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Sulla differenza tra cosa e non-cosa per il diritto

1. Premessa

Nella Introduzione agli Studi sull’esperienza giuridica, Giuseppe Ca- pograssi osserva: “si può dire che lo studio della esperienza giuridica è di- ventato in questi ultimi tempi più diffi cile e più facile, per una serie di fatti di mutamenti di caratteristiche per cui la realtà giuridica e il suo concetto hanno subito e subiscono una vera crisi”1.

Non è diffi cile accorgersi di come le parole che aprono lo studio capo- grassiano del 1932 siano perfettamente attuali, di una attualità che anzi il tempo ha reso ancora più stringente. Anche oggi, del resto, si dice, si legge, si ripete la parola crisi, legata a mutamenti e trasformazioni su cui si edifi ca l’esperienza giuridica. Superate molte delle contrapposzioni che hanno orientato, regolato, amministrato il dibattito giuridico di sempre, i fenomeni giuridici della tarda modernità hanno portato a compimento al- cuni assunti fondamentali, seppur con un lessico certamente postmoderno: globalizzazione, potere fi nanziario, soft law, governance, solo per citare i più comuni e diffusi.

A costituire un termine di paragone, oggi come nelle pagine del ’32, sono le fonti del diritto e le norme giuridiche, modifi cate, trasformate, mu- tate quanto a livelli, piani, consistenza.

Così Capograssi poteva scrivere che “non si può negare che il concet- to, il quale è stato fi no a qualche tempo fa tenacemente affermato dalla scienza giuridica, che cioè solo la norma emanata e applicata dallo Stato è norma giuridica, fosse un concetto preciso e chiaro. Questo concetto aveva il pregio di fornire un segno preciso del diritto”. Sennonché il concetto semplice – continua Capograssi – è stato progressivamente sostituito da una più complessa visione e “anche la realtà giuridica ha acquistato pro-

1 G. Capograssi, Studi sull’esperienza giuridica, in Opere, vol. II, Giuffrè, Milano 1959, p. 213.

fondità e complessità che sembravano escluse dalla linearità quasi astratta con la quale l’edifi cio della legislazione statale si presentava”2. E come non

intendere oggi le stesse parole applicate a quella rivoluzione delle fonti, a quella molteplicità di livelli di formazione che si stagliano dal verticale all’orizzontale, dal lontano al vicino?

In un recente passato si è azzardato l’impegnativo nomen nichilismo, quasi così a voler giustifi care tutto e poter tornare all’uffi cio di sempre dell’operatore giuridico, la normazione, ovvero la normalizzazione del re- ale. Il complicarsi da un lato, si accompagna al semplifi carsi da altro lato.

Ma lo scenario di oggi è sin troppo conosciuto e del resto appartiene al vissuto quotidiano di chiunque ed è inutile tratteggiarlo, seppur solo som- mariamente e con tratto rapido.

In queste poche pagine vorrei invece pensare proprio all’esperienza giuridica, quella di oggi, quella del ’32 ma forse quella di sempre, per il giurista di ogni tempo che ha un compito, un ruolo, una funzione dif- ferente rispetto alla macchinalizzazione del reale, alla sistemazione del normale; vorrei pensare a colui che intende continuare a chiamarsi giuri- sta, non arrendendosi alle mode del momento, scegliendo per sé la qua- lifi cazione di operatore, tecnico, ingegnere o idraulico delle norme. La migliore smentita a quanto indicato con l’antico e sempre nuovo spettro dell’annichilimento giuridico mi appare giungere proprio da qui, da chi da giurista non si lascia irretire dai grandi sistemi del pensiero e scorge, viceversa, nella complessa semplicità del quotidiano vivere la ragione prima e più iniziale del diritto.

In questi termini vorrei escutere un testimone illustre, un giurista come pochi, che da giurista, e solo da giurista, dice qualche cosa del diritto. Fi- lippo Vassalli, questo è il giureconsulto che vorrei convocare e fare parlare. Autore del codice civile del ’42, civilista e storico del diritto, acuto e gene- roso osservatore della vita del diritto (§2).

Dalla testimonianza del giurista e dalla sua viva voce che dice dell’e- sperienza giuridica, possono poi nascere alcune considerazioni in tema di norma giuridica e diritto; non nel senso di arrivare a un novello “concetto chiaro e preciso”, come già da Capograssi denunciato quale superato e dal- lo stesso Vassalli ritenuto mortifi cante, ma solo per giungere a delineare

cosa la norma giuridica non è (§3).

