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L’immagine nel sistema delle fonti e i nomogramm

Quod monstrum id? Sphinx est, cur candida virgi- nis ora, Et volucrum pennas, crura leonis habet? Hanc faciem assumpsit rerum ignorantia, tanti Scilicet est triplex causa, et origo mali. Sunt quos ingenium leve, sunt quos blanda voluptas, Sunt quos faciunt corda superba rudes. At quibus est notum quid Delphici litera possit, Praecipitis monstri guttura dira secant. Namque vir ipse, bipesque, tripesque, et quadrupes idem est, Primaque prudentis laurea, nosse virum.1

Perché non si è mai visto, e non lo si vedrà mai, governare una società senza la musica, senza gli emblemi, senza un dispositivo cerimoniale?

Pierre Legendre

Obiter depicta potrà anche essere un neologismo,

ma non si tratta di ninnoli... Perché non stiamo ricercando e insegnando una alfabetizzazione visiva del diritto?... Potrebbe un giudice presentarsi nudo e nondimeno pronunciare una decisione giuridica?

Peter Goodrich

1 L’IGNORANZAVASCACCIATA

Che mostro è questo? La Sfi nge. Perché ha il candido volto di una fanciulla, le ali degli uccelli e le zampe del leone?

È l’ignoranza delle cose che ha assunto questo aspetto, e di certo è triplice la causa e l’origine di tanto male:

c’è chi è reso ignorante dall’indole frivola, chi invece dal molle piacere, chi ancora dalla superbia d’animo.

Ma quelli, cui è noto cosa può insegnare il motto di Delfi , tagliano la gola spaventosa del mostro che si getta nel vuoto. Infatti l’uomo è sempre lo stesso, sia con due, con tre o quattro piedi, il primo alloro del savio è: conosci l’uomo.

SUBMOVENDAM IGNORANTIAM

(Emblema XLVI, Emblemata, del giurista

Quando due esseri umani si abbracciano, soltanto una mente estranea all’umano può dire di “vedere” il fenomeno di un “reciproco afferramento del tronco da parte degli atti superiori”, che successivamente viene interpretato come espressione di un più profondo signifi cato affettivo. Il signifi cante realmente evidente, l’immediato della percezione, è l’atto della benevolenza: non la stretta dei corpi. Noi vediamo la realtà della benevolenza, proprio in questo modo e tramite questa immediatezza. Ed è così che essa diventa pensabile, anche concettualmente.

Pierangelo Sequeri

1. L’immagine nel sistema delle fonti: un punto di partenza

Uno dei rilievi critici ai modi prevalenti di concepire il movimento

diritto e letteratura2 che mi sembra interessante formulare, rispetto allo

stato attuale della teoria giuridica all’epoca della globalizzazione, è rife- ribile proprio al senso di quella lettera e, posta tra i due, distinti, saperi. Essa appare volta a indicare una connessione, nota e tradizionalmente articolabile come diritto nella letteratura e diritto come letteratura, ma che, proprio nel connettere, rischia di presupporre invece una separa- zione strutturale che può essere sottoposta a critica. I due ambiti della conoscenza si presenterebbo infatti prima divisi, e poi, in un secondo momento, collegati, come se si trattasse, dopo il positivismo, di articolare un’interdisciplinarietà. La posta in gioco teorica che mi pare interessante indicare è invece l’inerenza originaria di letteratura e legge insita nella nozione di testo, ravvisabile a partire da una lettura iconica, volta a risco- prire il nesso testo-immagine entro la cornice della tradizione occidentale dei Corpus Iuris.

Peraltro proprio la ripresa di questa prospettiva legata alla storia dell’oc- cidente chiama incidentalmente anche in causa lo statuto liturgico-giuri- dico della sintesi, a un tempo giuridica e religiosa, della nozione di legge, come è stata elaborata nella storia occidentale. Appare infatti interessan- te notare come, colui che Goodrich ha defi nito il “moderno Alciato”3, lo

2 E forse anche di altri accostamenti indicati come diritto e.

3 P. Goodrich, A Theory of Nomogram, in Law, Text, Terror. Essays for Pierre Leg- endre, ed. by P. Goodrich, L. Barshack, A. Schütz, Routledge, New York London 2006, p. 19. Il riferimento è alla nota opera di Alciato: A. Alciato, Il libro degli emblemi secondo le edizioni del 1531 e del 1534, a cura di M. Gabriele, Adelphi, Milano 2009.

