto da giudicare, deve essere terzo ed imparziale: nemo iudex in re sua. Questa necessità ontologica viene su- perbamente scolpita nelle coscienze degli astanti tramite la raffi gurazione allegorica, che ci restituisce la ragione, la legge, l’ordine: in altre parole, il giudizio nella sua più profonda ed irriducibile essenza. L’illusione svela, paradossalmente, l’inganno e indica la verità, la mostruosità del processo

rivoluzionario, la sua intrinseca, inumana contraddittorietà.

Jahrhunderts, a cura di H.W.J. Vekeman e J. Müller Hofstede, Lukassen, Erftstadt 1984, pp. 209-216. Un dipinto di analogo oggetto e tenore, sempre di Saftleven e sempre datato 1663, è il Persifl age op de veroordeling van Johan van Oldenbar- nevelt, conservato presso il Frans Hals Museum di Haarlem.

6. Filosofi a del giudizio e Legitimation durch Verfahren

A questo punto interviene la rifl essione del giurista, che si interroga sulle ragioni che spingono il vincitore a non assassinare direttamente il nemico sconfi tto, ma a giudicarlo, secondo le leggi dallo stesso imposte, tramite un processo che, all’evidenza, è di natura politica19. Potrebbe apparire un

fenomeno singolare, perché il processo, così come la legge, è un atto per defi nizione antirivoluzionario, volto a garantire l’ordine violato e non in- vece a costituire un nuovo ordine prima inesistente, per la formazione del quale è indubitabilmente necessario un nuovo atto fondativo, che si impone con la forza. Di conseguenza, il processo rivoluzionario, che è in sostanza un delitto giudiziario, non è altro che una contraddizione in termini20.

Ma se si svolge un’analisi più penetrante del problema, ci si accorge che se per la parte agire in giudizio signifi ca postulare l’ingiustizia di un com- portamento, correlativamente per il giudice giudicare signifi ca riconoscere o negare quell’ingiustizia. Ecco allora spiegata la ragione per la quale i rivoluzionari vogliono uccidere con la toga e non con la spada: in sostanza, vogliono il processo per essere riconosciuti giusti.

Come già osservava sapientemente Socrate nel dialogo dell’Eutifrone, gli uomini concordano, infatti, sull’idea generale della giustizia, ma poi litigano eternamente su cosa in concreto sia giusto o ingiusto21. Da qui

la necessità del processo e del giudizio22, con il quale il giudice è proprio

19 La profonda rifl essione, sviluppata a partire dall’esperienza dei tribunali rivolu-