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2. “Arte e vita del diritto”

Le parole, le prime parole, mi sembra che siano impaginate in modo immodifi cabile da parte di Vassalli che nomina l’arte essendo un tecnico tra i più raffi nati, impiegando la tecnica con la consapevolezza piena del giu- reconsulto nell’“arte legale”. Immodifi cabile e tutta da ascoltare, dunque:

Ciò che più colpisce il non giurista è il contrasto fra il rapido mutare della vita, la diversità dei bisogni e dei costumi, da un lato, e dall’altro lato la fi ssità di certe categorie giuridiche, la costanza dei mezzi dell’arte legale. Talora la costatazione si muta in impazienza, in insofferenza; e non ne vanno immuni di volta in volta i giuristi medesimi, i quali denunciano l’insuffi cienza di istituti e mezzi. Questo è l’urto tra la vita e l’arte, o meglio la mutua reazione fra l’una e l’altra, ché nel campo del diritto vano sarebbe ricercare dove la vita fi nisce e dove l’arte incomincia e viceversa.

[…] Un indirizzo […] ha posto la distinzione tra “scienza” e “tecnica”, a designare i due momenti che sarebbero da distinguere nel diritto positivo e più in generale le due fondamentali direzioni da riconoscersi nell’attività del giurista: il “dato”, che si ritrae dalla investigazione della realtà sociale e dalla stessa nozione di diritto postulata dalla coscienza d’ogni uomo rifl essivo, e la costruzione, il “costrutto” […] cioè la trasformazione e la elaborazione del dato primigenio in una regola di condotta capace di inserirvisi nella vita e di animarla in vista dei fi ni supremi del diritto.

[…] Sennonché […] “costrutto” e “dato” ci appaiono intimamente mesco- lati nel plesso delle idee e dei ragionamenti che informano il diritto positivo. Malgrado ogni analisi a cui ci si sforzi di assoggettarlo, il diritto resta omo- geneo e irriduttibile appare l’amalgama che avvince gli elementi emersi dalla natura delle cose con le intenzioni e le costruzioni, le quali rappresentano la parte di artifi cio dovuta agli sforzi dell’uomo che cerca di realizzare pienamen- te giustizia3.

Sono certo che l’intensità delle espressioni giustifi cano la lunghezza della citazione e fanno rilevare quanto una glossa, anche pedante e punti- gliosa, forse non sarebbe stata capace di far passare.

Se si pensa che queste sono espressioni lette alla prolusione romana nel 1930 si comprende come superino quasi d’un tratto tanta rifl essione che nell’ultimo periodo ha discusso delle urgenze del tempo presenze, delle carenze strutturali delle istituzioni giuridiche il cui unico destino, per la sopravvivenza, sarebbe l’ineluttabile adeguamento ai tempi, trasformarsi, anche arrivando a capovolgersi, pur di e per sopravvivere.

3 F. Vassalli, “Arte e vita nel diritto”, in Studi giuridici, vol. II, Giuffrè, Milano 1960, pp. 398-399.

Dal nudo impaginato di Vassalli, si dice molto semplicemente che vita e diritto si incontrano e non si possono identifi care totalmente perché l’u- na tende al magmatico movimento, l’altro azzarda la misura sul magma; l’uno non può fare a meno dell’altro, l’altro ha senso solo se, a suo modo, garantisce la magmaticità, se ne fa – addirittura ed in certo senso – forma di tutela4.

Il diritto, ci dice Vassalli, non può cedere il gesto tecnico per l’adegua- mento; la vita non può arrendersi ad un sistema predeterminato. L’urto tra vita e diritto è la differenza ma è anche l’assonanza.

Differenza tra pensare il diritto solo come un fare tecnico e la vita solo

come un fare caotico; differenza tra un modo tecnico di pensare la tec- nica e l’“arte legale” senza sacrifi care né l’uno né l’altro degli elementi che compongono l’espressione. Assonanza, forte profonda originaria, tra la magmaticità della vita che non si arresta e la formatività del diritto che non si può chiudere in defi nizioni, in immagini stereotipiche, in spartizioni di competenza su una ragione che è giuridica perché v’è la vita di mezzo, quella concreta, umile, quotidiana, domestica.

Così il “costrutto” non fi nisce per essere tanto slegato della realtà da ap- parire tragicamente ironico; così il “dato” acquista il suo contesto, acquista una modalità per avere senso.

