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MSCI WORLD: CONFRONTO EMPIRICO TRA GESTIONE ATTIVA E GESTIONE PASSIVA

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Academic year: 2021

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Corso di Laurea Magistrale in Banca, Finanza Aziendale e Mercati Finanziari Dipartimento di Economia e Management

TESI DI LAUREA

MSCI World: confronto empirico

tra gestione attiva e gestione passiva

CANDIDATO RELATORE

Nicola Ferretti Prof. Riccardo Cambini

(2)
(3)

Sommario

Sommario ... 3

INTRODUZIONE ... 5

CAPITOLO 1- LA GESTIONE COLLETTIVA DEL RISPARMIO ... 7

1.1. Inquadramento normativo ... 7

1.1.1. Cenni storici ... 8

1.1.2. L’attuale contesto normativo ... 9

1.1.3. La regolamentazione del mercato e MiFID 2 ... 18

1.1.4. La gestione passiva nel quadro regolamentare ... 21

1.2. L’Exchange traded fund ... 26

1.2.1. Le modalità di replica ... 30

1.2.2. Le tipologie ... 35

1.2.3. I costi ... 40

1.2.4. La tassazione ... 45

1.3. Cenni statistici ... 50

1.3.1. Attività finanziarie delle famiglie italiane e confronto internazionale ... 50

1.3.2. Il contesto europeo del risparmio gestito ... 54

1.3.2.1. Open-end funds vs. closed-end funds ... 54

1.3.1.2. Politiche di investimento ... 61

1.3.3. Gli exchange traded funds nel mondo ... 70

CAPITOLO 2 – ANALISI EMPIRICA ... 73

2.1. Selezione dei titoli ... 73

2.1.1. Il benchmark ... 74

2.2. Valutazione dei titoli ... 81

2.2.1. Rendimento ... 81

(4)

2.2.3. Correlazione ... 88

2.2.4. Indici di performance corretta per il rischio ... 92

2.2.4.1. Indice di Treynor ... 93

2.2.4.2. Indice di Sharpe ... 95

2.2.4.3. Indice di Sortino ... 96

2.2.4.4. Indice di Modigliani ... 97

2.2.4.5. Alfa di Jensen ... 98

2.3. Analisi singoli titoli ... 98

2.3.1. BIFGGAE ID – Brandes Global Value-A-Eur ... 99

2.3.2. CDCOGRE LX– Natixis Harris Ass Glew - Rae ... 104

2.3.3. CIFGETE LX– Cap Grp Global Eqty-T- Eur ... 109

2.3.4. CSEFSIE LX– Cs Lux Global Value Eq-B Eur ... 114

2.3.5. JBSGLMB LX– Gam Global Eq Income-Eur B ... 119

2.3.6. MFSGEA1 LX– Mfs Mer-Global Equity-A1 Eur ... 124

2.3.7. NORGLPE LX– Nordea I Sic-Global P Bp-Eur ... 129

2.3.8. SCHGEAE LX– Schroder Intl Gl Eq Alp-A AE ... 134

2.3.9. SCHGQEA LX– Sisf-Qep Global Quality-A A ... 139

2.3.10. SCHGVAE LX– Sisf-Qep Gl Active Value-A ... 144

2.3.11. SWDA IM – iShares Core Msci World ... 149

2.3.12. XMWO GR – X World Swap 1C ... 154

2.4. Comparazione tra ETF e fondi ... 159

CONCLUSIONI ... 164

Bibliografia ... 166

Indice delle figure ... 169

(5)

INTRODUZIONE

L’allocazione del risparmio è un tema particolarmente attuale soprattutto negli ultimi anni con la continua evoluzione del risparmio gestito che offre un panorama di vari prodotti alternativi rispetto ai classici investimenti.

Il mondo del risparmio gestito è stato ed è in continua evoluzione sia normativa che tecnica ed è fondato sul principio della diversificazione. La sua diffusione è amplificata anche dalla pressione commerciale esercitata dagli istituti di credito che puntano a collocare fondi comuni di investimento alla propria clientela.

L’acquisto di un fondo comune consente, anche con capitali ristretti, di delegare la gestione del capitale a dei professionisti specializzati, adottando il principio della diversificazione, difficilmente ottenibile strutturando il portafoglio in autonomia. Tale attività ovviamente comporta scelte discrezionali da parte dei gestori, anche se con dovute limitazioni, e – soprattutto – oneri aggiuntivi, dal momento che l’attività del gestore deve essere remunerata. Negli ultimi anni si sono però diffusi con notevoli tassi di crescita gli exchange traded fund (ETF) che vanno ad integrare l’offerta di risparmio gestito affiancando i fondi comuni di investimento. L’ETF consente sempre di diversificare l’investimento però richiede minori oneri di gestione rispetto ai fondi comuni. Questo perché nell’ETF il gestore non ha un ruolo attivo bensì persegue l’obiettivo di replicare il più fedelmente possibile il relativo benchmark.

L’onere maggiore sostenuto dall’investitore che acquista un fondo comune dovrebbe essere compensato da performance migliori o quantomeno da minor rischio del fondo, ma è sempre così?

Il presente elaborato si propone quindi di analizzare e confrontare empiricamente il comportamento di fondi comuni ed ETF che investono nel mercato azionario dei paesi sviluppati.

L’elaborato si compone di due parti: la prima, teorica e la seconda, afferente alla vera e propria analisi empirica.

Il Capitolo 1 (Cfr. 1. La gestione collettiva del risparmio) inizia con un excursus normativo del risparmio gestito (Cfr. 1.1. Inquadramento normativo) con un focus in merito alle peculiarità normative degli ETF. Successivamente si analizza lo strumento ETF con le sue particolarità tecniche, organizzative e fiscali (Cfr. 1.2. L’exchange traded-fund) per poi

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passare ad una breve analisi statistica dei dati di diffusione dei fondi ed ETF (Cfr. 1.3. Cenni statistici).

Il Capitolo 2 (Cfr. 2. Analisi empirica) entra nel vivo del lavoro affrontando in primis la metodologia adottata per selezionare i titoli del campione oggetto di analisi (Cfr. 2.1. Selezione titoli) con un approfondimento in merito al benchmark scelto e successivamente vengono esplicati i parametri di rendimento, rischio e performance risk-adjusted calcolati sulle serie storiche dei titoli precedentemente selezionati (Cfr. 2.2. Valutazione dei titoli). Preme precisare che per la parola “titolo”, ricorrente nell’elaborato, si intende il singolo fondo, ETF o SICAV oggetto dell’analisi.

Il paragrafo 2.3. (Analisi dei singoli titoli) riporta le risultanze dell’analisi per ciascun titolo oggetto del campione e il successivo paragrafo 2.4. (Comparazione tra ETF e fondi) tira le fila dell’intera analisi empirica cercando di rispondere al quesito citato in precedenza.

(7)

CAPITOLO 1- LA GESTIONE COLLETTIVA DEL

RISPARMIO

1.1. Inquadramento normativo

Il tema del risparmio è oggetto di normativa fin dai livelli più elevati della gerarchia delle fonti. La Costituzione stessa, all’art. 471, prevede che la Repubblica italiana incoraggi e tuteli

il risparmio in tutte le sue forme.

Con la precisazione “in tutte le sue forme” si ricomprende anche la tutela del cosiddetto risparmio gestito, ovvero quella tipologia di risparmio che prevede l’attribuzione ad un intermediario terzo del mandato di gestione per le somme ad esso affidate. L’intermediario effettuerà quindi operazioni di acquisto e vendita di strumenti finanziari sui mercati nei limiti di quanto previsto dal mandato di gestione; le limitazioni possono prevedere che l’attività dell'intermediario sia circoscritta a specifici strumenti finanziari, sedi di negoziazione, emittenti, settori produttivi etc.. Il mandato può riguardare un patrimonio collettivo, ossia la gestione come un’unica entità del risparmio conferito da più soggetti, oppure individuale, cioè la gestione specifica da parte dell’intermediario del patrimonio conferito da un singolo soggetto.

Assume particolare rilevanza, anche ai fini del presente elaborato, la modalità di gestione del patrimonio, tipicamente distinta in gestione attiva e gestione passiva2.

E’ proprio il rapporto tra mandante e mandatario, o meglio, tra il risparmiatore e l’intermediario (gestore) che rende necessaria una normativa precisa e puntuale volta alla tutela del risparmio.

