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1. Crisi del diritto, fonti giuridiche e mondo ellenico

La ridiscussione dell’equazione “dettato normativo (positivisticamente inteso)”-”giuridicità (latamente: ‘dover essere’ giuridico)”, così come la messa in questione della conseguente simmetria “legge = diritto”, si lega- no come noto alla fi ne (o alla crisi progressiva) del monopolio normativo statuale, tanto da spingere qualcuno a parlare recentemente di “termine del diritto”1.

Si tratta di un fenomeno ben noto e che, da tempo, è diventato oggetto di articolato dibattito, fi no ad aprirsi a prospettive di “positivismo inclusivo”2.

Senza entrare in merito a quest’ultimo, introduttivamente intendo solo se- gnalare un processo speculare e, cioè, la conseguente ridiscussione della nozione di “fonte” giuridica sia sul piano concettuale sia in prospettiva tipologica.

Sotto il primo profi lo, viene a tema la pertinenza e, in ultima analisi, l’u- tilità del concetto di “fonte” (e, per relazione logica, di “lacuna”). In altre parole, ciò che sembra venir meno è la stessa esigenza teorica e, conse- guentemente, operativo-funzionale di pensare la “fonte” come tale e, cioè, come un’autonoma categoria giuridica.

Il secondo livello, invece, tocca le nuove e molteplici tipologie di “fon- te” che vanno confi gurandosi. Tale dinamica va compresa nel quadro del progressivo, e talora disorganico, intersecarsi dell’ordinamento statuale con altri ordinamenti (si pensi, paradigmaticamente, all’assetto comunita- rio) e, più in generale, con altre modalità di “produzione” normativa.

Tale processo si incrocia, peraltro, con il delinearsi di nuovi attori-sog- getti giuridici che lato sensu rappresentano, per usare la celebre formula di

1 A. Andronico, Viaggio al termine del diritto. Saggio sulla Governance, Giappi- chelli, Torino 2012.

2 In particolare J. Coleman, La pratica dei principi. In difesa di un approccio prag- matista alla teoria del diritto, il Mulino, Bologna 2006 (Oxford 2001).

Rodolfo Sacco, i nuovi “formanti”3. Quest’ultimi vanno in qualche modo

integrando un problematico modello di Governance4 connotato dal molti-

plicarsi dei “sistemi delle fonti”, secondo una dinamica che può cogliersi a più livelli tra loro intrecciati.

Innanzitutto sul piano intraordinamentale e, cioè, interno ai singoli or- dinamenti. Qui va segnalato, in particolare, il ruolo centrale e quasi sup- pletivo progressivamente rivestito dalle Alte Corti nazionali in ordine alla tenuta complessiva del sistema, soprattutto attraverso la prospettazione di

guidelines giuridicamente, oltre che socio-culturalmente, vincolanti a li-

vello di Law in action.

In chiave, invece, sovranazionale occorre solo evocare il ruolo poc’an- zi menzionato dell’Unione Europea. Come noto la produzione normativa comunitaria non sempre appare ben armonizzarsi con i sistemi nazionali, generando talora processi di sovrapposizione e reduplicazione che (in par- ticolari materie) confi gurano quasi degli specifi ci “sotto-ordinamenti”.

Ma forse la moltiplicazione dei sistemi di fonti giuridiche appare più chiaramente percepibile in chiave internazionale o transnazionale. Si pensi ancora, e soprattutto, allo spazio cruciale rivestito dalle Corti internazio- nali e alla dinamica di legal comity istituitasi al loro interno5 nonché, ad

un altro livello e sul piano della prassi strettamente tecnico-operativa, al ruolo sempre più decisivo rivestito da soggetti del tutto peculiari quali le

law fi rms nel progressivo plasmarsi di un inedito sistema di fonti a livello

transnazionale6.

Tuttavia la questione può, e forse deve, leggersi anche oltre la mera con- tingenza. La tesi qui prospettata verte sulla possibilità di riferirsi, sul piano concettuale, a un modello complesso di “giuridico” (rectius: di normatività giuridica) antecedente all’impianto moderno e, quindi, da intendersi a par- tire da una rappresentazione pre-positiva del diritto.