Con tragica ironia si può pensare un diritto slegato dalla realtà, aset- ticamente impegnato a costruire elucubrazioni teoriche ricche di tecnica ma povere di sapienza; è quanto capita – ricorda Ferri a proposito di altri luoghi vassalliani – “in pagine di elegante ironia, a chi, ad esempio, per giustifi care la punibilità del correo dell’adultera aveva tirato in ballo la natura reale dello ‘ius in corpus’ […] troppo [simile] al macabro scherzo, per cui la pena di morte è stata riportata all’istituto dell’espropriazione per pubblica utilità”5.

Scienza e tecnica, dato e costrutto sono così irrimediabilmente corrotti, trasformati in “macabri scherzi”, per usare l’espressione di Vassalli, nei confronti della vita; in tecnicismi privi di realtà e di senso.

Diritto e vita, diversamente, restano – come nella pagina dalla quale sono partito – nella “mutua reazione fra l’uno e l’altra”; ed ogni tentativo di “assoggettamento” del diritto non riesce a turbarne l’originario stato, la

4 Del nesso tra vita e diritto, in direzione non diversa e con profondità giuridica e fi losofi ca, tratta G. Capograssi, “Il problema della scienza nel diritto”, in Opere, vol. II, Giuffrè, Milano 1959, pp. 487 ss.

5 G.B. Ferri, Filippo Vassalli o il diritto civile come opera d’arte, Cedam, Padova 2002, p. 120 (qui Ferri cita F. Vassalli, Del Ius in corpus del debitum coniugale e della servitù d’amore ovvero la dogmatica ludicra, Bardi, Roma 1944, p. 143).

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condizione; il diritto resta “omogeneo”, legato alla vita per mezzo di quella giustizia che mantiene lo sforzo costruttivo, inventivo e il gesto svelativo della giustizia, parola che Vassalli non rinuncia a impiegare.

Da qui anche tutta la ritrosia verso la forma codicistica: non si può ri- durre il diritto a “fi ssità che singolarmente contrasterebbe col movimento incessante degli altri aspetti dell’attività intellettuale […] Il codice fi ssa, chiarisce, semplifi ca il diritto e lo mette alla portata di tutti; ma adottan- do sistemazioni e classifi cazioni, ponendo defi nizioni, facendo ricorso ad espedienti costruttivi, pregiudica o mortifi ca l’indagine scientifi ca”6.

Una ritrosia che non è solo, come ho già accennato per il codice7 ma

che è per – potrei parafrasare – sistemazioni, classifi cazioni che defi nendo, mortifi cano il diritto nell’ambito sistemico dello stato; disagio e moto di rivendicazione della “estrastatualità del diritto” intero.

Giustamente osserva Grossi, che “la dialettica legge/diritto, che si ori- gina nella consapevolezza della non-coincidenza fra l’una e l’atro, è estre- mamente risalente ed è anche estremamente vivifi cante perché è il cordo- ne ombelicale tra forme giuridiche ed esperienza”8; di questa dialettica

Vassalli appare estremamente convinto, come lo stesso Grossi documenta minuziosamente.

Ancora con Grossi: da Vassalli “vengono collocati sullo stesso piano, testimoni ambedue di un interventismo negativo dei pubblici poteri, sia la legislazione emanata in seno alla prima guerra mondiale, sia ‘la così detta legislazione sociale’. Non saranno i contenuti diversi a imporre una valuta- zione diversa: deprecabile è il modo di produzione della regola civilistica la quale – per sua natura – aborrisce dalla impostazione autoritaria sia pure attuata per fi nalità protettive di categorie sociali più deboli”9.

Il diritto strutturalmente, direi nel fi lo di queste mie pagine, rifi uta il mero accadere dell’imposizione. Strutturalmente dunque.

Due considerazioni a questo punto servono a meglio chiarire la posizio- ne di Vassalli.

6 F. Vassalli, “Arte e vita nel diritto”, cit., pp. 401, 400.

7 Molto citate le note espressioni: “chi vi parla non è un entusiasta. Rende omaggio alle esigenze pratiche a cui il codice corrisponde, ma avverte il disagio della costriz- ione della legge civile in un codice”, ivi, p. 400; ed ancora: “è una ironia del caso se proprio a me, che non sono affatto un entusiasta del sistema delle codifi cazioni uffi ciali […] è toccato di collaborare per venticinque anni ai codici e di scrivere per buoni due terzi il codice civile”, F. Vassalli, “Osservazioni di uomini di legge in Inghilterra”, in Scritti giuridici, vol. III, t. II, Giuffrè, Milano 1960, p. 576.