Nella gestione individuale il mandato è puntualmente disciplinato e personalizzato secondo le esigenze del risparmiatore ed il rapporto tra le parti è particolarmente stretto; nella gestione collettiva invece, il mandato non prevede la personalizzazione in base alle specifiche esigenze del cliente; il risparmio sarà quindi investito in massa insieme ai patrimoni di altri soggetti aderenti.

1 “La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla

l'esercizio del credito. Favorisce l'accesso del risparmio popolare alla proprietà dell'abitazione, alla proprietà diretta coltivatrice e al diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese”

(art. 47 Cost.);

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1.1.1. Cenni storici

La normativa italiana sulla gestione collettiva del risparmio è particolarmente articolata e complessa; ha vissuto un’importante evoluzione nel tempo per rispondere ai nuovi interrogativi posti continuamente dai mercati finanziari con la nascita di nuovi prodotti, più o meno complessi, e delle nuove modalità di gestione.

Le prime forme di fondi comuni di diritto italiano risalgono al 1968, quando alcuni finanzieri emisero i cosiddetti fondi atipici, che - in assenza di normative italiane - seguivano l’organizzazione e gestione dei modelli anglosassoni.

Successivamente, alcune società promossero fondi di diritto lussemburghese, chiamati Lussemburghesi Storici3. Non essendo presente una specifica normativa, molte banche e

compagnie di assicurazione costituirono tali fondi in Lussemburgo per poi venderli in Italia.

La prima regolamentazione nell’ordinamento italiano si ha con la legge n. 77 del 23 marzo 1983 con la quale sono stati introdotti i primi Organismi di investimento collettivo di diritto italiano.

Con il medesimo dispositivo è stato disciplinato anche il soggetto deputato alla conduzione di questi fondi comuni d’investimento: la società di gestione.

La normativa ha introdotto le regole riguardanti la natura giuridica dei fondi, la loro costituzione, i requisiti della società di gestione e le norme generali riguardanti le limitazioni agli investimenti per determinate attività, la limitazione alla concentrazione degli investimenti, la separazione patrimoniale, il calcolo del valore delle quote, oltre agli obblighi di informativa e controllo sulle operazioni da parte di CONSOB e Banca d’Italia.

La normativa ha subito notevoli integrazioni e modifiche nel tempo, contestualmente alla regolamentazione dei nuovi prodotti di risparmio gestito:

- le Sicav con il decreto legislativo n. 84 del 25 gennaio 1992;

- i Fondi comuni di investimento mobiliare chiusi con la legge n. 344 del 14 agosto 1993;

- i Fondi comuni di investimento immobiliare di tipo chiuso con la legge n. 86 del 25 gennaio 1994.

L’assetto legislativo così polarizzato era dispersivo per un’organica lettura ed interpretazione delle norme concernenti l’industria del risparmio gestito, pertanto, si è resa necessaria una complessiva riunificazione avvenuta con il decreto legislativo n. 25 del 24

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febbraio 1998 denominato anche Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria o Testo unico della finanza, ovvero decreto o legge Draghi4.

Il Testo unico della finanza ha subito negli anni profonde modifiche e integrazioni, principalmente imputabili al recepimento della normativa europea, soprattutto nelle parti afferenti alla gestione collettiva del risparmio.

Il quadro regolamentare si completa con la normativa nazionale secondaria rappresentata in

primis dal Regolamento Consob n. 20307/2018, detto Regolamento Intermediari, dal

Regolamento sulla gestione collettiva del risparmio della Banca d’Italia (Provvedimento della Banca d’Italia del 19 gennaio 2015, come modificato dal Provvedimento del 23 dicembre 2016 e successive modificazioni) e Decreto del Ministero del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione Economica n. 228 del 24 maggio 1999, “Regolamento recante norme per la determinazione dei criteri generali cui devono essere uniformati i fondi comuni di investimento” e successive modificazioni.

1.1.2. L’attuale contesto normativo

5

La gestione collettiva del risparmio è disciplinata nel Titolo III del Testo unico della finanza (TUF) ed è individuata come il servizio realizzato attraverso la gestione di OICR e dei relativi rischi6.

Sempre il TUF, all’art. 1 comma 1. lett. k) definisce in modo puntuale cosa si intende per Organismo di investimento collettivo del risparmio (OICR), cioè l'organismo istituito per la

prestazione del servizio di gestione collettiva del risparmio, il cui patrimonio è raccolto tra una pluralità di investitori mediante l'emissione e l'offerta di quote o azioni, gestito in monte nell'interesse degli investitori e in autonomia dai medesimi nonché investito in strumenti finanziari, crediti, inclusi quelli erogati, a favore di soggetti diversi da consumatori, a valere sul patrimonio dell'OICR, partecipazioni o altri beni mobili o immobili, in base a una politica di investimento predeterminata.

Da questa definizione emergono importanti tratti distintivi dell’attività che devono essere tutti presenti:

a) patrimonio raccolto tra una pluralità di investitori mediante l’emissione e l’offerta

di quote o azioni: in ciascun OICR confluiscono i risparmi di un numero

4 La legge Draghi prende il nome dell’allora Direttore Generale del Tesoro, poi Governatore della Banca

d’Italia e attuale Presidente della Banca Centrale Europea Mario Draghi;

5 Cfr. (Annunziata, 2017);

6 Art. 1, comma 1, lett. n) (TUF) decreto legislativo n. 25 del 24 febbraio 1998 denominato anche Testo unico

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indeterminato di soggetti senza che vi siano altri legami ad eccezione della gestione collettiva in discussione. Tale patrimonio è raccolto in massa dai diversi investitori mediante l’emissione e l’offerta a questi ultimi di quote o azioni;

b) gestito in monte nell’interesse degli investitori e in autonomia dai medesimi: il patrimonio raccolto dalla pluralità è gestito come un unico patrimonio, non come singoli patrimoni separati. La politica di investimento viene eseguita dall’intermediario sempre nell’interesse degli investitori ma senza che questi possano influenzare, personalizzare o porre veti alle decisioni del gestore;

c) investito [...] in base a una politica di investimento predeterminata: i singoli investitori non possono personalizzare il rapporto però sono tutelati da una predeterminazione nella politica di investimento. Il gestore non ha quindi libero arbitrio, ma potrà assumere autonomamente decisioni nei limiti della politica di investimento definita a priori, la quale funge appunto da tutela per i singoli investitori. A titolo esemplificativo, il risparmiatore – scegliendo uno specifico strumento – potrà investire sul mercato azionario limitato geograficamente all’Europa (azionario europeo) ma non potrà indirizzare la gestione su specifici titoli azionari europei o escluderne.

La gestione collettiva è sottoposta a riserva di attività ed è la normativa che individua puntualmente i soggetti abilitati all’esercizio professionale di tale attività. Nello specifico, possono prestare attività di gestione collettiva del risparmio:

- società di gestione del risparmio (SGR);

- società di investimento a capitale variabile (SICAV); - società di investimento a capitale fisso (SICAF); - società di gestione UE che gestiscono OICVM italiani; - gestore di fondi di investimento alternativi UE (GEFIA UE);

- gestore di fondi di investimento alternativi non UE (GEFIA non UE) che gestiscono un fondo di investimento alternativo italiano (FIA italiano).

Vengono comunque escluse da tale prescrizione le istituzioni sovranazionali (Banca Centrale Europea, Banca Europea per gli Investimenti, Fondo Europeo per gli Investimenti, Istituzioni Europee per il Finanziamento allo Sviluppo, Banche Sviluppo Bilaterali, la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale e altre istituzioni o organizzazioni internazionali analoghe quando gestiscono FIA per finalità di interesse pubblico), le Banche centrali nazionali, gli Stati e enti pubblici territoriali (e altri enti che gestiscono fondi destinati al finanziamento dei regimi di sicurezza sociale e dei sistemi pensionistici), le

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società di partecipazione finanziaria (intese come società che detengono partecipazioni con il fine di realizzare strategie imprenditoriali di lungo periodo purché operino per conto proprio e le cui azioni siano ammesse alla negoziazione in un mercato regolamentato dell’Unione Europea oppure non siano costituite con lo scopo principale di generare utili per i propri investitori mediante il disinvestimento delle partecipazioni), i regimi di partecipazione dei lavoratori all’impresa o i regimi di risparmio dei lavoratori, le società di cartolarizzazione e le forme pensionistiche (previste dal decreto legislativo n. 252 del 5 dicembre 2005) 7.

