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La Corte di Giustizia esclude la possibilità di un intervento integrativo del giudice

Giustizia dell'Unione Europea in merito conseguenze dell'accertamento dell'abusività

3. L'integrazione del contratto quale possibile alternativa alla sua caducazione integrale?

3.1 La Corte di Giustizia esclude la possibilità di un intervento integrativo del giudice

L'atteggiamento iniziale della Corte di Giustizia, in merito alla configurabilità di soluzioni che possono costituire un'alternativa valida alla soccombenza integrale del rapporto contrattuale originatasi da una invalidità che, in quanto protettiva, dovrebbe essere necessariamente parziale, è delineato in due pronunce, delle quali ho già avuto modo di parlare nel secondo capitolo di questa trattazione272: si tratta della sentenza Banco Español de Crédito e della sentenza Asbeek Brusse. Di tali decisioni si ritiene opportuna una disamina congiunta, poiché, nonostante il diverso contesto dal quale promanano- nel primo caso la controversia riguardava un contratto di mutuo per il quale il giudice aveva operato una rideterminazione al livello legale del tasso di

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Per un approfondimento sulle quali si rinvia rispettivamente al paragrafo 4.2 e 4.3 del secondo capitolo.

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interesse, mentre nel secondo veniva in considerazione un contratto di locazione, della cui clausola penale le parti avevano chiesto all'autorità giudiziaria una riduzione- le argomentazioni utilizzate in entrambe sono le stesse, così come le loro conclusioni.

Nello specifico, l'esito interpretativo cui giunge la Corte è molto netto: si esclude esplicitamente che il giudice possa intervenire sul contenuto della clausola abusiva, sostituendola con un'altra non affetta da nullità, dovendo questi obbligatoriamente limitarsi a disapplicarla.

Il ragionamento che il giudice comunitario compie per giustificare questa visione così radicale in merito alle conseguenze che devono essere tratte dalla dichiarazione di abusività di una pattuizione contrattuale, si può distinguere in due parti, tra loro intimamente correlate, delle quali l'una fa riferimento “al tenore letterale

dell'articolo 6, paragrafo 1, della Direttiva 1993/13/CE”, l'altra “agli obiettivi e all'economia generale di quest'ultima” (punto n° 61

sentenza Banco Español de Crédito).

Anzitutto, la Corte ribadisce che è vero che il carattere di norma imperativa, tesa a sostituire all'equilibrio formale che il contratto determina fra i diritti e gli obblighi delle parti contraenti un equilibrio reale, riconosciuto all'articolo 6, impone ai giudici, che accertano la natura abusiva di clausole in esso contenute, di trarre tutte le conseguenze che ne derivano secondo il diritto nazionale affinché il consumatore non ne sia vincolato. Tuttavia, posto questo, non si può non tenere conto del fatto che “il legislatore dell'Unione ha

esplicitamente previsto, nel secondo periodo dell'articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 […] che il contratto stipulato tra il professionista ed il consumatore resterà vincolante per le parti «secondo i medesimi termini», qualora esso possa sussistere «senza le clausole abusive»” (punto n° 64 sentenza Banco Español de Crédito e

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Di conseguenza, i giudici nazionali non sono autorizzati a rivedere il contenuto della pattuizione vessatoria, potendo essi semplicemente escluderne l'applicazione, in modo che questa non produca effetti vincolanti nei confronti del contraente debole. Ciò perché, il contratto “deve sussistere, in linea di principio, senz'altra modifica che non sia

quella risultante dalla soppressione delle clausole abusive, purché, conformemente alle norme di diritto interno, una simile sopravvivenza sia giuridicamente possibile” (punto n° 65 sentenza Banco Español de Crédito e punto n° 57 sentenza Asbeek Brusse).

In questo senso, la Corte di Giustizia si pone in linea con le conclusioni formulate dall'Avvocato Generale Trstenjak273, la quale aveva precisato che nell'ambito della Direttiva non si prevede espressamente né la sostituzione delle clausole vessatorie, né la sussistenza di un corrispondente potere dei giudici di farlo, limitandosi l'articolo 6 a prescriverne la non vincolatività per il consumatore.

A corroborare queste riflessioni concorrerebbero, inoltre, secondo il giudice comunitario, gli obiettivi e l'economia generale della stessa Direttiva, che costituisce un provvedimento indispensabile per l'adempimento dei compiti affidati all'Unione Europea, in particolare per l'innalzamento del livello e della qualità della vita al suo interno. In quest'ottica, considerata la natura e l'importanza dell'interesse pubblico sul quale si basa la tutela assicurata ai consumatori, l'articolo 7, paragrafo 1, della Direttiva impone agli Stati membri di predisporre mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l'inserimento di clausole abusive nei contratti stipulati con i professionisti.

