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CAPITOLO 1- LA GESTIONE COLLETTIVA DEL RISPARMIO

1.2. L’Exchange traded fund

1.2.2. Le tipologie

L’ampia varietà di ETF in circolazione consente agli investitori di assumere le più variegate posizioni sui mercati.

E’ possibile classificare gli ETF in base a diversi parametri: - indice di riferimento;

- politica di distribuzione; - copertura del cambio;

Una prima differenziazione è data dall’indice di riferimento che l’ETF ha intenzione di replicare. Ci sono indici azionari, obbligazionari e altre tipologie. Agli investitori è offerta una vasta gamma di classi di investimento:

- Indici obbligazionari, a loro volta suddivisi ulteriormente in: o Titoli di stato italiani o europei suddivisi per scadenza; o Titoli di stato denominati in euro o altre valute;

o Titoli di stato di paesi emergenti;

o Titoli obbligazioni emessi da imprese private (corporate);

- Indici di liquidità, legati a tassi overnight con ulteriore suddivisione valutaria; - Indici azionari di specifici mercati o aree geografiche, fino ad essere rappresentativi

del singolo Paese (es. Italia, Europa, Giappone, ecc.);

- Indici azionari di mercati emergenti globalmente intesi oppure specializzati su determinate aree geografiche o paesi (es. Nord Africa, India, Cile, ecc.);

- Indici azionari settoriali mondiali o di specifiche aree geografiiche (es. tecnologici mondiali, finanziari europei, ecc.);

- Indici azionari con specifico target (es. mid cap, small cap, value, growth, dividend, ecc.);

- Indici di materie prime; - Indici di società immobiliari; - Indici di private equity;

- Indici di analisi fondamentale (es. book value, cash flow, ecc.); - Indici tematici (es. acqua, energie rinnovabili);

- Indici minumum variance: indici che selezionano titoli con l’obiettivo di ridurre la volatilità attesa del portafoglio46.

Gli ETF presentano una maggiore specializzazione dei fondi comuni a gestione attiva dove, in alcuni casi, il nome del fondo stesso può non essere strettamente rappresentativo dell’oggetto dell’investimento. Per avere la certezza dei parametri della gestione occorre sempre controllare il KIID (Cfr. 1.1.3. La regolamentazione del mercato e MiFID 2).

Altro elemento importante di distinzione è la politica di distribuzione. Tale politica può essere:

- Accumulazione: prevede il reinvestimento delle cedole e dei dividendi dei titoli in portafoglio;

- Distribuzione: prevede la distribuzione periodica delle cedole e dei dividendi eventualmente erogati dai titoli acquistati dal fondo. La periodicità di distribuzione può essere variabile: annuale, semestrale, quadrimestrale, trimestrale, bimestrale o mensile.

Ci sono ETF con il medesimo indice e stessa strategia che differiscono solo per la politica di distribuzione.

Tale alternativa offre una importante scelta all’investitore. Colui che avrà necessità di un’entrata regolare più o meno costante potrà optare per un ETF che prevede la distribuzione; invece, l’investitore che non ha necessità di periodiche entrate ma preferisce capitalizzarle nel fondo stesso, potrà scegliere l’ETF ad accumulazione.

A seconda degli emittenti, è possibile che ci siano scelte obbligate tra le due politiche di investimento per determinati indici specifici.

Dei circa 900 ETF disponibili su Borsa Italiana S.p.a. oltre 300 sono a distribuzione (aggiornamento al 10/10/2018)47.

Tale differenza ha importanti ripercussioni anche sotto il profilo fiscale. La rendita percepita da un ETF a distribuzione sarà tassata come reddito da capitale con una aliquota del 26%, decurtando quindi l’importo percepito dall’investitore rispetto all’importo erogato dal fondo. Il medesimo ETF che attua una politica di accumulazione capitalizza invece l’importo lordo della cedola/dividendo percepito, sfruttando l’interesse composto e consentendo un risparmio fiscale. Tali importi saranno tassati solamente al momento del disinvestimento delle quote sul capital gain.

Gli ETF si differenziano anche in base al trattamento del rischio di cambio. Occorre considerare che le quote di un ETF sono espresse in una singola valuta, euro piuttosto che dollari statunitensi o altre valute; però, alcuni ETF non investono in strumenti con la medesima valuta in cui è espresso il valore della quota compravenduta sul mercato.