La normativa italiana è strettamente legata alla regolamentazione europea in tema di risparmio gestito. La prima direttiva europea in materia è la Direttiva 85/611/CEE, relativa agli OICR aperti armonizzati denominata anche Direttiva UCITS. Tale direttiva ha subito numerosi aggiornamenti nel corso del tempo ed è arrivata oggi al quinto aggiornamento, difatti si parla di Direttiva UCITS V facendo riferimento alla Direttiva 2014/91/UE il cui recepimento nell’ordinamento nazionale è avvenuto con il Decreto Legislativo n. 71/2016. Le tipologie di OICR non disciplinate da questa direttiva erano regolamentate dalla normativa nazionale sino all’emanazione di un’ulteriore direttiva europea: la Direttiva 2011/61/CE. Quest’ultima, denominata anche AIFMD (Alternative Investment Funds

Manager Directive) – recepita nel nostro ordinamento nel 2014 e nel 2015 – ha comportato

sostanziali modifiche alla disciplina della gestione collettiva del risparmio italiana andando a colmare e riorganizzare il quadro normativo di tutte quelle forme di OICR non rientranti nelle strette maglie della Direttiva UCITS.

Nonostante il ruolo complementare rivestito dalla Direttiva AIFM, da questa derivano altre problematiche. La AIFMD, differentemente dalla Direttiva UCITS, non disciplina direttamente gli OICR ma disciplina i gestori degli OICR senza prevedere norme puntuali riferite a tipologie di fondi alternativi, alle loro caratteristiche e profili di rischio. L’ambito di applicazione è definito in via negativa, prevedendo che la AIFMD si applica ai gestori di OICR che non rientrano nel perimetro di applicazione della Direttiva UCITS.

La Direttiva AIFM è comunque una direttiva europea molto penetrante che lascia una autonomia marginale alla legislazione nazionale, ridotta ulteriormente dal Regolamento n. 231/2013 che accompagna la suddetta direttiva e che sostituisce di fatto buona parte della normativa nazionale in tema di organizzazione interna, governance e regole di condotta.

7 Art. 32-quarter, (TUF) decreto legislativo n. 25 del 24 febbraio 1998 denominato anche Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria;

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Con l’obiettivo di evitare disallineamenti tra i gestori delle diverse categorie di OICR, il legislatore italiano ha esteso parte delle prescrizioni della Direttiva AIFM anche ai gestori di OICR ai quali è applicabile la normativa UCITS. Tale “estensione” comporta che i gestori degli OICR non alternativi siano soggetti ad una normativa più rigida di quanto ordinariamente previsto dalla disciplina europea.

In sintesi, il quadro normativo europeo presenta oggi i seguenti due fronti: - Direttiva UCITS: relativa agli OICR aperti armonizzati;

- Direttiva AIFM: relativa a tutti gli altri OICR.

Il panorama europeo dei gestori è composto da diversi schemi organizzativi riconducibili al fondo comune di investimento (OICR contrattuale) e allo schema societario, noti anche al mercato italiano, e alcuni schemi non presenti nella scena italiana, quali il trust e la

partnership.

La serie di beni nei quali un OICR italiano è abilitato ad investire non è senza riserve. L’art. 4, D.M. n. 30/2015 regola puntualmente la varietà di beni nei quali il patrimonio dell’OICR può essere investito, seppur coprendo un’ampia scelta. Nello specifico, è consentito l’investimento in:

a) strumenti finanziari negoziati in un mercato regolamentato; b) strumenti finanziari non negoziati in un mercato regolamentato; c) depositi bancari di denaro;

d) beni immobili, diritti reali immobiliari (compresi derivanti da leasing immobiliari, rapporti concessori e partecipazioni in società immobiliari, parti di FIA immobiliari anche esteri);

e) crediti e titoli rappresentativi di crediti (inclusi crediti erogati a valere sul patrimonio dell’OICR);

f) altri beni per i quali esiste un mercato e che abbiano un valore determinabile con certezza con una periodicità almeno semestrale.

La nozione generale di OICR subisce suddivisioni in categorie più specifiche che vanno ad individuare differenti strumenti, disciplinati da normative diverse.

La prima distinzione è tra:

- OICR “aperti”: che consentono agli investitori di chiedere il rimborso delle proprie quote o azioni in base alle “modalità e con le frequenze previste dal Regolamento, dallo statuto e dalla documentazione d’offerta dell’OICR”. L’attuazione del TUF ha definito che la frequenza dei rimborsi debba essere almeno annuale;

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- OICR “chiusi”: individuati in via negativa, sono tutti gli OICR diversi da quelli aperti. Non è esclusa comunque la facoltà del gestore di effettuare rimborsi anticipati. Da tale distinzione derivano importanti conseguenze sulla stabilità o meno dei volumi del patrimonio: gli OICR aperti, consentendo maggiore flessibilità nei rimborsi subiranno maggiori fluttuazioni del patrimonio rispetto agli OICR chiusi. La stabilità del patrimonio influenza sensibilmente anche le categorie dei beni nelle quali il gestore investirà il patrimonio raccolto: gli OICR aperti saranno investiti in beni più liquidi e disinvestibili al fine di far fronte alle potenziali richieste di rimborso della clientela; invece, gli OICR chiusi saranno investiti in beni meno liquidi non avendo il rischio di possibili richieste di rimborso da parte della clientela.

Un’ulteriore distinzione di derivazione normativa è tra:

- “OICVM”: si tratta di OICR aperti che rientrano nell’ambito della Direttiva UCITS; - “OICR alternativi”: sono tutti quei fondi, aperti o chiusi, ora disciplinati dalla

Direttiva AIFMD.

Altro elemento importante di distinzione è la struttura o forma dell’organismo, in base alla quale si discrimina:

- OICR contrattuali: ossia tutti i fondi comuni di investimento;

- OICR statutari (con forma societaria): rappresentati da SICAV e SICAF.

Il D.M. n. 30/2015 suddivide ulteriormente gli OICR contrattuali nelle seguenti categorie: - OICVM italiani: si tratta di fondi, rientranti nel perimetro della Direttiva UCITS, di

tipo aperto. Investono il proprio patrimonio principalmente in strumenti prontamente liquidabili, strumenti quotati e del mercato monetario; l’investimento in strumenti non quotati è limitato al 10% del patrimonio complessivo del fondo ed altre limitazioni sono poste agli investimenti in titoli derivati. La ratio dei divieti della regolamentazione è quella di mantenere il patrimonio del fondo sufficientemente liquido per eventuali erogazioni di rimborsi, evitando l’assunzione di rischi eccessivi e le operazioni in conflitto di interessi;

- FIA italiana aperti: sono fondi di tipo aperto non rientranti nei parametri della Direttiva UCITS a causa di svariate motivazioni (ad esempio, non rispettano le limitazioni alla politica di investimento oppure non prevedono frequenza di rimborso almeno quindicinale). Il limite agli investimenti in strumenti non quotati per i FIA aperti è posto al 20% del proprio patrimonio;

- FIA italiani chiusi: sono fondi di tipo chiuso non rientranti nei limiti definiti dalla Direttiva UCITS. Almeno una quota pari al 20% del loro patrimonio deve essere

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investita in strumenti non quotati, beni immobili (e simili), crediti e altri beni. Le quote di un FIA italiano chiuso sono sottoscritte dagli investitori entro 24 mesi dalla conclusione positiva della procedura di commercializzazione; 8 in caso di offerta al

pubblico, il termine decorre dalla pubblicazione del prospetto9 del patrimonio;

- FIA italiani immobiliari: sono una sottocategoria dei FIA italiani chiusi orientati principalmente agli investimenti del comparto immobiliare nel quale devono investire (salvo alcune eccezioni10) almeno 2/3 del proprio patrimonio. Occorre

precisare che le SIIQ11 (Società di investimento in immobili quotate) non sono FIA

immobiliari.