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(ri)scopritore della normatività dell’immagine, abbia intitolato la sua ripre- sa della prospettiva storica L’autre Bible de l’Occident4: come a indicare

che la tradizione religiosa, giudaico-cristiana, dell’Occidente debba ravvi- sare nei testi giuridici, nella tradizione dei Corpus Iuris, testi monumentali, enormi costruzioni dogmatiche, che raddoppiano e seguono in parallelo il testo religioso biblico. Il tema “la Bibbia e la Legge” individua quindi, a partire dall’emergere della questione della normatività dell’immagine, un preciso plesso teorico che può costituire un oggetto fondamentale e originario degli studi di Diritto e Letteratura5. Proprio l’introduzione del

riferimento al testo fondatore di due religioni rivela infatti la originaria connessione, entro il monumento di un unico corpus testuale, di tematiche religiose, giuridiche, letterarie, sapienziali, storiche, fi losofi co-critiche, po- etiche. Se infatti per la cultura greca dell’età classica (non in modo esau- stivo, tuttavia: il riferimento, ad esempio, ai testi di Esiodo potrebbe essere diversamente interpretato) tragedia, commedia, fi losofi a, mito, storia, po- esia fanno riferimento ad autori, tradizioni, testi, stili differenti presenti in una molteplicità di libri differenti e non necessariamente collegati, la cultura ebraica invece compone e articola tutti questi diversi generi in un unico corpus testuale, che narra la storia di un popolo e, nel cristianesimo, la sua universalizzazione. Anche per altre religioni sarebbe forse possibile – ma qui la mia competenza si arresta – individuare un percorso per certi versi simile (basti pensare alla tradizione indiana). Tuttavia la specifi cità della tradizione occidentale è rappresentata appunto da quella che Legen- dre denomina effi cacemente L’altra Bibbia dell’Occidente: il legame della religione con la tradizione del diritto romano e dei Corpus Iuris Civilis e

Canonici, posta a un tempo alla base della moderna tradizione dei codici di civil law e dei precedenti di common law.

Ed è proprio la riscoperta dell’originaria valenza normativa dell’imma- gine, per ritornare al problema indicato della congiunzione posta tra diritto

e letteratura nella teoria contemporanea del diritto, a consentire di indicare

l’originaria unità teorica del fenomeno giuridico e letterario, sulla base del- la tradizione storica e della valenza emblematica e teatrale del Testo nella concezione occidentale. È a partire dalla originaria unità di legge e lettera-

4 P. Legendre, Leçons IX, L’autre Bible de L’Occident: le Monument romano-cano- nique. Étude sur l’architecture dogmatique des sociétés, Fayard, Paris 2009. 5 Anche per questo motivo si è deciso di costituire un centro dedicato agli studi di

Diritto, Religioni e Letteratura (DIREL), come parte del network della Società Italiana di Diritto e Letteratura (SIDL), costituito presso l’Università di Torino nel convegno di cui questo volume sono gli atti e diviso in una sezione storico- letteraria e una fi losofi co-giuridica.

tura nei testi religiosi che appare possibile pensarne la successiva divisione e articolazione in saperi distinti: la scienza giuridica e la teoria letteraria. Il legame tra i due ambiti non è, dunque, una stranezza postmoderna di un movimento, denominato Diritto e letteratura, ma un tratto storico diffi cil- mente negabile, su cui si costituisce la stessa nozione di diritto occidentale, antecedente la tradizione dei codici e del diritto positivo, che ne costitui- scono solo un assai rilevante episodio. Essa può esser riscoperta e nuova- mente compresa, nei suoi aspetti virtuosi e anche nei suoi inevitabili rischi, proprio al momento dell’emergere prepotente della società dell’immagine, legata alla trasformazione reticolare del diritto ai tempi della rete Internet e della globalizzazione. In questo senso, vi è una connessione originaria tra diritto e letteratura e tra Bibbia e diritto romano, che si incontra nella storia del diritto occidentale e nella riscoperta dell’originaria iconicità di

ogni testo normativo, del Codice come della tradizione dei Corpus, come

elemento di cui tener conto, e non certo solo da esaltare, ma anche da teme- re; in ogni caso da considerare. Proprio il non aver tenuto conto teoretica- mente di questo problema nella scienza giuridica positiva rappresenta forse l’elemento da porre all’origine dell’incapacità del discorso giuridico nel dar conto di fenomeni rilevanti nel secolo appena concluso, come il culto del (corpo mitico del) dittatore nei totalitarismi novecenteschi e dei suoi effetti perduranti, quale la connessione perversa tra immagine e politica nelle democrazie occidentali contemporanee6.