Ad esempio, un ETF che investe su un indice azionario internazionale con in portafoglio – per ipotesi – titoli statunitensi per il 60%, titoli europei per il 30% e titoli inglesi per il 10% ed il valore della quota espresso in euro, sarà esposto al rischio di cambio sul 70% del portafoglio. Dato che il rischio di cambio è un rischio simmetrico, ossia può comportare

perdite ma anche utili, a seconda dell’andamento dei tassi di cambio, l’ETF decide se coprire o meno tale rischio.

Gli ETF con cambio coperto, detti hedged, acquistano derivati di copertura che eliminano gli impatti sulle performance del fondo dovute al rischio di cambio, evitando così eventuali perdite date da movimenti avversi dei tassi di cambio ma rinunciando anche a possibili

performance positive date da movimenti favorevoli del mercato dei cambi. Per attuare la

copertura (hedgeing) mediante derivati, tipicamente forward currency, il fondo sostiene inevitabilmente dei costi che incidono sui rendimenti.

Anche in questo caso, ci possono essere ETF, anche dello stesso emittente, che condividono medesimo benchmark e medesima politica di distribuzione ma si differenziano per la copertura o meno del rischio di cambio.

Il dibattito sulla convenienza o meno di coprire il rischio di cambio, soprattutto su orizzonti di investimento medio-lunghi, è sempre aperto.

Una ulteriore importante classificazione degli strumenti di gestione passiva è data dalla strategia di investimento da questi adottata, soprattutto per quanto concerne i derivanti profili di rischio. Questa classificazione discrimina un sottoinsieme di ETF denominati ETF strutturati.

Grazie agli ETF strutturati gli investitori possono assumere posizioni su precisi andamenti del mercato senza ricorrere a strategie autonome di investimento più sofisticate.

Tipicamente, questa tipologia di ETF riguarda l’utilizzo di due strategie: - Effetto leva;

- Short.

Per strategia con effetto leva si intende l’utilizzo di strumenti derivati finalizzati ad amplificare i movimenti di mercato dell’indice di riferimento, al fine di conseguire un maggior utile senza intervenire sulla somma investita.

Fin da subito occorre precisare che l’effetto leva agisce sia in caso di variazioni favorevoli del mercato che in caso di movimenti contrari alla posizione assunta; in questo caso, verranno amplificate le perdite registrate in funzione dell’entità della leva.

A titolo esemplificativo, acquistando un ETF a leva 3x significa che le performance dell’indice vengono moltiplicate per 3. Se l’indice cresce del 3%, l’ETF aumenterà del 9%. Di contro, qualora l’indice perdesse il 3%, l’ETF registrerebbe una perdita del 9%.

Proprio per questa maggiore esposizione alla volatilità è uno strumento particolarmente delicato. Inoltre, per attuare queste strategie gli ETF a leva sostengono maggiori costi rispetto al medesimo ETF non levereged e questi impattano comunque riducendo le

performance in caso di movimenti favorevoli dell’indice ma incrementando ulteriormente le

perdite in caso di variazioni avverse del benchmark.

Per ETF strutturati si considerano anche gli ETF short. Si tratta di fondi a gestione passiva che replicano inversamente l’indice.

Nel caso in cui l’indice registrasse un aumento del 2%, l’ETF short conseguirebbe una perdita del 2%; viceversa, qualora l’indice scendesse del 2%, l’ETF short porterebbe un rendimento positivo del 2%.

Anche questi sono strumenti particolarmente delicati, sui quali occorre prestare particolare attenzione prima di investire. Tuttavia, offrono la possibilità agli investitori di prendere posizioni contrarie all’andamento dell’indice di riferimento mediante una semplice operazione di acquisto, senza dover ricorrere a più complessi investimenti.

Ad esempio, se un investitore vuole investire sul ribasso del mercato italiano potrà acquistare un ETF short sul FTSE MIB Italia, ottenendo i vantaggi in termini di diversificazione tipici degli ETF e senza dover ricorrere all’altrettanto delicato strumento della vendita allo scoperto. Così facendo, la performance dell’ETF è negativamente correlata all’andamento dell’indice FTSE MIB Italia.

Sono diffusi sul mercato anche ETF short con effetto leva. In questo caso, non solo la relazione è inversa ma è anche amplificata dall’effetto leva.

Con il medesimo esempio precedente, acquistando un ETF short leva 3x sul FTSE MIB Italia, gli effetti sarebbero:

- Indice FTSE MIB Italia: +2%, ETF: –6%; - Indice FTSE MIB Italia: –2%, ETF: +6%.

Per attuare tale strategia di investimento short, l’ETF sosterrà comunque maggiori oneri che impatteranno sui rendimenti del fondo, riducendoli se positivi, ma peggiorandoli se negativi.