Ciò posto, qualora si ammettesse la possibilità dell'autorità giudiziaria nazionale di rivedere il contenuto delle pattuizioni nulle, piuttosto che disapplicarle, si rischierebbe di compromettere la realizzazione di un simile obiettivo, poiché si ridurrebbe l'effetto dissuasivo esercitato sui

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professionisti, i quali “rimarrebbero tentati di utilizzare tali clausole,

consapevoli che, quand'anche esse fossero invalidate, il contratto potrebbe nondimeno essere integrato, per quanto necessario, dal giudice nazionale” (punto n° 69 sentenza Banco Español de Crédito)274. Il che “violerebbe il divieto previsto dal diritto dell’Unione di vanificare gli obiettivi di una direttiva mediante gli atti interni di recepimento” (paragrafo n° 87 delle conclusioni dell'Avvocato

Generale Trstenjak).

Si ritiene in linea di massima condivisibile la scelta operata dalla Corte di Giustizia di escludere la possibilità di una correzione giudiziale conseguente alla nullità delle clausole abusive. Infatti, una tale prerogativa potrebbe ingenerare una grande incertezza sul contenuto delle contrattazioni, riferendosi essa non ad ipotesi circoscritte di singole fattispecie negoziali, ma a rapporti normalmente conclusi “in serie”, nell'ambito dei quali la clausola abusiva è presente in una serie indeterminata di atti, sottoposti, in caso di contestazione, al vaglio di altrettante autorità giudiziarie diverse275.

Tuttavia, le due pronunce appena esaminate non sono immuni da alcuni rilievi critici. In particolare, problematica risulta la mancanza di una presa di posizione chiara in merito all'integrazione del contratto privato delle clausole abusive per il tramite del diritto dispositivo,

274D'altronde, come non manca di sottolineare anche l'Avvocato Generale nelle sue conclusioni, un adeguamento del contratto lasciato all'intervento giudiziale ridurrebbe notevolmente i rischi nei quali questi ultimi incorrono per l'impiego di clausole abusive. Mentre, infatti, una volta rilevata la non vincolatività di una clausola il professionista può avere motivo di temere di restare vincolato ad un contratto per lui eventualmente più sfavorevole, l'adeguamento, in fin dei conti, induce ad allineare le condizioni contrattuali a un livello conforme alla legge, e quindi accettabile per il professionista. Inoltre, “anche nelle fattispecie in cui il carattere abusivo di una o più clausole comporterebbe l’inefficacia totale del contratto, il professionista può confidare nel fatto che il contratto manterrà comunque la sua efficacia, cosa che può anche non essere nell’interesse del consumatore” (paragrafo n° 88).

275G. D'AMICO, L'integrazione (cogente) del contratto mediante il diritto

dispositivo, in “Nullità per abuso ed integrazione del contratto”, a cura di G. D'Amico- S. Pagliantini, Torino, 2013, p. 233

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rispetto alla quale la Corte non si è pronunciata né per l'accantonamento, né per l'accoglimento.

In un simile contesto, varie sono state le ricostruzioni proposte dagli interpreti: secondo una prima visione, il giudice comunitario avrebbe respinto non solo la soluzione che prevede un potere correttivo dell'autorità giudiziaria, ma anche, implicitamente, quella che vede l'operare del diritto dispositivo quale strumento suppletivo a garanzia della sopravvivenza del rapporto276.

La dottrina maggioritaria ha, invece, optato per una diversa interpretazione, in virtù della quale le pronunce del giudice comunitario avrebbero sancito una posizione “neutrale” del legislatore europeo della Direttiva 1993/13/CE, che rimetterebbe ai principi e alle regole proprie dei singoli ordinamenti nazionali l'ammissibilità di un'integrazione di tipo dispositivo277. In altre parole, la Corte di Giustizia avrebbe lasciato “aperta la possibilità che la lacuna

determinata dalla caducazione di una clausola «vessatoria» sia colmata attraverso il ricorso al diritto dispositivo, naturalmente ove ciò sia previsto e/o consentito dai singoli ordinamenti nazionali”278.

276A. D'ADDA, Giurisprudenza comunitaria e “massimo effetto utile per il

consumatore”: nullità (parziale) necessaria della clausola abusiva e integrazione del contratto (Corte di Giustizia dell'Unione Europea, 14 giugno 2012, n° 618/10), in “Contratti”, 2013, 2, pp. 16 ss., il quale afferma che “sebbene non sia del tutto chiaro se per la Corte - sul presupposto che è soprattutto la riduzione giudiziale a rivelarsi la meno favorevole per il consumatore - la direttiva 93/13 «osti» alle sole disposizioni nazionali che autorizzino il giudice a ridisegnare (id est a ridurre nel limite del lecito) la clausola abusiva; ovvero anche a quelle che si limitino a rimettere in gioco, in luogo delle regole abusive, la disciplina dispositiva che la pattuizione vessatoria ha derogato […] sembra che anche la «mera» integrazione dispositiva si ponga per la Corte in conflitto con le scelte comunitarie - indicazioni in questo senso si possono inferire dalla nettezza della affermazioni con cui si esclude qualsiasi modifica «che non sia quella risultante dalla soppressione della clausola abusiva»”.

277S. PAGLIANTINI, L'integrazione del contratto tra Corte di Giustizia e nuova

disciplina sui ritardi di pagamento: il segmentarsi dei rimedi, in “Contratti”, 2013, 4, pp. 406 ss.

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3.2 L'evoluzione nella posizione del giudice comunitario e

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