- FIA italiani riservati: sono fondi riservati agli investitori professionali (sia di diritto che su richiesta); le categorie di investitori a cui il fondo è riservato sono indicate nel regolamento del fondo stesso. Vista l’esperienza e competenza degli investitori non vengono applicate molte limitazioni e previsioni che regolano le politiche di gestione di fondi destinati al pubblico indistinto. Nonostante questo, il regolamento deve indicare alcune puntualizzazioni al fine di informare compiutamente i propri investitori12. Il Regolamento del FIA italiano riservato può prevedere esplicitamente

la partecipazione al fondo anche di investitori non professionali con alcune limitazioni13. Le quote dei FIA italiani riservati non possono essere collocate,

rimborsate o rivendute dai possessori a soggetti diversi da quelli indicati nel Regolamento del FIA stesso.

- OICR garantiti: si tratta di fondi che, nel rispetto della normativa prudenziale di frazionamento del rischio definita dalla Banca d’Italia, garantiscono la restituzione

8 Artt. 43 e 44 (TUF) decreto legislativo n. 25 del 24 febbraio 1998 denominato anche Testo unico delle

disposizioni in materia di intermediazione finanziaria e dalle relative disposizioni di attuazione;

9 Art. 94 comma 1 (TUF) decreto legislativo n. 25 del 24 febbraio 1998 denominato anche Testo unico delle

disposizioni in materia di intermediazione finanziaria;

10 L’art. 12, D.M. n. 30/2015 riduce la percentuale di investimenti al 51% qualora il patrimonio del FIA sia

investito per almeno il 20% in strumenti finanziari rappresentativi di operazioni di cartolarizzazione aventi ad oggetto beni immobili, diritti reali immobiliari o crediti garantiti da ipoteca. Tali limiti devono essere raggiunti entro 24 mesi dall’avvio dell’operatività;

11 Le SIIQ sono società per azioni quotate nei mercati regolamentati che godono di un regime fiscale agevolato

subordinato al rispetto di alcuni limiti operativi e gestionali: l’80% del patrimonio deve essere investito in immobili oggetto di locazione e nessun socio, singolarmente, deve detenere più del 60% dei diritti di voto;

12 Il Regolamento deve indicare:

a) che il regolamento del fondo non è soggetto all’approvazione della Banca d’Italia;

b) che non si applica la normativa prudenziale di contenimento e frazionamento del rischio stabilite dalla Banca d’Italia per i FIA non riservati;

c) l’obiettivo, il profilo di rischio, lo stile di gestione e le tecniche di investimento del FIA; d) il livello massimo di leva finanziaria del FIA;

e) i limiti di investimento del FIA;

13 Gli investitori non professionali devono sottoscrivere o acquistare quote o azioni del FIA per un importo

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del capitale investito o il riconoscimento di un rendimento minimo. E’ la Banca d’Italia che disciplina i soggetti con cui l’OICR può stipulare apposite convenzioni per garantire quanto sopra.

La normativa europea, con la Direttiva AIFM, completa il novero delle tipologie di fondi introducendone altri tre specifici:

- EuVECA: è un FIA specializzato nel settore dei venture capital; 14

- EuSEF: si tratta di FIA qualificati per l’imprenditoria sociale; 15

- ELTIF: si tratta di OICR di tipo chiuso con l’obiettivo di sostenere lo sviluppo durevole del mercato europeo. Investono prevalentemente in strumenti di capitale di rischio (o strumenti di quasi-equity) con un orizzonte di medio-lungo periodo16.

Gli OICR contrattuali sono emessi e gestiti dalle società di gestione del risparmio (SGR). Le società di gestione del risparmio sono società per azioni con sede legale e direzione generale nel territorio italiano abilitati alla gestione del patrimonio dei fondi comuni di investimento e dei relativi rischi nonché alla loro amministrazione e commercializzazione. Le SGR sono abilitate anche ad altre attività in materia di investimenti e risparmio, ossia possono:

- prestare il servizio di gestione dei portafogli; - istituire e gestire fondi pensione;

- svolgere le attività connesse e strumentali;

- prestare i servizi accessori (Allegato I, Sezione B, numero (1) del TUF) limitatamente alle quote di OICR gestiti;

- prestare il servizio di consulenza in materia di investimenti;

- commercializzare quote o azioni di OICR gestiti da terzi in conformità alle regole di condotta stabilite dalla CONSOB, sentita la Banca d’Italia;

- prestare il servizio di ricezione e trasmissione di ordini, qualora autorizzate a prestare il servizio di gestione di FIA.17

L’autorizzazione a prestare i suddetti servizi è rilasciata dalla Banca d’Italia, sentita la CONSOB, purché ricorrano i requisiti previsti dalla normativa, ossia:

14 Regolamento EU n. 345/2013; 15 Regolamento EU n. 346/2013; 16 Regolamento EU n. 760/2015;

17 Art. 33 comma 1 e comma 2 (TUF) decreto legislativo n. 25 del 24 febbraio 1998 denominato anche Testo

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- sia adottata la forma di società per azioni;

- la sede legale e direzione generale della società siano situate nel territorio italiano; - il capitale sociale versato sia di ammontare non inferiore a quello determinato in via

generale dalla Banca d’Italia, attualmente pari ad 1 milione di euro;18

- i soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo siano idonei secondo quanto previsto dall’art. 13 del TUF;19

- i titolari delle partecipazioni in SGR, SICAV, SICAF e SIM20 abbiano i requisiti e

soddisfino i criteri stabiliti ai sensi dell’articolo 1421 e non ricorrano le condizioni

per il divieto previsto dall’articolo 15, comma 2;22

- la struttura del gruppo (di cui è parte la società) non pregiudichi l’effettivo esercizio della vigilanza sulla società stessa;

- venga presentato, unitamente all'atto costitutivo e allo statuto, un programma concernente l'attività iniziale nonché una relazione sulla struttura organizzativa; - la denominazione sociale contenga le parole "società di gestione del risparmio". E’ sempre la Banca d’Italia, sentita la CONSOB, che autorizza le fusioni e scissioni delle SGR.

18 Titolo II (Società di gestione del risparmio), Sezione II (Capitale Iniziale), 1. Capitale sociale minimo

iniziale, - Regolamento sulla gestione collettiva del risparmio, Banca d’Italia:

“Fatto salvo quanto previsto dalla Sezione VII (“SGR sotto soglia”), ai fini del rilascio dell’autorizzazione alla prestazione del servizio di gestione di OICVM o di FIA, o alla prestazione congiunta del servizio di gestione di OICVM e di FIA, la SGR dispone di un ammontare di capitale sociale minimo iniziale, interamente versato, di almeno 1 milione di euro. Tale capitale minimo iniziale è ridotto a cinquecento mila euro in caso di SGR che intenda svolgere esclusivamente l’attività di gestione di FIA chiusi riservati. Il capitale sociale minimo iniziale non può comprendere conferimenti in natura. Nelle ipotesi di società già operanti che, previa modifica del proprio oggetto sociale, intendano essere autorizzate come SGR, ai fini del calcolo dell’importo minimo sopra indicato si tiene conto del capitale versato e delle riserve indisponibili per legge o per statuto risultanti dall’ultimo bilancio approvato.”;

19 L’art. 13 TUF riguarda i requisiti di onorabilità, professionalità, indipendenza e competenza degli esponenti

aziendali;

20 Art. 15, comma 1 TUF;

21 Art. 14 (Partecipanti al capitale) TUF 1. “I titolari delle partecipazioni indicate all'articolo 15 possiedono

requisiti di onorabilità e soddisfano criteri di competenza e correttezza in modo da garantire la sana e prudente gestione della società partecipata.”

22 Art. 15, comma 2 TUF 2. “La Banca d'Italia può vietare entro il termine stabilito ai sensi del comma 5, lettera

c), l'acquisizione della partecipazione quando ritenga che non ricorrono condizioni atte a garantire una gestione sana e prudente dell'intermediario, valutando la qualità del potenziale acquirente e la solidità finanziaria del progetto di acquisizione in base ai seguenti criteri: la reputazione del potenziale acquirente ai sensi dell'articolo 14; l'idoneità, ai sensi dell'articolo 13, da parte di coloro che, in esito all'acquisizione, svolgeranno funzioni di amministrazione, direzione e controllo; la solidità finanziaria del potenziale acquirente; la capacità dell'intermediario di rispettare a seguito dell'acquisizione le disposizioni che ne regolano l'attività; l'idoneità della struttura del gruppo del potenziale acquirente a consentire l'esercizio efficace della vigilanza; l'assenza di fondato sospetto che l'acquisizione sia connessa a operazioni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo. La Banca d'Italia può fissare un termine massimo per l'acquisizione nonché comunicare, anche prima della scadenza del termine, che nulla osta all'operazione”;

(17)

L’albo delle SGR è tenuto dalla Banca d'Italia ed è distinto in due sezioni per la gestione di OICVM e di FIA. A tale albo sono allegate, in sezioni distinte, le società di gestione UE e i GEFIA UE e non UE che hanno effettuato le comunicazioni ai sensi degli articoli 41-bis, 41-ter e 41-quater23.

