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CAPITOLO 1- LA GESTIONE COLLETTIVA DEL RISPARMIO

1.2. L’Exchange traded fund

1.2.3. I costi

Il mondo del risparmio gestito è sempre stato oggetto di critiche in merito alla componente dei costi. L’attività dei gestori, direttamente e indirettamente, genera dei costi e questi, inevitabilmente, gravano sulle performance dei prodotti.

Il tema dei costi è al centro della regolamentazione europea dal momento che viene richiesta sempre maggior trasparenza ai gestori. La Direttiva UCITS, unitamente al Regolamento EU n. 583/2010, disciplinano che le informazioni sui costi debbano essere strutturate all’interno di una tabella48 e in forma percentuale. Tali costi vengono divisi in tre categorie:

1) costi di sottoscrizione e rimborso;

2) commissioni ongoing concern (commissioni ricorrenti sottratte dal patrimonio del fondo, esclusi i costi di transazione per le operazioni);

3) commissioni applicate a determinate condizioni.

Successivamente sul tema è intervenuto anche il Regolamento EU n. 1286/2014, denominato Regolamento PRIIPs che disciplina i prodotti preassemblati destinati alla clientela retail, prevedendo che nel KID di questi ultimi sia contenuta una apposita sezione dedicata ai costi nella quale vengano riportati tutti i costi gravanti sull’investitore sia in forma percentuale che fissi per tramite di un indicatore sintetico. In attuazione del Regolamento PRIIPs, è stato emanato il Regolamento EU n. 653/2017 che specifica i dettagli della rappresentazione dei costi e delle metodologie di calcolo dell’indicatore sintetico.

Vengono quindi previste due tabelle: una relativa all’impatto dei costi sull’investimento nel tempo, suddivisi in 3 intervalli temporali (disinvestimento dopo 1 anno, disinvestimento dopo il periodo di detenzione raccomandata e disinvestimento alla fine del periodo di detenzione raccomandata); e l’altra, sulle entità delle singole tipologie di costo computate su base annuale.

L’indicatore sintetico di costo è il cosiddetto reduction in yield (RIY) che misura i costi in termini di riduzione del rendimento.

Il paragrafo 70 dell’allegato VI al suddetto Regolamento definisce la metodologia di calcolo “come differenza tra due percentuali, “i” e “r”, dove “r” è il tasso interno annuo di

rendimento in relazione ai pagamenti lordi da parte dell’investitore al dettaglio e alla stima dei pagamenti di prestazioni a favore dell’investitore al dettaglio durante il periodo di detenzione raccomandato, mentre “i” è il tasso interno annuo di rendimento nel rispettivo

48 La struttura di tale tabella è definita dall’Annex II del Regolamento n. 583/2010 e del documento CESR/10-

scenario privo di costi”. A differenza di quanto disciplinato dalla Direttiva UCITS in merito

al proprio indicatore di costo, il RIY considera anche i costi relativi alle operazioni di compravendita e i costi di performance49.

Tali previsioni valgono sia per gli ETF che per i fondi comuni di investimento.

I costi che gravano sugli investitori in ETF sono da questi sostenuti:

- indirettamente: applicati formalmente al fondo, mediante periodica decurtazione dal suo patrimonio e quindi dal valore delle quote sottoscritta. Questi non comportano un esborso immediatamente percepito dall’investitore;

- direttamente: sono invece costi sostenuti proprio dall’investitore stesso per effettuare l’operazione.

I costi indiretti sono:

- commissioni di gestione; - commissioni di incentivo;

- remunerazione della banca depositaria; - oneri residuali.

Le commissioni di gestione sono appunto i costi di gestione ed operativi sostenuti dal gestore dell’ETF per la propria attività. Tale voce comprende i costi di gestione del portafoglio, i costi di revisione ed altri costi operativi.

Le commissioni di incentivo o di performance (incentive fees) sono le commissioni che spettano al gestore che, in un determinato periodo, abbia raggiunto determinati risultati in termini di performance. Si tratta di un compenso ulteriore a quanto regolarmente percepito dal gestore per la sua ordinaria attività. È una componente di costo più diffusa nei fondi comuni di investimento dove il gestore, attivo nel caso, ha lo specifico obiettivo di conseguire un rendimento migliore del mercato. Proprio per questa finalità della gestione attiva, il tema delle incentive fees è ampiamente dibattuto dal momento che queste costituiscono una remunerazione ulteriore alla commissione di gestione, già di per sé superiore a quanto previsto per una gestione passiva, quando il gestore raggiunge

performance per le quali è già stato remunerato. Sostanzialmente, l’investitore paga una

commissione di gestione più alta per le abilità del gestore e pagherà un ulteriore commissione di performance nel caso in cui tali abilità siano state concretamente riscontrate50.