Il breve itinerario che propongo in quest’articolo non è tuttavia volto all’analisi e all’approfondimento di questi aspetti, già abbozzati altrove7,

ma due implicazioni, attinenti la teoria generale del diritto e alla teoria delle fonti, di questa impostazione metodologica. Ne enuncio brevemente il nucleo essenziale. La prima assunzione è che, a partire da questa prospet- tiva, la tradizionale distinzione teorico generale tra positivismo esclusivo e positivismo inclusivo presente nel dibattito post hartiano (e quella con- nessa tra diritto e morale) è da trasformare, a mio avviso, nella distinzione tra estetica giuridica inclusiva e positivismo giuridico esclusivo. Ritengo

6 Per cenni a questi aspetti, mi permetto di rinviare al mio P. Heritier, Società post- hitleriane? Giappichelli, Torino 20092.

7 P. Heritier, Estetica giurdica. Vol. 1. Primi elementi: dalla globalizzazione alla se- colarizzazione; Vol. 2. Il fondamento fi nzionale del diritto positivo, Giappichelli, Torino 2012; P. Heritier, Law and Image: Toward a Theory of Nomograms, in A. Wagner, R.K. Sherwin, eds., Law, Culture and Visual Studies, Springer, New York London 2014, pp. 25-48, P. Heritier. From Text to Image: The Sacred Foundation of Western Institutional Order. Legal-Semiotic Perspectives, in «International Journal for the Semiotics of Law», 26, n.1, 2013, pp. 163-190.

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infatti che quello che è tradizionalmente considerato come positivismo giu- ridico inclusivo (della morale) sia in realtà da intendere anch’esso come esclusivo (della normatività dell’immagine e dell’iconicità della tradizione dei Corpus, del nesso tra Religione, Diritto e Letteratura, della stessa nor- matività iconica dei fatti sociali). Strettamente legata a questa prima assun- zione, una seconda formulazione pertiene alla teoria delle fonti, esprimibi- le in forma di domanda: quali fonti possono corrispondere, all’interno della concezione del diritto, all’estetica giuridica inclusiva? In quale modo ciò si connette alla trasformazione delle fonti in corso (soft law, governance, teoria reticolare dell’argomentazione) all’epoca della globalizzazione?

2. Crisi nel movimento Diritto e Letteratura?

L’individuazione del tema delle fonti come punto di partenza e la scelta di utilizzare una prospettiva teorico generale nell’affrontarla intende solle- vare una precisa questione metodologica, che mi par interessante introdur- re a partire dall’analisi di un articolo di Peter Goodrich. Screening Law8

è stato scritto nel 2009 in un’occasione simbolica, i vent’anni dalla fonda- zione della rivista Law and Literature, in un interessante confronto critico non tanto con le note posizioni di Posner sul tema9, ma di un articolo di

Julie Stone Peters, fortemente critico dei risultati raggiunti dall’interdisci- plinarietà nel movimento, dal titolo signifi cativo Law, Literature and the

Vanishing Real. On the Future of an Interdisciplinary Illusion10.

La posizione della Stone è fortemente critica nei confronti del metodo interdisciplinare, accusato di ridurre la disciplina dell’altro a mero stan- dard, privo di ogni realismo: entro il movimento i giuristi avrebbero della letteratura un’immagine idealizzata e i letterati un’idea della legge forte- mente ideologica. Le debolezze dei risultati conseguiti dal progetto di Law

and Literature, contrassegnato dai tre accostamenti prevalenti che la Stone

Peter analizza – Humanism, Hermeneutics, Narrative11 – sarebbero tuttavia

da inserire in un quadro più vasto, quello caratterizzato da una generale “preoccupazione a proposito della natura e del valore dell’organizzazione degli studi accademici entro discipline e riguardante la funzione e il signi-

8 P. Goodrich, Screening Law, in «Law and Literature», 21, n.1, 2009, pp. 1-23. 9 R. Posner, Law and Literature. A Misunderstood Relation, Harvard University

Press, Cambridge. Mass., 1988.