Gli OICR statutari (in forma societaria) sono rappresentati dalle SICAV e SICAF.

Le SICAV e SICAF sono abilitate alla prestazione del servizio di gestione collettiva del risparmio e alle attività di gestione del patrimonio degli OICR statutari, raccolto mediante l’offerta di azioni proprie. Analogamente alle SGR, si occupano anche della gestione dei rischi connessi agli OICR e della loro amministrazione e commercializzazione oltre alle attività connesse e strumentali. Tuttavia, non sono autorizzate alla prestazione degli altri servizi di cui all’ art. 33 comma 2 del TUF.

Condividono con le SGR anche la normativa in merito ai requisiti necessari per l’esercizio dell’attività con l’integrazione però che, per le SICAV, lo statuto prevede come oggetto esclusivo l'investimento collettivo del patrimonio raccolto mediante offerta delle proprie azioni; per le SICAF, lo statuto prevede come oggetto esclusivo l’investimento collettivo del patrimonio raccolto mediante offerta delle proprie azioni e degli strumenti finanziari partecipativi indicati nello statuto stesso. Il capitale minimo previsto, definito dalla Banca d’Italia, ammonta sempre a 1 milione di euro24.

La principale differenza tra SICAV e SICAF è rappresentata dal fatto che le prime sono OICR di tipo aperto mentre le seconde sono OICR di tipo chiuso. Nelle SICAV è presente una fondamentale coincidenza tra capitale e patrimonio netto e per questo non si applica l’ordinaria disciplina relativa al capitale delle società per azioni. Anche per le SICAF parte di tale normativa non viene applicata25.

23 Art. 35 (Albo) TUF;

24 Titolo III (Società di investimento a capitale fisso e a capitale variabile), Sezione II (Autorizzazione delle

SICAV e SICAF), 1. Capitale sociale minimo iniziale, - Regolamento sulla gestione collettiva del risparmio, Banca d’Italia.

Ai fini del rilascio dell’autorizzazione l’ammontare del capitale sociale minimo iniziale, interamente versato, deve essere pari ad almeno 1 milione di euro.

Tale capitale minimo iniziale è ridotto a cinquecento mila euro in caso di SICAF riservata a investitori professionali. Per le SICAV non sono ammessi conferimenti in natura diversi dal conferimento di strumenti finanziari oggetto di investimento della SICAV;

(18)

Le azioni delle SICAV e delle SICAF possono essere al portatore o nominative, a discrezione del sottoscrittore che deve comunque rispettare gli eventuali limiti imposti per l’emissione di azioni nominative.

Le SICAV e le SICAF possono provvedere direttamente alla gestione del proprio patrimonio oppure avvalersi di un soggetto terzo, purché quest’ultimo sia abilitato alla prestazione del servizio di gestione collettiva.

1.1.3. La regolamentazione del mercato e MiFID 2

La trattazione della normativa della gestione collettiva del risparmio non può prescindere dall’affrontare l’articolata disciplina dei mercati regolamentati. Il primo tassello dell’impalcatura legislativa si ha con la Direttiva 93/22/CEE, detta Direttiva sui servizi di investimento, che pone le basi delle regole di funzionamento e degli assetti istituzionali, non applicandosi soltanto agli intermediari ma anche ai mercati stessi, per effetto della disciplina del mutuo riconoscimento.

Prima di tale normativa, era possibile ricondurre la disciplina dei mercati borsistici a due principali modelli, definibili:

- di matrice “pubblicistica”: tipico dei Paesi dell’Europa continentale; si fonda sull’istituto per legge di un mercato “ufficiale”, gestito o controllato dalle Autorità pubbliche e operante sostanzialmente in un regime monopolistico;

- di matrice “privatistica”: tipico del Regno Unito, riconosce la borsa come una struttura privata, basata sul principio di una maggiore o minore autoregolamentazione.

Entrambi i modelli presentano pregi e difetti: il modello pubblicistico, pur assicurando un valido presidio sul corretto funzionamento, imbriglia l’operatività in una rigida e formale regolamentazione; dall’altro lato, il modello privatistico fa emergere l’inefficace sistema di autoregolamentazione se non supportato da precisi e condivisi meccanismi sanzionatori, a fronte di una maggiore fluidità e libertà operativa.

Con la Direttiva 93/22/CEE si assiste ad un processo di progressiva “privatizzazione” dei mercati dei Paesi dell’Europa continentale. In Italia, la Borsa abbandona la forma dell’ente pubblico e si trasforma in una società per azioni. Ciò non vuol dire che nel nuovo modello l’apparato pubblico scompare totalmente: l’impianto pubblicistico mantiene il fondamentale

(19)

ruolo di controllore con il potere di pervasivi controlli pubblici, in nome della tutela del risparmio e dell’interesse generale, operanti sulle società di gestione del mercato26.

Il secondo tassello che completa la regolamentazione dei mercati si ha con la MiFID (Markets in Financial Instruments Directive), ossia con la Direttiva 2004/39/CE, che rompe il regime monopolistico precedentemente vigente riconoscendo ed equiparando i mercati regolamentati e i sistemi alternativi di negoziazione. La Direttiva introduce e disciplina la nuova attività di gestione dei sistemi multilaterali di negoziazione (Multilateral Trading

Facilities – MTF)27 e prevedendo anche la figura del c.d. “internalizzatore sistematico”28.

L’obiettivo di tale Direttiva è quindi quello di uniformare la regolamentazione dei mercati, regolamentati e non, senza pregiudicare la tutela degli investitori e la libertà dei servizi di investimento. Sempre questa Direttiva interviene su altre importanti tematiche, afferenti anche alla gestione collettiva del risparmio. A titolo esemplificativo ma non esaustivo:

a) viene imposta alle imprese di investimento una classificazione della clientela in base al grado di esperienza e competenza dei clienti al fine di modulare gli obblighi informativi;

b) introduce una serie di obblighi informativi in merito alle tipologie di strumenti finanziari, ai relativi costi ed eventuali conflitti di interesse;

c) obbliga gli intermediari ad eseguire i test di adeguatezza e appropriatezza riguardo allo specifico strumento finanziario al fine di assicurarsi che sia compatibile con il profilo del cliente.

Nonostante tali prescrizioni, la tutela del cliente non è sempre stata al primo posto per gli intermediari finanziari che, in diverse occasioni, hanno anteposto logiche di profitto. Anche per tali ragioni, il legislatore europeo è tornato sul tema con la Direttiva 2014/65/EU, detta MiFID 2, entrata in vigore il 3 gennaio 2018, accompagnata dal Regolamento europeo n. 600/2014, detto MiFIR (Markets in Financial Instruments Regulation).

26 Cfr. (Annunziata, 2017);

27 I Multilateral Trading Facilities (MTF) sono dei circuiti alternativi di negoziazione, gestiti da soggetti

privati, che consentono ad una vasta platea di investitori di operare, in base a regole non discrezionali, su strumenti finanziari già quotati presso altri mercati. Pur svolgendo funzioni di organizzazione degli scambi, a differenza dei mercati regolamentati, i MTF non possono ingerire sull’ammissione alle negoziazioni dei titoli oggetto di scambio e sono soggetti ad una regolamentazione parzialmente differente dai mercati organizzati;

28 L’internalizzatore sistematico è una impresa di investimento che – in modo organizzato e sistematico – opera

per conto proprio eseguendo gli ordini del cliente al di fuori di un mercato regolamentato o di un MTF. L’internalizzatore esegue ordini, potenzialmente eseguibili su un mercato regolamentato, agevolando internamente l’incontro tra domanda ed offerta di titoli oppure operando con il proprio portafoglio come contropartita;

(20)

La MiFID 2 riprende gli obiettivi della prima direttiva ma ne amplia sensibilmente la portata, estendendo l’applicazione anche a strumenti finanziari non regolamentati e ai soggetti che operano al di fuori dei mercati regolamentati. La linea guida è sempre quella di assicurare la trasparenza e la protezione degli investitori.