In tale modello la nozione di “fonte” non viene esplicitamente tematiz- zata, poiché il problema centrale è rappresentato dall’origine del diritto: in ultima analisi, il fondamento del giuridico. Ne consegue che, per usare una locuzione successiva, la formalizzazione o positivizzazione del normativo in termini di “fonti” non può che rappresentare una dinamica certamente

3 R. Sacco, Introduzione al diritto comparato, UTET, Torino 1992.

4 A. Andronico, Viaggio al termine del diritto…, cit., p. 59 e ss.; M. R. Ferrarese, La governance tra politica e diritto, il Mulino, Bologna 2010.

5 Sul punto molto utile E. D’Alterio, la funzione di regolazione delle corti nello spazio amministrativo globale, Giuffrè, Milano 2010.

6 In merito M. R. Ferrarese, Le istituzioni della globalizzazione: diritto e diritti nella società transnazionale, il Mulino, Bologna 2000.

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necessaria sul piano storico-funzionale ma, in qualche modo, concettual- mente secondaria.

Tale tipologia di scenario, peraltro, è andato delineandosi (con le varia- zioni del caso) in molte stagioni della tradizione occidentale, ad esempio segnando l’epoca medievale e, in tutt’altro contesto storico-teoretico, la ri- fl essione fi losofi co-giuridica ottocentesca, che trova particolare espressione nella Scuola storica tedesca7. Tale scenario, però, in particolare può intra-

vedersi nel peculiare confi gurarsi dell’universo ellenico, soprattutto ove quest’ultimo venga riguardato come un modello di “ordine inquieto”. In ambito greco, infatti, matura una comprensione del reale e dei sistemi socio- relazionali dominata da una prospettiva strutturalmente tensionale e imper- niata sul binomio “ordine (kosmos) - disordine (kaos, stasis, polemos)”8.

Tale binomio rappresenta il presupposto teoretico, o lo spazio concettuale (l’origine, il “preformante”), per il darsi, propriamente, di un dover essere giuridico (nomos). A ben vedere, infatti, il nomos si situa all’intermedio di

kosmos e stasis: ciò nel contesto di un’impostazione in cui la nozione fi loso-

fi ca di “ordine”, inclusivo delle sue più dirette e “positive” proiezioni giuri- dico-istituzionali intese come taxis (o, con lessico posteriore, “fonti”: Dike,

themis, eunomia, polis), si delinea come realtà strutturalmente dinamico- polare e ontologicamente oscillante. In sostanza: come un “ordine inquieto”.

In sintesi, allora, il punto è il seguente.

Per il greco è chiaro, pur nebulosamente, cosa sia l’“ordine” e, quindi, il dover essere giuridico (con Pindaro: nomos basileus), risultando per esso secondaria la sua eventuale articolazione in “fonti”. Oggi, al contrario, il confuso moltiplicarsi di quest’ultime a ben vedere ripropone, inversamen- te e in modo solo apparentemente paradossale, la questione di cosa sia il “diritto”. In altri termini, ciò signifi ca che, a livello logico, solo presuppo- nendo una nozione di “diritto” sembra possibile addivenire alla nozione di “fonte” (normativa).

Similmente e detto in altra chiave. Per il greco a essere “inquieto” è la nozione di ordine/diritto, mentre la questione delle “fonti” riveste un valo- re funzionale e subordinato, laddove nell’odierno scenario ciò che appare

7 P. Grossi, L’ordine giuridico medievale, Laterza, Roma-Bari 1995. Circa la tematizzazione della polarità “origine-fonte” del giuridico, sviluppatasi intorno alla metà del XIX secolo in area tedesca, si veda B. Montanari, Itinerario di fi losofi a del diritto, Cedam, Padova 19992, p. 251 e ss. e, più ampiamente, Id., Arbitrio

normativo e sapere giuridico… a partire da G. F. Puchta, Giuffrè, Milano 1984. 8 Per molti temi qui toccati mi permetto di rinviare al mio Occidente e “fi gure”

comunitarie I Un ordine inquieto: koinonia e “comunità” radicata. Profi li fi loso- fi co-giuridici, Jovene, Napoli 2013.

inquieta (o confusa) è la stessa nozione di “fonte”, a fronte del carattere per certi versi residuale (e nonostante la sua necessità logico-funzionale) annesso al concetto di “diritto”.