49 Cfr. (Finiguerra, Frati, & Grasso, 2018); 50 Cfr. (Cucurachi, Carnevale, & Drago, 2015);

La remunerazione della banca depositaria attiene ai costi che il gestore deve pagare alla banca presso la quale sono depositati i titoli del proprio portafoglio.

Tra gli oneri residuali, talvolta considerati come costi di gestione operativi, figurano anche i costi di distribuzione del fondo, cioè i costi per la produzione delle brochure, i costi di

marketing e i costi di distribuzione del prodotto, i diritti che deve pagare il fornitore dell’ETF

per replicare l’indice e le spese legali e giudiziarie collegate al fondo passivo.

Tutti i costi indiretti vengono espressi in percentuale annua e prendono il nome di TER,

Total Expense Ratio51. Tale indice rappresenta un importante supporto comparativo per

confrontare diversi ETF; tuttavia, occorre precisare che non c’è un legame diretto o inverso tra TER e performance. Un ETF con TER più basso di un altro, che replica il medesimo indice, non necessariamente avrà una performance migliore.

Con la Direttiva UCITS IV, il TER – quale indicatore presente nel KIID (Key Investor

Information Document) – è stato sostituito dalle cosiddette ongoing charge, ossia spese

correnti.

Nelle spese correnti sono comprese le commissioni di gestione, di amministrazione, di revisione, la remunerazione della banca depositaria e altri oneri. Anche queste vengono decurtate direttamente dal patrimonio del fondo. A differenza del TER però, ongoing charge non includono le commissioni di performance.

Anche questo indicatore è espresso in percentuale ed è dato dalla somma delle suddette spese correnti rapportate alla media del NAV52.

Nello specifico per i fondi comuni di investimento, oltre a questi costi indiretti l’investitore sostiene anche dei costi diretti.

Questi principalmente si possono ricondurre a:

- commissioni di ingresso: pagate al momento dell’acquisto delle quote; - commissioni di uscita: pagate al momento di riscatto delle quote.

Le prime sono in relazione inversa rispetto all’entità dell’investimento; maggiore è la somma investita nel fondo, minori sono le commissioni di ingresso pagate. Talvolta, l’intermediario collocatore può esentare anche l’investitore da questi costi.

Le seconde, invece, sono in relazione inversa rispetto al periodo di permanenza nel fondo; più lungo è il periodo dell’investimento, minori sono le commissioni di uscita pagate.

51 Cfr. (Albareto, Cappelletti, Cardillo, & Zucchelli, 2017); 52 Cfr. (Zaglio, 2014);

Si tratta in entrambi i casi di componenti opzionali, non applicate da tutti i fondi.

La stima del costo complessivo per il sottoscrittore è rappresentata dal Total Shareholder

Cost (TSC) che considera le suddette tipologie di costi.

Si precisa che non essendo presente una definizione univocamente condivisa del TSC, a differenza del TER e delle ongoing charge – disciplinate dalla normativa – tale indicatore non è presente nel KIID o in altre documentazioni ma è necessario procedere a calcolarlo autonomamente, con possibili divergenze nelle metodologie di calcolo applicate.

Essendo particolarmente rilevante la componente dei costi sui rendimenti dei fondi, questo tema è continuamente oggetto di dibattito e ricerche. Recentemente sia Banca d’Italia che CONSOB si sono interessate al tema rispettivamente con un Occasional Paper53 e un

Discussion Paper54. Tali analisi prendono a riferimento i fondi comuni.

La Banca d’Italia ha provveduto a calcolare il TSC con la seguente formula:

𝑇𝑆𝐶(𝑎, 𝑓) = [(𝐶𝑂𝑀𝑀-.//.-01232.45+ 𝐶𝑂𝑀𝑀1289.1-.) × 𝑇𝑢𝑟𝑛𝑜𝑣𝑒𝑟 + 𝑇𝐸𝑅]

dove 𝐶𝑂𝑀𝑀-.//.-01232.45 rappresenta tutti i tipi di commissioni pagate direttamente dagli investitori al momento dell’acquisto e 𝐶𝑂𝑀𝑀1289.1-. tutti i tipi di oneri pagati dagli

investitori al momento del riscatto delle quote. Banca d’Italia ha calcolato il TSC al netto delle possibili duplicazioni derivanti dall’inclusione delle commissioni di sottoscrizione tra gli oneri di gestione attuata da alcuni fondi. Il 𝑇𝑢𝑟𝑛𝑜𝑣𝑒𝑟 rappresenta invece la durata media degli investimenti. L’ultimo elemento considerato è quindi il TER, per il quale sono state considerate le seguenti tipologie di commissioni:

- commissioni corrisposte alla banca depositaria per funzioni istituzionali; - altre commissioni e spese corrisposte alla banca depositaria;

