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1. Libri importanti per i giuristi

In un saggio recentissimo, intitolato L’educazione del giurista1, Sabi-

no Cassese, uno dei maestri del nostro diritto amministrativo, ricorda che un’importante università americana, la New York University, ha chiesto ad un gruppo di insigni giuristi di indicare i dieci libri più importanti della loro vita. Gli intervistati, pur essendo tutti giuristi, hanno indicato libri per sette decimi non giuridici. Soltanto i tre decimi dei libri indicati dai giuristi come libri per loro importanti erano, invece, libri giuridici. La cosa, inizial- mente, mi ha un pò colpito; poi ho provato a scrivere su un foglio di carta i dieci libri che ritengo più importanti per la mia vita, e mi sono accorto che anch’io indicherei solo due o tre libri giuridici; gli altri non avrebbero molto a che fare con il diritto.

Tra l’altro, i libri giuridici che ciascun giurista ricorda sono diversi tra loro. Forse perché la produzione giuridica invecchia molto rapidamente, forse per altre ragioni, il libro giuridico importante per una generazione è diverso da quello che è ritenuto importante da un’altra generazione. E forse anche all’interno di una stessa generazione preferenze e impatti cambiano, o possono cambiare molto da persona a persona.

Quando parliamo di libri non giuridici che ci hanno colpito, facciamo riferimento, invece, a opere del pensiero, della fi losofi a e della letteratura che sono molto più generalmente apprezzate. La letteratura non giuridica che attira i giuristi è una letteratura le cui dimensioni attraversano il tempo e lo spazio senza perdere fascino e interesse.

Penso ad un libro come Il Libro della giungla. Non è solo un bellis- simo libro per ragazzini. È una storia che dà come poche altre l’idea del signifi cato del gruppo. Stavo dicendo, e sarebbe più corretto dire, del branco. Purtroppo oggi un giornalismo becero utilizza questa bellissima

parola in un senso innaturalmente spregiativo. I lupi sono animali evolu- ti ed affascinanti, il branco di lupi è una struttura meravigliosa. Rudyard Kipling li descrive come pochissimi altri scrittori hanno saputo fare (è Konrad Lorenz, uno dei padri dell’etologia, ad attestarcelo). Il libro del-

la giungla ci fa vedere come il branco rispetta tutti i suoi componenti,

e come questi riescono a convivere in armonia valorizzando ciascuno le proprie specifi che caratteristiche. Di più, il branco di lupi de Il libro

della giungla riesce ad interagire amichevolmente con individui di altre

specie, tra loro enormemente diversi. Un branco di lupi, una pantera nera, un cucciolo d’uomo, un orso, un pitone. Diffi cile immaginare un insieme più assortito, eppure questo gruppo di amici, ne Il libro della

giungla, riesce a creare un clima di grande intesa. Senza che il lettore

se ne accorga, perché il messaggio è fi ltrato dalla magia del racconto, Il

libro della giungla insegna a convivere con diversi, a comprenderli, a

rispettarli, a volerli bene. Il racconto simboleggia le enormi differenze che esistono tra gli esseri viventi, e mostra come essi devono cercare di coabitare nel mondo e come possono convivere armoniosamente, senza confl itti, con divergenze di opinioni, spesso, ma all’interno di un proget- to di vita comune.

Penso a Cent’anni di solitudine. Un libro che ha segnato generazioni di lettori, in tutto il mondo, dando a ciascuno di noi cittadinanza in un altro luogo, un luogo incantato che ha nome Macondo. Penso a quel libro bellissimo di J. D. Salinger, che in Italia ha un titolo sgraziato, Il giovane

Holden, in originale Catcher in the rye, titolo letteralmente intraducibile,

e per noi incomprensibile, che sarebbe come dire L’acchiappatore nella

segale: credo che sia il libro più letto negli Stati Uniti in assoluto da quando

è iniziata una letteratura americana.

2. Racconti importanti

Amo molto i racconti, e vorrei qui parlare di tre racconti. I racconti, in Italia, sono considerati un genere letterario minore, rispetto al romanzo, ma in altri paesi sono un genere importante, anche più del romanzo.