Sul piano teorico appare quindi fecondo, in funzione di una possibile lettura del quadro contemporaneo, riferirsi alla polarità ellenica kosmos-

taxis (notoriamente lato sensu ripresa come grammatica concettuale da un

autore come Friedrich von Hayek9) così come, e più ampiamente, al trino-

mio kosmos-kaos-taxis. Tali nozioni, infatti, possono funzionare in qual- che modo da griglia interpretativa anche in ordine alla concettualizzazione dell’attuale questione delle “fonti”.

2. Narrazione mitica e modelli alternativi di normatività giuridica

L’approccio all’universo concettuale attico, e del suo complesso model- lo di diritto, richiede però di esplicitare in via sintetica almeno due premes- se metodologico-concettuali: l’una attiene alla natura della narrazione mi- tico-letteraria, l’altra concerne, invece, la nozione di normatività giuridica. Riguardo al primo aspetto, occorre muovere dal progressivo superamen- to, sul piano fi losofi co, dell’ipoteca illuminista/neoilluminista riguardo alla dimensione simbolica e alla fabulazione, secondo una linea registratasi (con traiettorie diverse e talora contraddittorie) in larga parte del Novecento10.

Ciò ha postulato una radicale rivalutazione del simbolo e, quindi, del- la trama mitica come sua articolazione costitutiva. Sul piano strettamente epistemico-cognitivo, ne è seguito, infatti, il riconoscimento della cifra

specifi ca che connota la dimensione rappresentativa o iconico-fabulativa,

intesa espressamente come testo narrativo/immaginativo (un profi lo non estraneo anche all’istituirsi del “moderno”11).

Ne è conseguita ulteriormente una duplice ri-valutazione della sfera fa- bulativa: sia in relazione alla portata storico-veritativa (in termini identitari e fondativi) da riconoscersi al racconto mitico, sia in rapporto al suo profi lo squisitamente speculativo-rappresentativo. In questa linea il mito ellenico, inteso come modalità di rappresentazione-rifl essione intorno al reale nel quadro del continuum mito-fi losofi a, potrebbe defi nirsi in termini di dop-

pio iconico: come rappresentazione del reale e, ricorsivamente, rifl essione 9 In merito: P. Heritier, Ordine spontaneo ed evoluzione nel pensiero di Hayek, Jovene, Napoli 1997; U. Pagallo, Teoria giuridica della complessità, Giappichelli, Torino 2006.

10 In merito AA.VV., Simbolo e conoscenza, Vita e Pensiero, Milano 1988. 11 F. Jesi, Mitologie dell’Illuminismo, Comunità, Milano 1972.

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intorno a rappresentazione. Colto nel suo intreccio con l’approccio pro- priamente speculativo, l’universo del mito appare come una dimensione costitutivamente simbolica e, quindi, capace di sintetizzare al contempo sfera individuale e dimensione collettiva.

In sostanza, si tratta di cogliere, anche sotto il profi lo della concettua- lizzazione-rappresentazione della “fonte” in senso giuridico, il proprium costituito dal registro iconico-narrativo, assunto peraltro che anche il dirit- to si confi gura (oltre che come littera o verbum) secondo moduli estetico- rappresentativi. Di qui la necessità di aprirsi a quello che François Ost ha felicemente defi nito “immaginario giuridico”, secondo un approccio criti- camente avvertito e da tempo adottato da molti storici delle idee (da Roger Caillois a Paul Veyne, dal menzionato Furio Jesi a William MacNeill12).