La normativa colpisce i due ambiti dell’industria del risparmio gestito:

- strategico: afferente alla governance degli operatori ed ai relativi modelli di business; - operativo: riguardante procedure ed organizzazione dei processi interni.

Le principali novità introdotte possono essere sintetizzate in:

1) Trasparenza: la MiFID 2 aumenta sensibilmente il carico informativo che gli intermediari devono fornire alla clientela, soprattutto per quanto riguarda i costi dei prodotti e le commissioni percepite dall’intermediario e da qualsiasi altro soggetto si inserisca nel canale di vendita. Il dettaglio richiesto è incrementato notevolmente rispetto alla MiFID 1, prevedendo la suddivisione dei costi, in termini assoluti e percentuali, e per voci distinte (costi di ingresso, costi di uscita, performance fee). Inoltre, l’intermediario dovrà inviare alla clientela, con cadenza almeno annuale, un riepilogo dei costi sostenuti per ciascun prodotto e per il portafoglio complessivo. 2) Profilazione della clientela: la MiFID 2, ampliando quanto prescritto dalla MiFID 1

ed in seguito delineato dall’ESMA, prevede che sia l’intermediario a valutare, tramite apposito questionario, le conoscenze, competenze ed esperienze del cliente, oltre alla sua situazione finanziaria ed i suoi obiettivi, riguardo allo specifico prodotto o servizio offerto. La valutazione ed i controlli si estenderanno comunque anche all’intero portafoglio al fine di limitare eventuali concentrazioni e/o conflitti di interesse.

3) Product governance: l’intermediario deve produrre al cliente documentazione adeguata riguardante il prodotto finanziario, con indicazione delle caratteristiche fondamentali, dei possibili rendimenti al variare dei possibili scenari ed annessi rischi, oltre ai relativi costi. Le numerose informazioni e caratteristiche dei prodotti saranno contenute nel KID (Key Information Document, che affianca ma non sostituisce il KIID – Key Information Investor Document – introdotto dalla Direttiva UCITS IV), in forma breve e con linguaggio comprensibile, e saranno previste per i PRIIPs (Packaged retail investment and insurance-based investments products), cioè prodotti di investimento al dettaglio e assicurativi preassemblati. Rientrano nei PRIIPs i fondi comuni di investimento, i prodotti assicurativi con componente di investimento, i prodotti strutturati, le obbligazioni convertibili, gli strumenti derivati

(21)

e i prodotti emessi da SPV. La caratteristica comune dei prodotti PRIIP è che il loro valore è soggetto a fluttuazioni dovute all’esposizione in uno o più sottostanti. Sono esclusi dalla classificazione di PRIIP le azioni, le obbligazioni, i depositi, le polizze assicurative senza componente di investimento e i prodotti della pensione complementare. Il cliente riceverà il KID, che si configura come vero e proprio documento precontrattuale, in tempo utile per analizzarlo e comprendere autonomamente le componenti e i rischi del prodotto finanziario.

4) Autorità di controllo: vengono ampliati i poteri intrusivi delle autorità di controllo, europee (ESMA) ma anche nazionali (CONSOB e Banca d’Italia) prevedendo la possibilità anche di sospendere alcuni strumenti finanziari se ritenuti pericolosi. 5) Professionalità della rete di vendita: con la nuova normativa vengono disciplinati

puntualmente anche i requisiti di conoscenza ed esperienza che gli operatori devono avere al fine di poter effettuare consulenza.

6) Indipendenza: è stato posto l’accento, inoltre, sull’indipendenza o meno della consulenza. Il consulente indipendente potrà percepire una remunerazione legata strettamente alla consulenza; quest’ultima potrà essere una tantum o periodica, in misura fissa o in percentuale al patrimonio oggetto di consulenza, però non potrà percepire retrocessioni in funzione dei prodotti e servizi soggetti a consulenza. Il consulente non indipendente, invece, sarà remunerato anche con retrocessioni da parte degli emittenti, per questo si viene a creare un inevitabile conflitto di interesse. La normativa cerca di attenuare tale circostanza prevedendo sempre che i prodotti venduti dai consulenti siano adeguati al profilo dei clienti e siano i migliori nell’interesse del cliente.

1.1.4. La gestione passiva nel quadro regolamentare

29

Una delle importanti classificazioni degli OICR è anche quella concernente lo stile di gestione, attivo o passivo. Senza soffermarsi sulle caratteristiche peculiari di tale classificazione, oggetto dei paragrafi successivi, si rileva che lo stile di gestione passivo – esplicitato principalmente dall’ETF (Exchange Traded Fund) – non è oggetto di discipline particolari e/o divergenti rispetto alle prescrizioni che disciplinano la gestione attiva, quindi i fondi comuni di investimento, SICAV, SICAF, etc.

(22)

Nonostante questo, il TUF, all’art. 61 comma 1 lett b) definisce gli ETFs come “fondi indicizzati quotati”, ossia “gli Oicr con almeno una particolare categoria di azioni o quote

negoziata per tutta la giornata in almeno una sede di negoziazione, nell’ambito della quale almeno un market-maker interviene per assicurare che il prezzo delle sue azioni o quote nella sede di negoziazione non si discosti in maniera significativa dal rispettivo valore netto di inventario né, se del caso, da quello indicativo calcolato in tempo reale (indicative net asset value)”.

E’ significativo precisare che tale definizione è contenuta nella Parte III, Disciplina dei mercati del TUF, anziché nella Parte I Disposizioni comuni, dove all’art. 1 viene data la definizione di OICR. Questa differenza è dovuta al fatto che il TUF classifica gli ETFs come un sottoinsieme degli OICR il cui elemento distintivo principale è la quotazione continua per tutta la giornata con la presenza di un market maker30.

Di fatto, giuridicamente, l’ETF è un OICR aperto, rientrante nella Direttiva UCITS, costituito sia in forma contrattuale che societaria. Oltre alla costante quotazione, elemento certo di distinzione dal noto fondo comune di investimento, l’ETF si differenzia anche per l’obiettivo: replicare l’andamento di un indice sottostante.

La modalità di replica del sottostante, anch’essa approfondita in seguito, può essere fisica, ossia attraverso l’acquisto diretto dei titoli che compongono l’indice, oppure sintetica, mediante l’utilizzo di strumenti derivati.

E’ proprio questa seconda tipologia di replica del sottostante, alimentando l’utilizzo di derivati, con conseguenti rischi annessi, che ha suscitato timori nelle autorità di regolamentazione. Alla luce di una maggiore diffusione degli ETF a replica sintetica, il

Financial Stability Board31 (FSB) ha effettuato uno studio sui rischi potenziali della

crescente diffusione degli ETF arrivando alle seguenti conclusioni:

- la modalità di replica sintetica, effettuata mediante contratti swap, espone a notevoli rischi di controparte con potenziali rischi sistemici laddove la controparte rischiosa oggetto di default sia la medesima di più ETF;

30 Il market maker è un intermediario finanziario specializzato che immette ordini in acquisto e vendita sul

book di negoziazione di uno strumento finanziario permettendo ai clienti di acquistare o vendere a quei

determinati prezzi, adeguati continuamente in funzione delle variazioni del contesto di riferimento;

31 Il Financial Stability Board (FSB) è un organismo internazionale costituito da tutti i paesi del G20 con

l’obiettivo di monitorare la stabilità finanziaria globale, migliorando le funzionalità dei mercati e riducendo i rischi sistemici mediante la cooperazione internazionale e lo scambio di informazioni tra le autorità di controllo (Cfr.https://web.archive.org/web/20110408070819/http://www.bancaditalia.it/studiricerche/coop_intern/parte cipa_org_int/FSB);

(23)

- l’utilizzo da parte del fornitore di ETF di società del medesimo gruppo per la strutturazione e funzionamento del fondo genera preoccupanti conflitti di interesse; - la modalità di replica fisica potrebbe generare problemi di liquidità in caso di

numerose richieste di rimborso a fronte di un eccessivo ricorso al prestito titoli. Il FSB ha quindi posto l’attenzione sulla necessità di una normativa più stringente e precisa che definisca rigorosi parametri per la strutturazione degli ETF aumentando i livelli di

disclosure e reporting verso il mercato da parte degli ETF provider. Al fine di attenuare i

rischi di controparte, inoltre, si rendono necessarie regole interne finalizzate alla selezione, monitoraggio e valutazione continua delle attività collateralizzate, oltre ad un incisivo aumento della trasparenza nei confronti della clientela proporzionale anche alla complessità dello strumento32.