Nella storia della letteratura abbiamo molti racconti meravigliosi. Penso a Puškin, il padre della letteratura russa del primo ottocento. A racconti come La donna di picche – questo è il titolo che gli si dà in Italia. In lingua inglese è noto come The Queen of Spades, La regina di spade – o Il maestro

delle poste, il primo, il più piccolo, e perciò il più grande, dei tantissimi

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dell’ottocento. Puškin morì a 38 anni, ammazzato da un colpo di pistola in duello, dopo due giorni di atroce agonia; un duello fatto per difendere l’onore – indifendibile, dicono gli storici – di una moglie bellissima. Chissà che cosa avrebbe scritto se fosse vissuto più a lungo, chissà cosa abbiamo perso per la sua morte assurda.

O ancora, penso ai racconti di Kafka, ai racconti di Hemingway: ci di- cono splendidamente in poche pagine cose che spesso testi più lunghi non riescono a raccontarci davvero.

3. Letteratura e diritto. Conoscere la vita per inventare e capire le regole

Perché queste letture – si tratti di romanzi o di racconti – sono importanti anche per i giuristi? Perché la letteratura, in fondo, descrive la vita, descri- ve i problemi della nostra vita, i problemi di quelli che ci hanno preceduto o vivono altrove, di quelli come noi che hanno vissuto in altri tempi e altri paesi – o, anche, accanto a noi, ma senza che ce ne accorgiamo, nel nostro tempo e nel nostro paese. La letteratura racconta piccole e grandi storie dell’esistenza umana, collocate in tempi e/o spazi diversi, ma che, in realtà, molto spesso si ripetono. Non identiche, con cadenze in parte differenti, con commistioni, con scambi, ma a volte sono anche le nostre storie. Per questo ci attirano sempre, e fi niscono, molte di queste, coll’acquistare quel- lo che si dice un sapore universale.

Questo è molto importante per il diritto, perché il diritto è l’insieme del- le regole che noi abbiamo inventato per vivere insieme. Lo dico sommessa- mente, perché non sono un fi losofo del diritto. E propongo qui volutamente una defi nizione molto rozza: l’insieme delle regole che noi abbiamo inven- tato per vivere insieme. Adopero consapevolmente la parola “inventare”, e la adopero con molto gusto. È una parola bellissima, che mi è molto cara, anche perché, nella mia attività di studioso di diritto commerciale, mi oc- cupo molto di invenzioni, del regime giuridico di tutela delle invenzioni, e questo mi ha portato a contatto con quel processo misterioso che è, appun- to, il processo inventivo. “Inventare” è una parola notevolmente ambigua, o, meglio, ambivalente. Inventare, oggi, è usato per lo più come sinonimo di creare. La mia frase, allora, diviene questa: “norme che abbiamo creato”. Ma in realtà, nel suo etimo, inventare signifi ca trovare: ed allora la mia fra- se diviene “norme che abbiamo trovato”, “norme che abbiamo scoperto”. Credo che proprio entrambe queste cose accadano con il diritto: ci sono norme che creiamo noi e norme che troviamo da qualche parte, non si sa bene dove, fatte da chi, come, quando. Una volta qualcuno diceva: ce le ha

date un dio. Oggi qualcuno dice: sono scritte nel nostro DNA. Non saprei. E forse queste due risposte non sono troppo lontane tra loro. Ma esiste certamente nel mondo del diritto questa alternanza continua tra regole che creiamo e regole che troviamo.

Per regolare la nostra coesistenza, la nostra esistenza in comune, dob- biamo sapere quali sono i problemi che la vita ci pone, e nel dirci que- sto la letteratura è maestra. Questo è l’anello di congiunzione tra diritto e letteratura. Per regolare la convivenza umana, dobbiamo conoscere i suoi problemi; e questi problemi li raccontano i narratori, i poeti, e, con canali di comunicazione diversi, meno facilmente decifrabili da chi non ha im- parato il loro particolare codice narrativo, ma altrettanto effi caci, i pittori, gli scultori, i musicisti. È lì che noi troviamo la base per la costruzione e l’applicazione delle nostre regole.