La seconda precisazione concerne la nozione di normatività giuridica. L’ipotesi di lavoro contempla, infatti, la necessità di aprirsi a una nozione di “diritto” e di “doverosità giuridica” complessa e pre (melius: ultra) mo- derna, in quanto strutturalmente inclusiva di dimensioni logico-concettuali solo successivamente autonomizzatesi (in particolare: l’etica e la politica). Ciò che è richiesto, in sostanza, è un rovesciamento metodologico. Non si tratta di partire da un’idea (o defi nizione, modello) di “diritto” a priori, so- stanzialmente di matrice moderna (sia esso il normativismo kelseniano o l’istituzionalismo), da verifi carsi successivamente nei contesti letterari. Al contrario, occorre adottare una prospettiva che consideri le complesse moda- lità secondo cui la normatività giuridica è andata via via elaborandosi a livel- lo testuale-narrativo e iconico-fabulativo, facendo segnare lo stratifi carsi di più livelli o dimensioni. Un’impostazione che, a ben vedere, appare in linea proprio con la ridiscussione della linea positivista (o di una certa linea positi- vista), sino ad aprire al positivismo inclusivo di cui si è detto sin dall’inizio.

3. Esiodo: tematizzazione della polarità kosmos-stasis come “principio

(pre)formante” del giuridico

L’ipotesi sin qui abbozzata verrà accostata privilegiando due momenti specifi ci della coscienza ellenica: Esiodo e la speculazione presocratica. Ciò proprio a partire dall’ipotesi del continuum mito/speculazione cui si

12 Si vedano rispettivamente: F. Ost, Mosé, Eschilo, Sofocle. All’origine dell’ima- ginario giuridico, il Mulino, Bologna 2007 (Paris 2004); R. Caillois, Il mito e l’uomo, Bollati Boringhieri, Torino 1998 (Paris 1938); P. Veyne, I greci credevano ai loro miti?, il Mulino, Bologna 1984 (Paris 1983); W. MacNeill, Mythistory and Other Essays, University of Chicago Press, Chicago 1986.

accennava poc’anzi e i cui rifl essi arrivano fi no al teatro tragico di epoca classica (un profi lo qui non sviluppato).

Sono molte le ragioni del rilievo fi losofi co-giuridico da conferirsi alla poesia esiodea.

In primo luogo, la produzione poetico-narrativa del poeta di Ascra sin- tetizza, per molti versi, la centralità rivestita dalla dimensione narrativo- testuale nell’articolarsi dell’universo ellenico. Dalla poesia più arcaica (si pensi alla letteratura orfi ca) essa si distende fi no a Omero13, rivestendo una

rilevanza squisitamente teoretico-fi losofi ca e non meramente fabulativa: l’invenzione letteraria rappresenta, infatti, il luogo del primigenio artico- larsi della teoresi fi losofi ca intorno al “tutto”14.

Ma, in secondo luogo, Esiodo rileva soprattutto perché egli elabora la prima articolata tematizzazione (via genealogica) della polarità kosmos-

stasis come principio pre-formante della sfera giuridica. Come osservato,

tale polarità può pensarsi come orizzonte concettuale fondativo entro cui matura, in chiave ellenico-occidentale, l’elaborazione stessa del “dover essere” giuridico (soprattutto in ordine alle nozioni di nomos e dike) con evidenti rifl essi di carattere cognitivo.

Questo secondo profi lo emerge innanzitutto nella concettualizzazione del binomio kosmos/taxis, nonché della sua precarietà strutturale (su cui Esiodo torna più volte). In merito è particolarmente signifi cativo il seguen- te passo (Teogonia, vv. 114-122)15:

Queste cose raccontatemi, o Muse, che abitate le dimore dell’Olimpo, dall’i- nizio, e ditemi quale tra loro ebbe nascita (γἰγνομαι) per primo. Orbene, in- nanzitutto venne all’esistenza lo Spazio beante, poi a sua volta la Terra dal largo petto, sede per sempre sicura di tutti gli immortali che abitano le cime del nevoso Olimpo, e il Tartaro nebbioso nel fondo della Terra dalle larghe strade, poi Eros, che è il più bello tra gli dei immortali e scioglie le membra, e di tutti gli dei, come di tutti gli uomini, doma nel petto il pensiero e la saggia volontà.