8 P. Grossi, “Il disagio di un ‘legislatore’ (Filippo Vassalli e le aporie dell’assoluti- smo giuridico)”, in Nobiltà del diritto, Giuffrè, Milano 2008, p. 420.

È un giurista – l’ho già ricordato – che si dichiara scettico, “non entusia- sta” della codifi cazione ma che poi scrive per due terzi il codice civile; l’ar- gomento principale per la critica alla fi ssità delle forme è la libera attività dell’interprete ed è la vitalità del farsi del diritto nella quotidiana esistenza degli esseri umani. Col – molto francese – “culto del testo della legge”, Vassalli rifi uta la “omnipotenza giuridica del legislatore”10.

Vassalli è un giurista che pensa il diritto nel suo regolare rapporti e relazioni avendo ben in mente, da romanista, il modello dell’equità ma poi vede con favore – e nota a più riprese, dalla prolusione del ’30 fi no agli scritti più recenti – la tendenza verso il “diritto comune dell’umanità civile”11; la estrastatualità del diritto è superamento della sovranità statale

ma è anche e soprattutto superamento dell’idea che il diritto sia in massi- ma parte interno alle leggi, sia legge. C’è un oltre testo, un fuori che è la maggior parte del senso del diritto. È per questo oltre-testo, fuori-testo che il diritto non coincide con la legge, ed è per questo che la legge – struttu- ralmente appunto – “rivela un atteggiamento meno prossimo al comando che al ragionamento”12.

Perché Vassalli non si contraddice in questo doppio e simultaneo opera- re: di critica al codice e attività di legislatore; attenzione per il particolare quotidiano singolare nel diritto dei privati e auspicio per la unità del di- ritto, per “l’unifi cazione del diritto, la sua effettiva unifi cazione per via di convenzioni”. In fondo un diritto codifi cato – e Vassalli apprezza lo sforzo di codifi cazione italo-francese sulle obbligazioni – è la conclusione di un processo di unifi cazione del diritto; in fondo, l’attenzione per il particolare si lega bene con la critica al codice. Due linee che sono profondamente presenti in Vassalli.

Ed allora, perché non si contraddice sostenendole entrambe?

Una risposta mi sembra risiedere nell’idea che è alla base tanto della cri- tica quanto degli auspici. E questa idea non è una semplice critica al codice o alla codifi cazione ma ad una modalità di pensare codice e legislazione. E questa idea è quella autoritaria, cioè basata e fondata solo sull’elemento “politico”.

Il codice è criticato nell’idea che questo possa rappresentare non il mez- zo ma il fi ne, che possa essere il compimento del percorso, la fi ssazione e defi nizione del diritto, identifi cata con la legge, e non l’inizio del percorso

10 F. Vassalli, “Arte e vita nel diritto”, cit., p. 401. 11 Ivi, p. 404.

12 F. Vassalli, “Motivi e caratteri della codifi cazione civile”, in Studi giuridici, vol. III, t. II, cit., p. 608.

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stesso13. Vassalli è legislatore convinto e codifi catore raffi nato nella misura

in cui è convinto che “un codice piuttosto è un punto di partenza”14, uno

strumento perché si possa fare giustizia e possa la vitalità della vita rima- nere ordinata ma non mortifi cata.

Rifi utare – dall’altra parte – l’autorità come parametro di validità e di sussistenza del diritto signifi ca accogliere un’idea precisa di giuridico: quella del ragionamento e della collegata e illuminata giustizia. Oltre i confi ni che sono limiti, il diritto ha un nucleo non naturale15 ma certamente

di ragione: “i principi generali di diritto valicano i limiti d’una determinata legislazione positiva. Sono per defi nizione principi del diritto; e non si tratta dunque di regole meramente virtuali”16. La ragione, il ragionamento

dicono qualche cosa del diritto e del nesso e distinzione con la legge: dico- no di un “diritto umano”17 e di una legge che deve per prima cosa rispettare

le libertà e le scelte dei singoli.

Il nesso, il dialogo tra diritto e leggi c’è perché le norme non possono essere fi ssate in disposizioni normative, perché la norma è in continua for- mazione: è formatività18.