Ricordo Enzo Marangolo, che è stato un grande avvocato catanese, un penalista importante della generazione dell’ultimo dopoguerra. Io ho avuto la fortuna di frequentare il suo studio, nei primi anni della mia attività professionale. Enzo Marangolo, che era lui stesso scrittore – ha scritto, tra l’altro, un bellissimo racconto dal titolo La malinconia2. Ma-

linconia, parola incantevole, utilizzata per coprire quella realtà atroce che un altro Autore ha chiamato Il male oscuro, e che scientifi camente si chiama depressione. Io ho visto, tanti anni fa, tra le mani di Enzo Ma- rangolo (ed è stato un grande privilegio. Sono certo, data la sua ritrosia, che lo ha fatto vedere a pochissimi), un biglietto autografo di Natalia Ginzburg che diceva “il personaggio della psichiatra nel Suo racconto

La malinconia è il più bel personaggio femminile di questi ultimi cin-

quant’anni”.

Enzo Marangolo diceva sempre che non può essere un buon avvocato chi non conosce bene l’Iliade, chi non ha letto con attenzione i Dialoghi di Platone, chi non ha conversato con Dostoevskij. Cosa voleva dire? Voleva dire che all’interno di questi grandi capolavori si trova praticamente tutto quello che nel mondo è accaduto, tutto quello che accade nella psiche uma- na; si trovano fatti e sensazioni che si ripetono all’interno della nostra vita e della vita di tutti gli uomini, si trovano le radici del nostro essere e delle nostre pulsioni.

2 Il racconto La malinconia apparve su Il mondo, negli anni Cinquanta, e poi, nel 2000, in una piccola raccolta di racconti edita, con il titolo, appunto, La malinconia, da Il girasole, Valverde, Catania. Enzo Marangolo (1922-2010) fu autore, tra l’altro, di un fortunato romanzo breve dal titolo Un posto tranquillo, edito prima da Bompiani, negli anni Sessanta, e poi, nel 1995, da Bonanno Editore, Acireale.

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4. Grace Paley: Lavinia. Una vecchia storia

Ho scelto di parlare di tre racconti, che forse non sono molto noti in Italia, ma sono, in assoluto, racconti di grande importanza. Vorrei anche, prima di parlare dei racconti, presentare brevemente ciascuno degli autori.

Grace Paley, morta pochi anni fa, ha scritto soltanto tre raccolte di rac- conti: Piccoli contrattempi del vivere, Enormi cambiamenti all’ultimo mi-

nuto, Più tardi nel pomeriggio. C’è una recente e bella edizione di Einaudi

che li raccoglie tutti sotto il titolo della prima raccolta, Piccoli contrattempi

del vivere. È un’autrice che è bello anche leggere in originale, per chi è in

grado di farlo. È un americano molto parlato, quindi non facilissimo per chi stenta con la lingua inglese.

Sono racconti spesso molto brevi, spesso racconti di donne che raccon- tano. C’è quasi sempre un io narrante che è una donna. Una donna che ha avuto spesso una vita dura, ma è una donna che non si arrende. Grace Paley sta con le minoranze oppresse, con i neri, con le donne, con gli omosessua- li; nelle diverse fasi della propria vita ha sempre avuto un impegno sociale fortissimo. E sempre, ed è questa una delle cose che la rendono simpatica, almeno a me, Grace Paley si pone con grande determinazione, decisa, mo- tivata, orgogliosa, ma sempre con grande simpatia e comprensione per la vita, senza violenza nei confronti di nessuno. Il racconto che ho scelto, La-

vinia, una vecchia storia, è all’interno della prima raccolta ed è un racconto

di solo tre pagine, narrato da una signora nera di mezza età.