È in questo contesto che si delinea l’idea di nomos. Esso va inteso come un principio inconcusso ma, al contempo, di comprensione complessa: co- stituendosi dalla e nella tensione, il nomos (identifi cato con Zeus) appare infatti strutturalmente precario. Si pensi solo, ad esempio, alla Titanoma-

chia (Teogonia, vv. 617-720), con la centralità del polemos e della make 13 M. P. Mittica, Raccontando il possibile. Eschilo e le narrazioni giuridiche, Giuffrè

Milano 2006.

14 C. Cassanmagnago, Introduzione a Esiodo. Tutte le opere e i frammenti, Bompiani, Milano 2009 (con testo greco a fronte), pp. 28-32.

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anche in rapporto al kaos, e la Tifonomachia (Teogonia, vv. 820-885) con la sconfi tta di Tifeo. Così ancora, ad esempio, nelle Opere e i giorni (vv. 483-484), Esiodo osserva: “La mente di Zeus egioco ora è d’un modo ora d’un altro, diffi cile per gli uomini mortali capirla”.

In questa linea appare altrettanto signifi cativa la complessa fi gura di Prometeo (Teogonia, vv. 507-616). Mediana tra universo teologico e sfera umana, istituendo un nuovo “ordine” attraverso la tecnica essa sintetizza l’arcaica rappresentazione della tensionalità “ordine/disordine” in termi- ni di kosmos-stasis. Così, se in Esiodo Prometeo mostra ancora contorni di ambiguità, la successiva rivisitazione offerta nel Prometeo incatenato eschileo conferirà alla fi gura semiumana16 una funzione consapevolmente

cosmogonico-fondazionale, in coincidenza con l’emergere nella polis di un nuovo nomos.

Di qui la terza ragione del ruolo cruciale rivestito da Esiodo. Esso riposa sulla sequenzialità logica “nomos-dike (themis)-Zeus” tracciata dal poeta greco, nella quale si radica la tematizzazione del problema delle “fonti” o, meglio, dell’origine del diritto.

Se infatti nella prospettiva esiodea (e lato sensu arcaica) l’ordinato, in

quanto ordinato, coincide con il “giusto”, a livello concettuale ciò deter-

mina il generarsi della polarità dike (nomos)-nomisma: in altri termini, viene a confi gurarsi la distinzione tra il diritto come struttura concettuale

(ontologica) e le “fonti”, per così dire, positive intese come mere prescri-

zioni. Va notato, peraltro, il ruolo peculiare rivestito dalla fi gura di Zeus che, in quanto espressione di dike e nomos, funge da cerniera in funzione della tenuta complessiva del sistema: con lessico contemporaneo, Zeus si confi gura quasi come una sorta di “norma fondamentale”.

Ma, in prospettiva fi losofi co-giuridica, la rifl essione esiodea intorno al binomio kosmos-stasis, e ai nessi che intercorrono tra nomos-dike, si sinte- tizza nella nozione di eunomia (Teogonia, vv, 901-902) che in ambito elle- nico, e lato sensu occidentale, rappresenta la categoria-chiave in ordine alla successiva concettualizzazione della polis-koinonia come articolazione del nesso nomos-dike. In tal senso il mito delle “età” dell’umanità (Opere e i

giorni, v. 106 e ss.) potrebbe interpretarsi in chiave antropologico-giuri-

dica. Esso, cioè, a livello di modellistica sociale può forse leggersi come articolazione dei molteplici livelli entro i quali (data la polarità kosmos-

stasis) è pensabile la relazione umana. La transizione tra “età” segnerebbe,

in sostanza, le possibili dimensioni del vincolo sociale e, quindi, le sue

16 Per il testo eschileo rinvio a Eschilo, Sofocle, Euripide, Tutte le tragedie, Bompia- ni, Milano 2011 (con testo greco a fronte).

possibili e molteplici articolazioni storiche, in termini appunto di oscilla-

zione strutturale tra una dimensione perfettamente ordinata e uno scenario di anarchia e disordine.