- provvigione unica corrisposta alla società di gestione; - provvigioni di gestione corrisposte alla società di gestione; - provvigioni di incentivo corrisposte alla società di gestione; - altre provvigioni corrisposte alla società di gestione;

- commissioni corrisposte agli intermediari per la compravendita di titoli; - altre commissioni corrisposte ad altri intermediari;

- compenso per attività di prime brokerage.55

53 Cfr. (Albareto, Cappelletti, Cardillo, & Zucchelli, 2017); 54 Cfr. (Finiguerra, Frati, & Grasso, 2018);

55 Tale schema per il calcolo del TER è ripreso dalla Circolare 154 Segnalazioni di vigilanza delle istituzioni

creditizie e finanziarie – Schemi di rilevazione e istruzione per l’inoltro dei flussi informativi – Tomo III –

Dall’analisi della Banca d’Italia è emerso che nel decennio 2006 – 2016, il TSC medio è stato pari all’1,58% del patrimonio complessivo dei fondi.

Lo spostamento delle masse gestite dai fondi obbligazionari e monetari, penalizzati dai tassi negativi, verso i fondi flessibili, alla ricerca di maggior rendimento, ha comportato un incremento del peso percentuale delle commissioni dirette (commissioni di ingresso e rimborso) sul totale TSC contro una riduzione delle commissioni di gestione.

Questo spostamento della composizione dei costi è accentuato anche dalla progressiva diffusione dei fondi a scadenza predefinita, sui quali gravano importanti commissioni di rimborso in caso di vendita anticipata rispetto alla scadenza.

Dallo studio CONSOB emerge inoltre che circa il 70% delle commissioni totali percepite dalle SGR è destinato alla remunerazione delle reti distributive che hanno concretamente venduto il prodotto all’investitore. La normativa MiFID 2 interviene puntualmente anche su questo tema prevedendo un vasto dettaglio delle commissioni ristornate ai distributori. Considerando comunque i fondi destinati ai clienti retail, quelli di diritto italiano presentano costi in linea con la media europea. I fondi destinati agli investitori istituzionali presentano invece mediamente minori costi a causa di un duplice motivo: a) gli importi minimi di investimento per questi fondi è sensibilmente più alto dell’importo minimo dei fondi retail e quindi i costi di gestione ed operativi incidono meno in percentuale sulla somma investita; b) per i minori costi distributivi che sostengono le società di gestione dato che non dovranno raggiungere capillarmente l’ampia platea dei potenziali investitori retail bensì la più ristretta cerchia degli addetti ai lavori (investitori istituzionali) 56.

Concentrando l’attenzione strettamente sul mercato degli ETF è necessario tenere presente ulteriori elementi di confronto. La gestione attiva, comportando appunto un maggior onere in capo alla società di gestione, inevitabilmente rende più costoso il prodotto se confrontato con il più simile prodotto passivo. Nonostante ciò, anche gli ETF hanno costi aggiuntivi, oltre ai canonici oneri ricompresi nel TER, che minano le loro performance e che spesso sono trascurati dagli investitori alla ricerca solitamente dell’ETF con TER più basso.

Tra i costi diretti non compresi nel TER, sono presenti:

- costi di ribilanciamento: ossia i costi che il gestore sostiene quando ribilancia il proprio portafoglio per allinearlo alla composizione del benchmark;

- commissioni di swap: si tratta di costi, sostenuti solo dagli ETF a replica sintetica, per le operazioni in derivati (swap).

Oltre a questi, occorre considerare anche un altro fondamentale costo indiretto sostenuto dall’investitore cioè il differenziale bid-ask. Lo spread denaro-lettera, oltre ad assicurare la liquidità del prodotto, costituisce un onere per l’investitore: più ampio è il differenziale, maggiore sarà questo costo57.

Dal momento che il prezzo denaro è il prezzo massimo al quale un compratore è disposto ad acquistare il titolo, mentre il prezzo lettera è il prezzo minimo al quale un venditore è disposto a cedere il titolo, il possessore del titolo potrà vendere al prezzo denaro, mentre il potenziale acquirente potrà acquistare al prezzo lettera.

A titolo meramente esemplificativo, ipotizzando per due determinati ETF X e Y.

Tabella 1 - Differenziale denaro-lettera

Denaro Lettera Differenziale ETF X 9,00 10,00 –1,00 ETF Y 9,90 10,00 –0,10

In questo caso, un investitore interessato all’ETF X, potrà acquistarlo al prezzo di 10,00 e potrà venderlo al prezzo di 9,00, con un risultato netto di –1,00; invece, l’ETF Y potrà essere acquistato sempre a 10,00, ma potrà essere venduto ad un prezzo denaro di 9,90, con un risultato netto di –0,10. Ceteris paribus, l’ETF Y è preferibile rispetto all’ETF X.