Rileggo spesso questo racconto – e ne parlo spesso. Tante volte l’ho letto nell’ultima lezione di diritto commerciale, alla fi ne del corso. Lo scorso novembre ne ho parlato presentando la cerimonia di conferimento dei ma- ster in Intellectual Property del Munich Intellectual Property Law Center. Quando ho smesso di parlare uno dei corsisti, un ragazzo nero di Chicago, mi ha detto che condivideva da sempre la mia passione per Lavinia, e che aveva sempre trovato Lavinia una storia “really inspiring”.

5. La valorizzazione delle differenze

Una prima idea che viene da questo racconto è quella dell’enorme diver- sità che troviamo all’interno della specie umana, ed anzi di ogni specie vi- vente. Lavinia è un esempio di questa grande diversità. Ogni tanto nascono persone come Lavinia, persone che sono, dice il racconto, una “delizia” per tutti. Il racconto lo sottolinea più volte: Lavinia non è una persona come tutte le altre. Questa è un’osservazione cui i giuristi “teorici”, quali sono

tutti i giuristi delle Università, studenti e docenti, non sono molto abituati, perché il diritto dei giuristi teorici – che è poi anche il diritto delle norme – si occupa dell’uomo, ma tende ad occuparsi – per ragioni importanti, che non occorre qui ricordare in dettaglio – dell’uomo-tipo. Da poco il diritto ha iniziato ad occuparsi della donna, e comunque tende a occuparsi della donna-tipo. Il diritto, cioè, guarda all’unità che è sempre uguale, che si ripete identica. Il diritto muove dall’idea del principio di uguaglianza, che – e lo fa, ripeto, per ragioni assolutamente importanti – immagina una piena identità di tutti gli uomini e di tutte le donne. Lavinia ricorda al giu- rista che il principio di uguaglianza deve accompagnarsi al rispetto ed alla valorizzazione delle differenze che ci sono fra tutti noi. L’idea che il diritto possa, anzi, debba, avere un ruolo importante nel valorizzare ciascuno di noi e le doti di ciascuno di noi è un’idea sicuramente poco presente all’in- terno degli studi giuridici, ma è un’idea che, invece, è molto importante per la gestione della vita pratica e delle professioni legali – perché il diritto dei pratici, avvocati e giudici, quello che chiamiamo Law in action, ha a che fare (solo) con singole persone, e non certo con persone-tipo.

Valorizzare le caratteristiche individuali di ciascuno non è un problema che riguarda il singolo soggetto, è un problema della collettività. Siamo tutti gli altri che abbiamo da guadagnare dalla valorizzazione delle doti, delle caratteristiche di ciascuno di noi. Non è Lavinia che ha perso la sua vita infognandosi nella vasca del bucato, sono tutti gli uomini e le donne che la vita ha posto intorno a lei che hanno perso una persona la quale, ci dice Grace Paley con il suo tipico understatement, poteva fare “la predica-

trice, l’infermiera, qualcosa d’importante”. Obiettivi minimi, tutto som-

mato, viene da dire, anche se di enorme avanzamento sociale rispetto alle condizioni di partenza. Per questo il diritto ha a cuore la valorizzazione di ciascuno, non solo e non tanto nell’interesse di ciascuno, ma anche e soprattutto nell’interesse della collettività, che ha molto da guadagnare da una piena valorizzazione delle doti individuali.

6. You must have a dream

Lavinia ci mostra una seconda cosa importante, che in Italia forse non

si avverte molto. Ma se gli studenti italiani, anziché stare al primo anno in una qualunque Facoltà di Giurisprudenza italiana (chiedo scusa, oggi, per una di quelle tante scelte incomprensibili dei nostri governanti, dovrebbe dirsi “in un qualunque Dipartimento giuridico”), fossero iscritti nella Law

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sentito dire decine di volte, ed avrebbero trovato scritto decine di volte, più o meno questa frase: “You must have a dream”, “Tu DEVI avere un sogno”, tu devi avere un progetto, devi sapere cosa vuoi dalla vita.

