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Quale grammatica per l’insegnamento?

1. Che cos’è una lingua?

Si può partire da una nozione condivisa di grammatica come “insieme di re-gole che descrivono una lingua dal punto di vista formale: pronuncia, morfo-logia, ordine delle parole (sintassi) e come questi aspetti siano correlati ad una interpretazione (semantica e pragmatica). Ma questa non è sufficiente, perché non è veramente condiviso il significato dei due termini chiave: “lin-gua” e “regola”.

Il concetto di “linguaggio” e conseguentemente di “lingua”, nel secolo scorso, ha subito una rivoluzione iniziata con gli strutturalisti europei e ame-ricani che hanno posto in primo piano, nei primi decenni del ’900, lo studio empirico delle singole lingue. Noam Chomsky, alla fine degli anni ’50, ha posto l’accento dapprima sulla natura mentale e astratta del linguaggio in quello che ha definito approccio cartesiano (in cerca di regole della gramma-tica mentale, che sono regole astratte più che di regole tassonomiche) e più di recente, intorno agli anni ‘80, ha posto l’accento sulla natura biologica del linguaggio, permettendo così alla linguistica generativa di fornire ipotesi di analisi sullo sviluppo diacronico delle lingue, sulla variazione diatopica e diastratica, sull’intepretazione del contatto linguistico, sull’acquisizione del-le lingue, e soprattutto di mettersi al servizio deldel-le molteplici discipline bio-mediche che studiano il funzionamento di mente e cervello sia in situazioni di normalità sia in situazioni di disabilità specifiche.3

Per questo tipo di approccio che considera il linguaggio una proprietà biologica della mente umana, la cui natura può essere colta solo da ipotesi altamente astratte, di tipo matematico, una lingua non è altro che la risultante di una conoscenza innata (la facoltà del linguaggio), comune a tutti gli esseri umani. Dunque tutte le lingue naturali hanno, a dispetto delle apparenze, moltissimo in comune (i principi), tanto che l’acquisizione della lingua ma-terna avviene con una velocità sbalorditiva attraverso interazione con l’ambiente esterno che permette la fissazione di “pochi” aspetti che sono

la-3 Sembrerà strano il mio non citare in bibliografia alcuna opera specifica di Chomsky, ma de-vo dire che l’opera di divulgatori ed esperti di altre discipline che si sono commissionate con la linguistica generativa sia qui più rilevante. D’altro canto proprio Chomsky ha spesso soste-nuto, a mio parere erroneamente, che la grammatica generativa non sia molto rilevante per l’insegnamento delle lingue straniere, come nell’intervista rilasciata a Domenico Pacitti nel 1999 e riportata in http://www.justresponse.net/evolution_of_revolution.html nel 2002 in cui metaforicamente afferma che non serve sapere come si nuota per nuotare bene. Ma la metafo-ra non mi sembmetafo-ra adatta, nuotare è un’abilità fisica diversa dall’uso del linguaggio e trovo più convincente estendere la proposta di Cornoldi (1995) anche corroborata dai due esperimenti di Musso e di Tettamanti, piuttosto che chiudermi nella turris eburnea della pura teoria lin-guistica.

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sciati aperti ma hanno comunque una possibilità di scelta molto limitata (i parametri).

Partendo da questa impostazione, una data lingua è un’entità relativamen-te difficile da identificare dal punto di vista storico e geografico, essendo pa-trimonio di gruppi sociali più o meno estesi ed essendo tramandata dal grup-po sociale al singolo che a sua volta costituirà parte del grupgrup-po sociale (non sempre identico a quello in cui ha acquisito la prima lingua, data la mobilità umana). Si deve anche tenere presente che i gruppi sociali e i/le singole par-lanti che li costituiscono sono sostanzialmente plurilingui, soprattutto se si considera la coesistenza della lingua nazionale con varietà di diverso livello di ampiezza locale, ma anche i diversi registri linguistici tutti facenti parte dello stessa lingua, ma in qualche modo simili a grammatiche che coesistono nello/a stesso/a parlante e nello stesso sistema lingua, l’una vicina all’altra, a volte compenetrandosi e influenzandosi indebitamente.

Dunque, l’acquisizione di una lingua (è un dato di fatto) avviene in modo spontaneo e inconscio, senza e spesso malgrado l’istruzione esplicita, in un periodo relativamente breve dello sviluppo cognitivo umano a partire dai primissimi giorni di vita (se non prima), e quello che più straordinariamente distingue questo tipo di apprendimento da altri tipi di apprendimento lingui-stico e non linguilingui-stico è che il risultato finale è omogeneo in tutte e tutti gli apprendenti. La competenza nella propria lingua madre può variare nel lessi-co e in lessi-costruzioni veramente marginali, ma i giudizi di grammaticalità sono omogenei tra le/i parlanti nativi. Se le regole della grammatica mentale si imparano spontaneamente, è difficile anche per il/la linguista stabilire che forma abbiano; sicuramente non sono le regole della grammatica tradiziona-le, che vietano o prescrivono configurazioni molto specifiche ma sono pro-cedure molto astratte che permetto di generare un gran numero di strutture.

Ma come sono fatte queste regole e, soprattutto, ha senso “insegnarle” se per definizione queste si apprendono a prescindere dall’istruzione esplicita? In quanto segue cerco di accennare alcune risposte provvisoriamente positi-ve, ma prima vorrei fare un’ultima osservazione sul carattere prescrittivo della grammatica cui siamo abituate/i.