L’eunomia rappresenta allora, a livello ontologico, l’equilibrio del “giu- sto” (lungo l’asse nomos-Zeus-dike) come condizione di possibilità del vivere associato (il “diritto”), la cui eventuale rottura determina la dissolu- zione della polis e l’eclissarsi del diritto. Rimesso quest’ultimo alla “forza delle mani” (Opere e i giorni, v. 189), vengono allora meno i nomisma regolati (motivo ripreso nel binomio hybris-dike e nelle fi gure del “re” e di Pandora, Opere e i giorni, v. 60 e ss.), con la conseguente caduta nel disordine provocato dalla stasis.

Emerge, in sostanza, la centralità della strutturale tensionalità-pola-

rità ontologica imperniata sul binomio “ordine-disordine” come origine

del diritto: una polarità costitutivamente ambigua, poiché gli estremi non solo si tengono vicendevolmente ma entrambi mostrano una sorta di opacità. Da un lato, infatti, l’ordine-nomos, sempre esposto alla sua radicale ridiscussione, appare costitutivamente “inquieto”. Se è vero che esso deve necessariamente “formalizzarsi”, originando il vincolo asso- ciativo, tale processo appare però complesso e strutturalmente contin- gente (di qui la crucialità del controllo della produzione dei nomisma). D’altro canto il “disordine” (colto anche nel suo manifestarsi come bìa), pur attentando alla struttura fondativa del reale si mostra, a sua volta, costitutivamente ambiguo: ciò che emerge distintamente nella nozione di Eris, che il poeta di Ascra disegna ambiguamente come sospesa tra una polarità positiva (l’Eris creativo-produttiva) e negativa (l’Eris di- struttrice).

4. Presocratici: l’articolazione teoretica della polarità “kosmos-stasis”

Il continuum costituito dal circuito “mito-speculazione” come modalità

distinte di accesso ai medesimi nuclei problematici, peculiare allo scena-

rio greco, consente di tracciare un preciso rapporto tra poetica/fabulazione esiodee e speculazione presocratica, nel senso che quest’ultima ne rappre- senta (quasi come un ponte ideale) la sua articolazione teoretica. Ciò che viene a tema, dunque, è il nesso genealogia-teoresi come cifra dell’univer- so ellenico.

Il punto può essere accostato da una triplice prospettiva.

Innanzitutto, sul piano speculativo la tematizzazione del nesso “ordine- disordine”, che Esiodo elabora per via genealogica, va collocata nella più

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ampia questione ontologica “uno-molti” sottesa a tutta la rifl essione pre- socratica17. Come noto, essa si declina secondo direzioni diverse (tensione

tra “contrari”, combinazione di elementi, ecc.), tutte però accomunate da una rappresentazione strutturalmente tensionale del reale. Ne segue che la coppia kosmos-taxis (o meglio: il trinomio kosmos-taxis-stasis), su cui si impernia buona parte del pensiero presocratico con i conseguenti corollari giuridico-politico-istituzionali, risulta non altro che un profi lo della ten- sionalità “totalità-parti” (o “identità-differenza”) già sottesa alla più arcai- ca rifl essione ellenica. Per questa via si riconferma, in sostanza, la natura

polare che caratterizza la nozione di “ordine” già profi latasi a livello di

produzione letteraria.

Ma, ad un secondo livello, va altresì rimarcato come nella speculazione presocratica (da Parmenide a Eraclito) il modulo mitico-iconico rivesta un ruolo assolutamente centrale.

Ciò, si badi, secondo una coincidenza non casuale con la concettualiz- zazione di nozioni decisive in ordine alla qualifi cazione del “giuridico” (o di ciò che noi defi niremmo come tale): il modello di dike, il binomio dike-

themis, il nesso polemos-dike e la categoria di nomos. Qui il riferimento

non va solo al celebre primo frammento anassimandreo18, ma anche alla

tradizione eleatica e, in particolare, al poema parmenideo. La sua struttura narrativa, infatti, fa signifi cativamente corpo stesso con la speculazione fi losofi ca in senso stretto. Basti evocare, a titolo paradigmatico, almeno un passaggio notoriamente cruciale della rifl essione parmenidea (fr. 8):

Resta solo un discorso della via: che “è”. Su questa via ci sono segni indi- catori assai numerosi: che l’essere è ingenerato e imperituro, infatti è un intero