In questo breve racconto di tre pagine, perché sono esattamente tre pagi- ne, sia la mamma di Lavinia, sia Lavinia si propongono un progetto. Non riusciranno a realizzarlo, e questo è l’aspetto triste della storia, ma hanno questa tensione verso un obiettivo. In Italia accade esattamente il contrario. Se si chiede ad uno studente di primo anno: tu cosa vuoi fare da grande, la risposta molto, troppo spesso, è: non lo so! È la risposta che avrei dato io al primo anno, forse anche al secondo e al terzo, ed anche al quarto.

La frase “I have a dream”, per chi non è più giovanissimo, è collegata ad un bellissimo discorso di Martin Luther King. King, prima di morire, nel suo ultimo discorso, ripeté tante volte questa frase, che in realtà aveva tante volte utilizzato in molti altri discorsi precedenti: “I have a dream”. Il suo sogno era che bianchi e neri vivessero in pace nella stessa città, nello stesso territorio, senza violenze. Agli europei la frase “I have a dream” sembra quasi un progetto straordinario. Per un americano, invece, è normale farsi un progetto, è normale farsi un sogno. Questo è fondamentale per tutti gli studenti, di giurisprudenza e non, all’interno di un’università, all’inizio di una fase importante della vita. Tutti gli studenti dovrebbero porsi questo interrogativo: cosa farò da grande? Non basta dire – per adesso sto iscritto a giurisprudenza, poi si vedrà! Tutti gli studenti – tutti i ragazzi – dovreb- bero farsi un progetto, farsi un sogno. Non lasciare che le cose accadano.

7. Tenere viva la mobilità sociale

Faccio un’ultima osservazione. Il racconto ci fa vedere come sia sentito, in molte classi sociali, soprattutto in quelle meno fortunate, cui apparten- gono Lavinia e sua mamma, il desiderio di mobilità sociale. Mobilità socia- le vuol dire che chi è nato in una certa condizione sociale non deve essere condannato a rimanere in quella condizione per tutta la vita. Se ha la possi- bilità, se ha le capacità – e molti le hanno, e però questo non sempre basta loro, perché costretti, appunto, da barriere sociali – è giusto che si muova.

La cessazione della mobilità sociale è un costo enorme per la colletti- vità; è uno degli aspetti più gravi di molte società moderne. In questo il diritto può avere un ruolo importante, perché la mobilità è impedita da una serie di fattori sociali che possono trovare adeguata rimozione all’interno di un complesso di regole accettabili. Non c’è bisogno di fare molti esem- pi: un esempio banalissimo è quello delle borse di studio che consentono

di studiare a persone che non hanno i mezzi per farlo. Un sistema moderno che non garantisca, in maniera adeguata, le possibilità di educazione è un sistema che si condanna a perdere molte opportunità. E questo perché la- scia inutilizzata una percentuale molto ampia delle proprie possibilità, im- pedendo a chi ha caratteristiche positive di sfruttarle e di metterle a servizio della collettività. Il compito del diritto rispetto a questo tipo di problema è un compito di enorme importanza, perché il diritto può essere strumento effi cacissimo di rimozione degli ostacoli alla mobilità.

8. Alice Munro: La danza delle ombre felici

Il secondo racconto è La danza delle ombre felici. Il titolo, lo si ap- prende nel corso della lettura del racconto, è il titolo di un pezzo di Gluck, un pezzo veramente meraviglioso, anche per chi non sia particolarmente appassionato di musica. È un racconto di Alice Munro, scrittrice canadese vivente, autrice, anche lei, come Grace Paley, solo di racconti. La danza

delle ombre felici è inserito nella sua prima raccolta, che prende il nome

proprio da questo racconto, ed è uscita nel 1968; in Italia, è stata edita da La Tartaruga nel 1994. Negli ultimi anni Einaudi ha pubblicato molte rac- colte di racconti di Alice Munro, ed anche questa è stata riedita pochi mesi prima che a questa Autrice fosse conferito, nel 2013, il premio Nobel.

Alice Munro è una canadese nel senso pieno della parola. Per molti eu- ropei il Canada è solo una sorta di appendice degli Stati Uniti. Ovviamente,