10 J. Stone Peters, Law, Literature and the Vanishing Real. On the Future of an Inter- disciplinary Illusion, in «PMLA», 120, n. 2, 2005, pp. 442-453.

fi cato degli studi umanistici nell’ultimo quarto del ventesimo secolo”12. Il

caso specifi co del movimento diritto e letteratura, nel suo non riuscire a giungere ad alcun contenuto realmente condiviso, costituirebbe un’esem- pio della feroce lotta interdisciplinare degli ultimi cinquant’anni, ove in esso viene riprodotta all’interno proprio quella separazione disciplinare che vorrebbe invece essere criticata e superata. La Peter Stone, critica della decostruzione e dei movimenti che la attorniano, giunge a precisare come si potrebbe ritenere che ogni tentativo interdisciplinare sia in realtà “un sin- tomo disciplinare: una somatizzazione, nel corpo disciplinare, di qualche invisibile tormento, di un desiderio frustrato messo in atto come nevrosi”. L’interdisciplinarietà sarebbe un sintomo di isteria nel senso greco del ter- mine, manifestando le ferite interiori delle due discipline: “la ferente con- sapevolezza della letteratura della propria insignifi canza, della sua inabilità a raggiungere la sempre immaginata ma sempre perduta prassi; il ferente senso di straniamento della legge da un certo umanesimo critico che ri- siederebbe nell’apparato burocratico, il suo timore di essere sempre già complici nel legiferare”13 e così via. A partire da questa insana e problema-

tica unione, ispirata da un’“invidia delle discipline”, si prospetterebbe una situazione in cui il diritto potrebbe essere in grado fornire una dimensione di prassi alla letteratura, mentre la letteratura potrebbe apportare da parte sua umanità e taglio critico. L’esito aporetico del tentativo del movimento di diritto e letteratura, tuttavia, testimonierebbe il fallimento del progetto di oltrepassare la separazione sorta, attestandone la contradditorietà: se “il matrimonio di diritto e letteratura potrebbe essere apparso una forma di resistenza a entrambe le ideologie dell’estetico apolitico e del diritto come scienza”14, proprio la riproposizione di tale separazioni disciplinari ne raf-

forzerebbe paradossalmente la distanza. L’interdisciplinarietà defi nitiva fi nirebbe per tendere ad “accrescere la disciplinarietà, rendendo caricatu- rale la differenza disciplinare mediante la brama di ciascuna disciplina di qualcosa che si immagina l’altra possieda”15.

La critica di Stone Peters è radicale, e indulge anch’essa a un certo modo caricaturale16 di presentare le questioni, ma individua indubbiamente una

reale diffi coltà del movimento, presente in testi prodotti (anche il presente

12 Ivi, p. 444 (tutte le traduzioni degli articoli dall’inglese sono dell’autore). 13 Ivi, p. 448.

14 Ivi, p. 449. 15 Ivi, p. 449.

16 Ad esempio allorché inizia, nel descrivere l’atmosfera di un convegno di diritto e letteratura, caratterizzandolo come popolato da professori reduci dalla genera- zione di protesta del confl itto di Vietnam, cultori di studi di genere e così via “che

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volume non si sottrae certo a questo rilievo). Tale situazione di diffi coltà teorica ha indubbiamente accentuato la reazione presunta “realista” in fi - losofi a (in realtà forse semplicemente differentemente neodogmatica) che, nell’ultimo decennio, sta conducendo a una vera e propria trasformazione dell’assetto complessivo del discorso fi losofi co, in cui talora non è impos- sibile osservare quegli stessi intellettuali post-Vietnam stigmatizzati dalla Stone Peters gettarsi surfando sul nuovo “paradigma”, per cogliere l’onda ritenuta in arrivo.

L’articolo mostra, ad ogni modo, una realtà problematica, senza preclu- dere del tutto una via d’uscita. Se infatti la Stone Peters individua, nella trasformazione del movimento verso un ancora più ampio ambito, quello delle Law and Humanities, un prevedibile peggioramento dei problemi già rilevati, in quanto in quest’ultimo viene individuato un propettiva di ricerca ancora più ampia e quindi necessariamente più a-morfa, ritiene che possa scaturire proprio dalla fi ne del movimento la possibilità del reale inizio del suo vero programma.

La risposta di Goodrich all’articolo della Stone Peters interviene su un punto debole dell’argomentare, rovesciando la nozione stessa di illusione da cui l’autrice muove: se il movimento diritto e letteratura è da considera- re un’illusione interdisciplinare, “ciò non signifi ca, però, che il suo tempo sia giunto alla fi ne, né che la nemesi sia prossima”17. Focalizzandosi invece

sull’illusione – la cui radice rinvia a ludere, giocare, to play – si può in- dividuare un futuro alle pretese delle inter-sottodiscipline: “La letteratura, precisa Goodrich, dopo tutto e tra il resto, consiste proprio nello studio dell’illusione, della fi nzione e del gioco, ed è signifi cativo che, nell’af- frontare tali basi immaginarie della società, l’invenzione delle istituzioni sociali e la fi nzione che le sorregge, il letterario e il giuridico si prenda- no carico variamente dell’illusione, delle fi gure del teatro sociale che essi descrivono”18. In altre parole, la svolta estetico antropologica che si profi la

all’orizzonte del movimento di diritto e letteratura, nella distinzione degli accostamenti delle humanities americane e della antropologia fi losofi ca e giuridica continentale, pare poter assumersi le contraddizioni proprie di un’interdisciplinarietà priva di metodo senza tornare a nuove facili setto-

occupavano il loro tempo a Parigi ascoltando Derrida e fumando Gauloises lungo la Senna”. Ivi, p. 442.