In seguito all’analisi del FSB è intervenuta subito l’European Security Market Authority33

(ESMA) con una prima pubblicazione del gennaio 2012 di una bozza di regolamentazione degli ETF34. In prima battuta l’ESMA chiarisce e distingue i vari prodotti che rientrano nel

cappello degli exchange traded products prescrivendo inoltre che, quelli conformi ai requisiti della Direttiva UCITS, siano chiaramente identificabili rispetto ad altri OICR. Vengono quindi distinti:

- ETF (exchange traded fund): si tratta della definizione poi ripresa dal TUF;

- ETC (exchange traded commodities): si tratta di titoli senza scadenza, emessi da apposite società veicolo per investire direttamente in materie prime o titoli con sottostante materie prime o indici di materie prime, dal cui andamento dipende il rendimento dell’ETC. Non si tratta comunque di un fondo;

- ETN (exchange traded notes): sono titoli di debito a scadenza privi di pagamento di interessi il cui rendimento dipende dall’andamento del sottostante che può essere un indice o un paniere di assets;

- ETV (exchange traded vehicles): sono strumenti di debito che investono in materie prime o valute replicando l’indice di riferimento senza che vi sia una precisa regolamentazione sulla diversificazione del rischio.

32Cfr. (Financial Stability Board (FSB), 2011);

33 L’European Security Market Authority (ESMA, Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati) è

un organismo europeo con il compito di supervisionare il mercato finanziario europeo;

(24)

Sempre con il medesimo documento, l’ESMA cerca di porre rimedio alle criticità rilevate nel rapporto del FSB. Nello specifico viene previsto che gli ETF a replica sintetica esplicitino agli investitori il potenziale rischio di controparte e forniscano loro una chiara informativa riguardante le informazioni sulla strategia di investimento e il relativo portafoglio oltre alla natura e identità delle controparti con cui vengono trattati i derivati.

L’ESMA prevede inoltre che sia rispettata la normativa in tema di diversificazione prevista dalla Direttiva UCITS.

Analoghe previsioni informative sono previste per gli ETF che ricorrono al prestito titoli: l’investitore deve essere correttamente informato dei rischi derivanti dall’utilizzo di questa tecnica, eventuali conflitti di interesse ed il potenziale impatto sul rendimento del fondo.

Nel marzo 201235 anche l’International Organization of Securities Commissions (IOSCO)36

ha definito una serie di principi e indicazioni con l’obiettivo di indirizzare i regolatori in merito allo sviluppo e definizione di una nuova dettagliata disciplina per gli ETF. Tali principi sono poi confluiti nel Final Report37 di giugno 2013.

Le tematiche affrontate dalla IOSCO sono sostanzialmente le medesime citate dal FSB e riprese poi dall’ESMA e sono sintetizzate in 15 principi cui seguono le relative spiegazioni di implementazioni per la regolamentazione.

Questi principi sono divisi in più ambiti e riguardano:

- la classificazione degli ETF e i vari elementi distintivi tra ETF e gli altri ETP; - la composizione del portafoglio degli ETF ed il relativo indice di riferimento; - le spese e i costi che impattano sul rendimento dei prodotti per gli investitori; - le strategie di investimento dell’ETF;

- i conflitti di interesse;

- la gestione delle esposizioni soggette a rischio di controparte.

A queste considerazioni generali riguardanti il mercato globale degli ETF fanno seguito alcune appendici di approfondimento concernenti le diversità, in termini di struttura, organizzazione e regolamentazione, degli ETF nei diversi Paesi (Stati Uniti, Unione Europea, Cina, Hong Kong, Giappone).

35 Cfr. (International Organization of Securities Commissions (IOSCO), 2012);

36 L’International Organization of Securities Commissions (IOSCO) è l’organizzazione internazionale delle

autorità di vigilanza sui mercati finanziari. L’obiettivo è quello di definire e mantenere standard di ordine, efficienza ed equità sui mercati, promuovendo elevati principi di regolamentazione, condividendo le informazioni su questioni tecniche e operative e definendo standards per il globale monitoraggio delle transazioni internazionali (www11);

(25)

Anche l’ESMA ad agosto 2014 torna sul tema aggiornando le proprie Guidelines del 2012 al fine di modificare la regolamentazione in merito alla diversificazione dei collaterali prevedendo che questi devono essere sufficientemente diversificati in termini di paese, mercato ed emittente. Di seguito, al Paragrafo 43(b), vengono approfonditi i parametri per ritenere “sufficiente” la diversificazione38.

Da questo rapido excursus della normativa si può facilmente concludere come la regolamentazione del risparmio gestito in generale sia particolarmente soggetta a frequenti aggiornamenti, principalmente di derivazione comunitaria, finalizzati di fatto ad incrementare le tutele degli investitori e migliorare l’efficienza dei mercati.

(26)

1.2. L’Exchange traded fund

L’exchange traded fund (ETF) è un determinato fondo aperto o SICAV a gestione passiva, negoziato continuamente sul mercato, come se fosse un’azione, con l’obiettivo di replicare il più fedelmente possibile l’indice di riferimento.

I principali vantaggi dell’investimento in un ETF sono: - quotazione continua;

- diversificazione;

- adattabilità a diverse strategie di investimento.

La quotazione continua, come appunto un qualsiasi titolo azionario, consente all’investitore di acquistare il prodotto in qualsiasi momento durante l’apertura del mercato e, una volta acquistato, di monitorarne le performance. Con altrettanta facilità l’investitore potrà liquidare la posizione assunta sul mercato. Tale possibilità è garantita dalla presenza di un

market maker che mantiene sempre attivo il mercato.

Nel mercato estero, spesso, oltre al market maker sono presenti uno o più specialist che assicurano adeguata liquidità al prodotto. Un buon indicatore della liquidità del prodotto è il

bid-ask spread, ossia la differenza tra il prezzo denaro e il prezzo lettera. Il prezzo denaro è

il miglior prezzo a cui l’intermediario è disposto ad acquistare il titolo (quindi il prezzo al quale il possessore può venderlo), mentre il prezzo lettera è il miglior prezzo a cui l’intermediario è disposto a vendere il titolo (quindi il prezzo al quale il potenziale investitore può comprarlo). Una elevata differenza tra questi due prezzi sul book di negoziazione indica che il titolo è poco scambiato.

Acquistando un ETF formalmente si acquista un solo titolo ma sostanzialmente si prende posizione su un diversificato paniere di titoli che compongono l’indice di riferimento, detto

benchmark. La gestione passiva, priva di analisi appunto del gestore, consente di investire

su tutto il mercato e di esporsi all’andamento del medesimo. Così facendo si riduce il rischio dell’investimento nel quale si incorrerebbe investendo su un singolo titolo e si riducono fortemente i costi di transazione se si volesse attuare la medesima diversificazione in autonomia.

Queste due caratteristiche, unite alle numerose tipologie di ETF, fanno sì che lo strumento in parola si adatti ad una molteplicità di strategie di investimento. È possibile investire in ETF con un orizzonte di lungo periodo oppure per finalità speculative intraday; possono

(27)

acquistarlo sia clienti retail che HNWI39 ma anche gestori che lo inseriscono all’interno di

fondi comuni.

Gli ETF presentano quindi alcuni elementi comuni ai titoli azionari ed altri ai fondi comuni di investimento. Per i fondi di investimento i contratti, di acquisto e di vendita, vengono perfezionati al valore di chiusura della seduta stessa, quindi non noto al momento dell’inserimento dell’ordine. Come detto, invece, gli ETF sono negoziabili durante tutto l’orario di apertura del mercato ove lo strumento è quotato, dando quindi la possibilità all’investitore di osservarne il prezzo.

Maggiore è anche la trasparenza offerta dagli ETF che rendono nota la composizione del loro portafoglio a priori, a differenza dei fondi comuni di investimento, le cui SGR pubblicano la composizione del fondo solitamente solo due volte l’anno.