Vita e arte del diritto, dunque, colti nell’unica attività del giurista che è

tecnica ma dove tecnica è arte ma è arte solo se secondo il rigore e la ragio- ne tecnica dell’esperto, del giurisperito: è “arte del legale”.

3. La non-cosa del testo e la non-cosa del suo interprete

L’incontro con la pagina di Vassalli è incontro con la visione del giurista che non ha timori né reticenze a nominare l’arte e che – cosa ancora più importante – non la nomina né come formula di chiusura né con un dire poetico e fi losofeggiante. Vassalli nomina l’arte da giurista e per ragioni giuridiche, nomina l’arte del legale, l’unica possibile per il giurista.

13 Sul punto, oltre P. Grossi, “Il disagio di un ‘legislatore’”, cit., p. 307 cfr. i con- tributi di G. Benedetti, G.B. Ferri, A. Punzi, La missione del giureconsulto: Filippo Vassalli, in «Rivista Internazionale di Filosofi a del Diritto», n. 4, 2005, rispettivamente pp. 605, 614, 626.

14 F. Vassalli, “Motivi e caratteri della codifi cazione civile”, cit., p. 631.

15 La critica e la non condivisione per i principi generali naturali, evocati con Del Vecchio, è chiara, F. Vassalli, “Arte e vita nel diritto”, cit., p. 402.

16 Ivi, p. 403.

17 F. Vassalli, “Estrastatualità del diritto civile”, in Studi giuridici, vol. II, cit., p. 761. 18 Impiego il termine nella medesima direzione di L. Pareyson, Estetica. Teoria del-

Una immediata precisazione: quando si parla di artisticità di qualche cosa non si intende trattare del contenuto, non è il contenuto artistico ma la

forma (che ingloba il contenuto, essendo sempre forma di qualche cosa).

Questo ha per il diritto una valenza ancora maggiore.

Precisazione importante, del resto, che con Vassalli mi permette di pro- seguire il breve itinerario di queste pagine. Anche perché, alla luce di quan- to ora ho precisato, intendo il discorso vassalliano tutto teso a dire qualche cosa proprio della forma, della formatività, del diritto.

Una cosa viene ribadita: la convinta opposizione del giuridico con il contingente. Un’altra cosa si può dire: l’arte attiene all’opera artistica che è artistica nella misura in cui – strutturalmente – si distingue da altre forme. La distinzione è nel tipo di forma, è nella formatività. Non riuscirei a co- gliere l’unità delle rifl essioni di Vassalli se non alla luce di questo modo di pensare il mondo giuridico e l’arte del legale.

Ma questo signifi ca anche che la formatività dell’opera artistica rende l’opera una non-cosa, un non-fatto.

Il testo è punto di partenza, dico con Vassalli riprendendo quanto lui dice del codice, non punto di arrivo che fi ssa, determina, defi nisce il quid ius. È invece punto di partenza, punto dal quale procedere per trarre il senso dal testo (non inferendus sed efferendus) e individuare la norma. Secondo quanto costituisce proprio il processo di interpretazione19.

Ora però ancora meglio è possibile intendere come l’opera è/ha formati- vità e come non sia una cosa; non sia una forma totalmente formata ma in continua formazione.

Se fosse una cosa non sarebbe organismo vivente – espressione di Pa- reyson20 – dotato di autonomia – nel lessico di Pareyson e Betti21. Al con-

trario è una non-cosa proprio perché il suo contenuto è interno ma al tempo stesso chiede di essere esternato, chiede di avere un mondo.

Il “mondo del testo”, del resto, come lo nomina Ricoeur22, rappresenta

proprio la complessità e l’articolazione della questione interpretativa. L’opera – come non-cosa – è costitutivamente formata da un autore e da un interprete, non sarebbe se non ci fossero questi elementi che non sono accessori ma costitutivi dell’opera stessa.

19 Rinvio a G. Benedetti, Oggettività esistenziale dell’interpretazione, Giappichelli, Torino 2014.

20 L. Pareyson, Estetica. Teoria della formatività, cit., p. 7.

21 E. Betti, Interpretazione della legge e degli atti giuridici, Giuffrè, Milano 1971, p. 14.

22 P. Ricoeur, “La funzione ermeneutica della distanziazione”, in Dal testo all’azio- ne, Jaca Book, Milano 2004, p. 108.

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Ecco perché mondo del testo, ecco perché l’opera non è una cosa capace