17 P. Goodrich, Screening Law, in «Law and Literature», 21, n.1, 2009, p. 2. 18 Ibid.

riali ed analitiche certezze19, dogmaticamente presupposte per mera reazio-

ne a una situazione diffi cile.

Il problema qui ben indicato è quello della mutabilità della visibilità della legge e della sua forma: “La legge deve essere resa visibile, e mentre l’indirizzarsi verso la pubblicità, l’esigenza per cui ‘la giustizia non solo deve essere fatta, ma deve essere vista essere fatta’ resta costante, le forme della sua visibilità mutano nel tempo”20.

La stessa letteratura può allora sopravvivere come parte di qualcosa di più ampio, che chiama in causa insieme il testo e l’immagine, ove la parola e l’immagine lavorano insieme, e la stessa illusione e lo svanire del reale ci immerge in un mondo, assai reale direi di fantasmi che risiedono entro la tradizione dell’evoluzione della forma del diritto. Proprio tale snodo mi pare l’ambito dell’estetica giuridica, intesa come parte interna al diritto e alla tradizione letteraria-testuale-religiosa dell’Occidente in via di globa- lizzazione.

Muovendo dal prevalere della scrittura sulla tradizione della presenza e dell’oralità preconizzato da Derrida si può così individuare, secondo l’au- tore, la tradizione dei corpus come fi gura del vero: “lo scritto precede la parola – osserva Goodrich – e ciò signifi ca che qualcosa che è scritto – un

writ per esempio – è un segno, un geroglifi co, un’ombra di quel che è in

defi nitiva un autore sacrale e una causa... entro questa tradizione abbiamo bisogno di collocare i gesti della legge anche come immagini stampate, forme visibili, fi gure dell’intenzione sovrana e sacrale”21 – verba visibilia,

nell’idioma cristiano.

All’articolo della Stone Peters può essere fatta un’ultima annotazione. Accanto all’accusa dell’illusorietà con cui viene caratterizzata l’interdisci- plinarietà del movimento di diritto e letteratura, esso viene anche accusato, come si è visto, di somatizzazione, nel corpo disciplinare, di qualche in- visibile tormento, di un desiderio frustrato messo in atto. Questa ulteriore caratterizzazione ci spinge a osservare à la Legendre e à la Goodrich come proprio il chiamare in causa il lessico della somatizzazione e del corpo appartenga esattamente alla mutevole tradizione della testualità iconico- dogmatico occidentale, alla tradizione fi nzionale e fantasmatica dei Corpus

19 Sui risvolti antropologici di questi aspetti metodologici e il loro nesso con la tra- dizione di diritto naturale di fronte al pensiero analitico nella fi losofi a del diritto, rinvio al mio articolo Affectio iuris: dalla svolta linguistica alla svolta affettiva? in «Teoria Critica della regolazione Sociale» (TCRS), 2013, Antropologia della giustizia, Mimesis, Milano 2014.

20 P. Goodrich, Screening Law, in «Law and Literature», 21, n.1, 2009, p. 2. 21 Ivi, p. 10.

P. Heritier - Estetica giuridica inclusiva vs. positivismo esclusivo 63 Iuris, su cui si erige il monumento dello Stato-Leviatano moderno. Come,

in altre parole, l’illusione dell’interdisciplinarietà tra diritto e letteratura conduce metodologicamente a riprendere la questione della visibilità e del- la forma della legge, così anche la somatizzazione “isterica” del desiderio disciplinare che essa tradurrebbe implica una svolta estetica, insita nelle radici della tradizione occidentale della natura iconico-dogmatica del testo giuridico, nella tradizione dei Corpus, che a sua volta chiama in causa, come a cascata, la questione evocata dell’unità storico-illusoria del Testo monumentale (religioso, giuridico, letterario, fi losofi co) proprio della sin- tesi biblica22.

Il seguito del lavoro di Goodrich, di cui l’articolo Visiocrazia presentato