Una ulteriore differenza è ovviamente imputabile allo stile di gestione. Il fondo comune, attuando una gestione attiva, ha come obiettivo una performance migliore rispetto a quella registrata dal benchmark; invece, l’ETF mira a replicarlo fedelmente. Questa differenza comporta naturali riflessi anche sui costi di gestione, maggiori per il fondo comune, dal momento che l’attività del gestore attivo dovrà essere remunerata. Il gestore cercherà di massimizzare il profitto agendo su tre leve:

- market timing: le attività finalizzate a determinare il miglior momento temporale per entrare e uscire dal mercato per i vari titoli facenti parte del portafoglio. Il gestore potrà ricorrere all’analisi fondamentale, all’analisi tecnica oppure all’utilizzo congiunto delle due anche se, strettamente per la selezione dei punti di ingresso e uscita, è più idoneo l’approccio tecnico;

- sector selection: si tratta di una approfondita analisi e collocazione di tutti i titoli facenti parte dell’universo investibile nei consoni settori di appartenenza e, successivamente, il gestore procederà ad individuare i settori da sovrappesare o sottopesare nella composizione e gestione del portafoglio;

- stock piking: si tratta della selezione dei singoli titoli e delle relative ponderazioni.

39 Gli high net worth individuals (HNWI) sono soggetti che dispongono di un elevato patrimonio netto. Non è

presente un valore univoco e preciso che discrimina tali investitori. Secondo definizione Cap Gemini – Merrill

Lynch, si definiscono HNWI le persone il cui “patrimonio globale netto personale, escluso l’immobile di

residenza” è superiore ad 1 milione di dollari. È presente un’ulteriore sotto-classificazione che innalza tale valore a 5 milioni di dollari per i very-HNWI e a 30 milioni di dollari per gli ultra-HNWI. Tale divisione è funzionale alla specificità del servizio di private banking che viene fornito dagli intermediari finanziari. (Cfr. https://argomenti.ilsole24ore.com/parolechiave/hnwi.html);

(28)

Per tali ragioni, la performance del fondo sarà la combinazione dell’andamento del

benchmark, ossia del generico mercato, e il valore creato o distrutto dalla gestione attiva.

Nella gestione passiva, invece, l’obiettivo è mantenere appunto il valore e la composizione del portafoglio allineata e il più fedele possibile all’indice di riferimento. La discrezionalità del gestore, in questo caso, è fortemente ridotta e limitata ad adeguare il portafoglio all’andamento del benchmark.

La variabilità dello scostamento tra il rendimento del portafoglio gestito e il rendimento del

benchmark è detto tracking error. In una gestione perfettamente passiva il tracking error

deve essere nullo.

Un’ulteriore peculiarità degli ETF è costituita dal meccanismo mediante il quale vengono creati e rimborsati tali strumenti, detto meccanismo creation – redemption in kind.

Tale meccanismo consente il perfetto allineamento tra il prezzo dell’ETF e il NAV in sede di emissione. Il NAV è il net asset value, ossia il valore netto dell’attivo, rappresentato dalla somma delle attività del fondo rapportate al numero di quote o azioni del fondo in circolazione.

Analogamente ad altri strumenti finanziari, anche gli ETF possono essere negoziati sia sul mercato primario, sia sul mercato secondario. Tuttavia, ricorrono alcune sostanziali differenze tra i due mercati.

Nel mercato primario possono intervenire solo coloro che acquistano in blocco gli ETF nella loro fase di creazione, ossia gli investitori istituzionali e i market mover. Tali soggetti sono detti authorized partecipants (AP). L’acquisto di quote nel mercato primario avviene con lotti minimi, detti creation unit, solitamente di entità consistente (difficilmente inferiore a 50.000 quote) 40.

La creazione di queste quote avviene appunto con il meccanismo creation in kind (sottoscrizione in natura), mediante il quale l’AP acquista direttamente sul mercato i titoli che compongono il portafoglio del fondo, ponderati per il peso che tali titoli assumono nel portafoglio, a cui si aggiunge una percentuale di contanti. Questo mix di titoli e contanti costituisce il creation basket.

I titoli che compongono il paniere vengono dichiarati quotidianamente dal fondo stesso e rappresentano la creation unit. La quota di denaro contante versata è necessaria per coprire

(29)

eventuali dividendi o cedole già distribuiti dai titoli posseduti nel portafoglio ma ancora non detenuti in capo al fondo.

Una volta definito il creation basket questo viene scambiato con le quote: l’AP cede i titoli e il cash che compongono il creation basket al fondo e questo, in cambio, consegna le quote corrispondenti.

Con tale meccanismo, il prezzo di sottoscrizione delle quote è identico al NAV.

Qualora l’investitore istituzionale autorizzato voglia ottenere il rimborso delle quote in suo possesso, il meccanismo è inverso. Il fondo consegnerà all’investitore autorizzato i titoli che compongono il portafoglio del fondo, ponderati per il peso da questi rappresentato rispetto alla composizione complessiva, e quindi in cambio cederà al fondo le quote possedute. Le quote cedute devono essere pari almeno alla creation unit o suoi multipli. Inoltre, il paniere di titoli ottenuti dall’investitore può differire dalla composizione del creation basket al momento della sottoscrizione.

Tale procedura comporta vantaggi in termini di costi e consente di differire i capital gain conseguiti dall’ETF nel tempo, aumentando l’efficienza fiscale del fondo.

Al fine di garantire la continuità del meccanismo di creation - redemption in kind il fondo ha l’obbligo di comunicare nel continuo e quotidianamente la composizione dei titoli che costituiscono il paniere perfetto (creation basket). Da questo deriva anche la maggiore trasparenza degli ETF nei confronti degli investitori che sono sempre aggiornati sulla composizione del loro investimento.

Il mercato secondario è invece destinato sia alla clientela retail che agli investitori istituzionali. Sono tuttavia presenti sui mercati alcuni ETF destinati esclusivamente ad investitori istituzionali, non accessibili quindi al retail.

La procedura per i fondi comuni è sensibilmente diversa. Mentre gli ETF sono scambiati giornalmente sul mercato, le operazioni di acquisto e vendita di quote di un fondo comune avvengono sempre con la banca depositaria a cui si appoggia il fondo. Il prezzo è definito quindi dalla società di gestione e coincide con il NAV del fondo.

La continua quotazione sul mercato dell’ETF, essendo rappresentata dall’incontro della domanda e offerta, può creare discrepanze tra il prezzo sul mercato secondario e il NAV del fondo passivo. Si creano così occasioni di arbitraggio che il market maker ha il compito di ridurre oltre a mantenere sufficientemente liquido lo strumento sul mercato.

(30)

Se permanessero sul mercato possibilità di arbitraggio, gli investitori istituzionali autorizzati potrebbero usufruirne e lucrarci.

Gli authorized partecipants contribuiscono quindi a mantenere liquido il mercato. Se la domanda di un fondo passivo aumenta, fino a crearsi un eccesso di domanda, il prezzo inevitabilmente aumenta creando quindi una opportunità di minimo arbitraggio per l’AP che acquisterà sul mercato i titoli che compongono il creative basket e li cederà al fondo in cambio delle quote che poi offrirà sul mercato riequilibrando l’eccesso di domanda. Così il prezzo del fondo passivo tornerà allineato al NAV del fondo stesso.

Viceversa, in caso di un eccesso di offerta, il prezzo quotato del fondo si riduce, quindi l’AP acquista sul mercato secondario le quote del fondo e cedendole otterrà in cambio il basket di titoli che compongono il fondo. Così facendo, il prezzo del fondo tornerà allineato al NAV del fondo stesso41.

1.2.1. Le modalità di replica

Ci sono diverse modalità con cui l’ETF replica il benchmark.

La principale distinzione riguardante le modalità con cui il portafoglio dell’ETF si prefigge l’obiettivo di replicare l’indice di riferimento, come citato in precedenza, è tra la replica fisica e la replica sintetica.

Per replica fisica si intende quando il gestore va ad acquistare direttamente i titoli contenuti nell’indice di riferimento. Per replica sintetica, invece, si intende invece l’utilizzo di contratti derivati, tipicamente swap, mediante i quali il gestore va a replicare il benchmark.

La replica fisica può essere attuata a sua volta con due diverse modalità: - replica totale;

- campionamento.

La replica totale prevede l’acquisto diretto di tutti i titoli inclusi nell’indice di riferimento ponderati per il peso che questi hanno all’interno del benchmark stesso, in modo da allineare la performance del fondo passivo a quella dell’indice.

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