L’italiano standard,4 è sicuramente una L2 per tutti i bambini e le bambi-ne che iniziano il percorso scolastico, tanto più che ha per modello l’italiano scritto di livello alto, che oltre ad avere un lessico più ricco e di minor fre-quenza prevede costruzioni spesso scomparse dal parlato quotidiano (come l’uso del congiuntivo, dei pronomi dativi loro e le, l’accordo al femminile della forma di cortesia Lei, e altro ancora). Questo standard ha anche subito 4 Per una grammatica di riferimento che mette la linguistica al servizio della corretta descri-zione della lingua italiana v. Renzi et al. 1988-1995, ora in preparadescri-zione Renzi e Salvi sulla descrizione dell’italiano antico.

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una serie di “regole” di carattere stilistico che poco hanno a che fare con la conservazione della lingua, un classico esempio è la proibizione della ripresa clitica (mi) di un elemento pronominale (a me) dislocato alla sinistra della frase, come in: A me, prima d’ora, una cosa del genere non mi era mai

ac-caduta, che nella lingua parlata non normata è (o dovrebbe essere) del tutto

naturale.5 Questo esempio ci pone di fronte a due concetti di “regola” com-pletamente diversi: la regola acquisita inconsciamente dal(la) parlante pre-vede che un elemento possa essere anticipato alla sinistra della frase come nei casi in (1) per coerenza di costruzione della struttura del discorso, ad e-sempio se è il referente Maria è già introdotto nel discorso. Questo elemento può essere ripreso opzionalmente da un pronome clitico se non è il comple-mento oggetto (1a-b). Nel caso del complecomple-mento oggetto il pronome clitico è invece obbligatorio (1c). Si noti che non essendoci un pronome clitico sog-getto in italiano standard, per il sogsog-getto la ripresa pronominale non è possi-bile (1d):

(1) a. A Maria, prima d’ora, una cosa del genere, non (le) era mai accaduta. b. Con Maria, prima d’ora, Teresa non (ci) aveva mai litigato.

c. Maria, prima d’ora, Giacomo non l’aveva mai offesa. d. Maria, prima d’ora, non era mai stata rimproverata.

Chi parla italiano, se fa astrazione dalla norma scolastica (che ha molto più potere di quanto non si possa immaginare, almeno per questo tipo di da-ti) condivide l’opzionalità del clitico (le/ci) in (1a-b), resa possibile dalla funzione di oggetto indiretto o preposizionale dell’antecedente (a/con

Ma-ria), e la sua obbligatorietà in (1c), che è dovuta alla funzione di

comple-mento oggetto di Maria. Se l’elecomple-mento dislocato a sinistra è un pronome per-sonale, inoltre, si deve tenere presente che questo si trova preceduto dalla preposizione a non solo quando è un dativo, ma anche quando ha la funzione di accusativo (come in (2c)). Si noti che la a non appare nella posizione non dislocata (2a-b) dimostrando appunto che non si tratta di un dativo:

(2) a. Ieri hanno convocato me (domani convocheranno te). b. Mi hanno convocato ieri.

c. A me, mi hanno convocato ieri, (a) te ti convocheranno domani.

È chiaro che il verbo convocare in italiano è transitivo e prende un comple-mento oggetto. Infatti non è possibile in italiano standard far precedere 5 Su A me mi si veda la nota di Giovanni Nencioni su La crusca per voi anche disponibile nel sito dell’Accademia della Crusca

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l’oggetto dalla preposizione come in *Hanno convocato a me, oppure *Hanno convocato a Maria. Ma mi sembra anche chiaro che in (2c) la pre-posizione sia (quasi) indispensabile prima di me, forse meno indispensabile, e comunque non impossibile prima di te. Quello che non deriva da nessuna regola (né mentale né prescrittiva) è l’eliminazione del clitico di ripresa per un accusativo. Eppure il parlato normato che sentiamo continuamente in si-tuazioni controllate produce frasi agrammaticali come (3a), che temo sia en-trata nell’uso ma non rientra nella stessa regola di (3b), come mostra la totale agrammaticalità di (3c):

(3) a. A me hanno convocato ieri.

b. Il prof. Rossi, lo convocheranno domani. c. *Al prof. Rossi convocheranno domani.

Per concludere questa prima parte: la lingua è un insieme di regole della grammatica mentale di chi parla, che si devono scoprire attraverso un’analisi basata sull’osservazione scientifica e liberata da pregiudizi di presunta logi-cità o eleganza. Chi acquisisce la lingua dal contesto sociale, fissa attraverso l’esposizione ai dati una serie di parametri, di scelte binarie lasciate aperti dalla grammatica mentale. Per dare un’esposizione sufficiente alla lingua standard di registro alto a bambini e bambine in età prescolare si possono mettere in campo azioni positive come la lettura ad alta voce, una cura parti-colare nel registro parlato in situazioni formali come certi momenti di narra-zione nella scuola dell’infanzia, certi testi anche orali nei prodotti multime-diali rivolti ai più giovani. Le regole normative del tipo “non si dice a me

mi” fanno più danno che bene alla struttura stessa della lingua che voglio

preservare e se hanno successo rischiano di snaturare la struttura più intima della lingua.

2. Metacognizione linguistica e insegnamento delle lingue straniere